Le vie dei canti

2020 - alcune fughe, taluni vagabondaggi, certe peregrinazioni...

30 Dicembre 2020

«La musica è una banca dati per trovare la strada quando si è in giro per il mondo» così scriveva Bruce Chatwin ne “Le vie dei canti”. Succede però che il viaggio ci è stato precluso da un piccolo virus RNA chiamato covid19. E allora la musica, in questo 2020, cosa ci ha aiutato a trovare? Probabilmente, rovesciando lo scritto di Chatwin, è stato un modo per trovare il mondo evitando la strada. Insomma la rinuncia ad andare in giro per il mondo ci ha spinto a trovare vie per ricercarlo stando chiusi in casa.
Come fare a ritrovare derive e approdi se vieni costretto fisicamente nei luoghi del già conosciuto? Come orientarsi e disorientarsi nell’unico modo che rimane: quello dell’immaginazione?
Il metodo che da sempre prediligo è quello della lettura e dell’ascolto. Ecco che quella banca dati che da sempre ci serve per decifrare il mondo in questo 2020 è diventata ancora più essenziale. Tendendo l’orecchio per ascoltare, sbrabuzzando gli occhi per leggere,  ho cercato di ricostruire alcune fughe, taluni vagabondaggi, certe peregrinazioni... percorsi immaginari e senza pretese cercando l’eco delle “vie dei canti” lungo l’anno appena trascorso. 

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“Era una tempesta diversa da tutte quelle che aveva già attraversato”.
Chiunque apra il nuovo libro di Roberto Calasso, La Tavoletta dei Destini (Adelphi) si troverà subito in una certa sintonia con la tempesta che stiamo vivendo in questi mesi pandemici. Fondendo il mito babilonese del Diluvio con il personaggio di Sinbad il Marinaio, la storia de "La Tavoletta dei Destini" si apre con l’arrivo di quest’ultimo sull’isola di Dilmun, dove il Noè babilonese, Utnapishtim, reo di aver salvato l’umanità dal volere di annientamento per acqua degli Dei, passa i suoi anni condannato ad una terribile immortalità.

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«Adesso ditemi: c'è il Diavolo, qui?» «Ce ne sono tanti. Ma non hanno l'aspetto che voi pensate.»
Dalla Lancimago del 1630, Eraldo Baldini ci trascina ne “La palude dei fuochi erranti” (Rizzoli) , un mondo sospeso tra religiosità e superstizione, un luogo tormentato da paure ancestrali, in cui è impossibile distinguere il naturale dal sovrannaturale, i giusti dai colpevoli, i carnefici dalle vittime.

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“Ascoltavo negli auricolari la melodia sognante e dolorosa del “Doppio concerto per violino e violoncello”. Quella notte, sulla strada deserta, mentre i netturbini spazzavano lo spesso tappetto di foglie secche, conobbi la potenza della musica di Brahms. Ci sono momenti in cui si è disarmati. È questo il destino: vedere le cose con chiarezza e sentirsi impotenti…”
È molto probabile che lo “spill over” che ha portato il virus a contagiare l’uomo sia avvenuto in Cina.
Se la letteratura è una finestra sulla realtà, l’antologia “Pechino pieghevole” di Hao Jingfang (add editore) è quella giusta a cui affacciarsi per capire la Cina e le trasformazioni che sta attraversando.

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“Continuo a guardare in basso verso la voragine muta e la distesa di alberi illuminati dalla luce che viene dallo spazio muto. Poi, a poco a poco, prima piano poi sempre più forte, sento salire dal fondo un canto che non avevo mai ascoltato prima. L’ascolto, con gli occhi chiusi, in silenzio, spenzolato su questo abisso di buio e di luce.”
La distruzione e lo sfruttamento intensivo delle foreste rappresentano una minaccia per il clima e la biodiversità globale, ma non solo: foreste tropicali indebolite costituiscono anche un terreno fertile per pericolosi agenti patogeni. Proteggere le foreste significa anche proteggere l'umanità. L’abbiamo capito? Ascoltare il “Canto degli alberi” di Antonio Moresco (Aboca) può tornare utile per comprendere la gravità dell’antropocentrismo.

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“Se avremo paura, fin quando avremo paura di avvicinare la guancia alla guancia e le labbra alle labbra, temo che la barbarie prevarrà sulla civiltà, e temo che l’estinzione sarà il solo orizzonte del nostro futuro”
Quest’anno ci ha ricordato come l’estinzione dell’essere umano è uno scenario attinente alla sfera del possibile e non più della fantascienza. Proprio di questo ci parla: "Fenomenologia della fine" di Franco Berardi Bifo (Not/nero)

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“Solo qualcosa che prova dolore è capace di creare un suono che ci lascia entrare”
Intriso di dolcezza senza pietà, il romanzo di Ocean Vuong rimanda all’occhio dell’ animale, riportato in copertina, che va incontro, guardandola, alla canna del fucile che forse lo ucciderà – o forse, al contrario, lo grazierà. E ci ricorda che, quando ci va bene, “Brevemente risplendiamo sulla terra” (La Nave di Teseo)

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"Stasera ti porto in un posto. Devi essere un elefante per entrare. Secondo me tu sei come noi..”
“La mischia” di Valentina Maini (Bollati Boringhieri) ci racconta il rapporto, simbiotico e quindi lacerato, tra due gemelli baschi nati agli inizi degli anni ’80 da una coppia di militanti e terroristi dell’ETA. Jokin, batterista eroinomane, sembra ricalcare le orme dei genitori, mentre Gorane, ambigua e introversa, prova a scostarsi dal loro insegnamento rifugiandosi in un mondo astratto che prosegue dentro di sé. A unirli però c’è un sentimento viscerale, anarchico, incomprimibile, un elefante fatto di molti elefanti. Come quello nella parete del club parigino dove Jokin suonerà…

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“Chiamatemi Lazzaro. Perché per raccontarvi questa storia sono tornato dal regno dei morti”
Le Zattere è un complesso di edifici abbandonati dove si è insediata, dandosi proprie leggi, una comunità di immigrati irregolari. Quel rifugio normalmente sarebbe un incubo per uno col credo politico di Sergio Stokar, il protagonista di “Nero come la notte” di Tullio Avoledo (Marsilio). Ma è un incubo in cui è costretto a rimanere, adattandosi a nuove regole e a convivere con una realtà che un tempo avrebbe rifiutato.

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La prima volta che l'ha vista, la bambina era in gabbia.
L'ultima volta che l'ha vista, era libera".
“L'ultima cavalcata”, presente in “BROKEN” di Don Winslow (Harper Collins) è forse il miglior racconto finora scritto sul muro tra USA e Messico voluto da Trump.

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“un minuto nel quale si annaspa per emergere, per tenersi un lavoro, un minuto per affermarsi, un minuto per aggrapparsi a qualcosa o qualcuno e illudersi. Noi quel minuto non lo cercheremo più – le disse battendosi il pugno sul cuore – Mai più. Presto sarebbe scesa la notte. E loro amavano viaggiare nell’oscurità. Alla ricerca del giorno. Per negazione”.
La lotta di classe veste in noir nel romanzo “Gleba” del collettivo Tersite Rossi (Pendragon).
Nonostante molte delle storie narrate sembrino disperate, il libro sembra aprirsi alla speranza che sia possibile comunque sottrarsi al gioco della prevaricazione per imparare il mestiere più difficile, quello di vivere.


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Partitura per una reclusione

● Quella strana alchimia tra lettura e ascolto

 
 

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