ReadBabyRead #87 del 23 agosto 2012


Jun'ichirō Tanizaki: "Libro d'ombra"

23 Agosto 2012


Jun'ichirō Tanizaki

Libro d'ombra (brani)


per info su Franco Ventimiglia e Claudio Tesser:



www.letturaealtricrimini.it



Legge: Franco Ventimiglia



Tanizaki Jun'ichirō
Libro d'ombra


Considerato da parte della critica come il capolavoro di Tanizaki, “Libro d’ombra” è citato in una delle lettere di Yukio Mishima a Yasunari Kawabata (15 aprile 1946), in cui lo scrittore più giovane affermava che non c’era necessità di questo libro per comprendere che il “Giappone è sempre stato, ai piedi del continente asiatico, una pianura avviluppata dall’immensità della notte”. Forse Mishima aveva ragione, se si considera l’ottica di una lettura da connazionale che ben conosce le differenze e che si appresta, anche lui, a mettere su carta lo spirito nazionalistico che lo avvolge. Ciò che forse non aveva tenuto in considerazione è il fatto che Tanizaki, prima di lui, dopo l’interessamento sincero all’Occidente, aveva compreso l’urgenza di preservare l’identità nazionale, con un saggio importante che è rivolto prima di ogni cosa al Giappone stordito dalla modernità.

Tanizaki, noto come lo scrittore dell’epoca moderna più censurato in Giappone (la “x” sostituiva le parole ritenute più sconvenienti, tanto che lui stesso non ricordava più le versioni originali dei suoi scritti), al di là degli elementi più comuni, come le luci elettriche, i semafori, le stufe, i vetri, i cristalli, i dolci, il teatro tradizionale, la fotografia del cinema, le delizie della cucine, le pause nel linguaggio, la carta opaca che trova soffice e cedevole come la prima neve, la forma delle grondaie che si allunga per intensificare l’ombra degli interni, la luce fioca dei ristoranti tradizionali a cui le luci elettriche hanno tolto la poesia, passa in rassegna una serie di elementi, anche bizzarri su cui non avremmo mai focalizzato la nostra attenzione: i fantasmi giapponesi rappresentati senza gambe o gli utensili che gli occidentali lucidano fino a far brillare, mentre in Oriente li si lascia annerire per fargli acquisire la patina del tempo perché così “i versi incisi nei piatti acquistano la sembianza di ciò che è prossimo a scomparire, ed armoniosamente si incorporano alla materia entro cui furono scavati”.

Ancor più stravaganti sono i passi dedicati al bagno giapponese, o meglio al gabinetto “interamente concepito per il riposo dello spirito”, richiamando lo scrittore, citato in diverse occasioni e non a caso, Natsume Soseki che “tra i sommi piaceri dell’esistenza annovera le evacuazioni mattutine: piacere fisiologico, fra lisce pareti di legno dalle sottili venature, mirando l’azzurro del cielo ed il verde della vegetazione, si può assaporare sino in fondo. Insisto: sono necessari una lieve penombra, nessuna fulgidezza, la pulizia più accurata, ed un silenzio così profondo che sia possibile udire lontano un volo di zanzare”.

Solo la natura esteta può scrivere pagine e pagine sulla raffinatezza del luogo che per noi occidentali è sinonimo di imbarazzante “sconvenienza”, come afferma. Ed invero, Tanizaki non potrebbe che restare stupito al sapere oggi che il bagno giapponese moderno, con tutta la sua tecnologia, è probabilmente una delle cose da cui gli occidentali restano più affascinati. La lezione sembra esser stata assimilata, anche se nulla della bellezza di cui narra possa esservi ravvisata.

Tutto ciò potrebbe apparire come l’elogio della superiorità giapponese, ma come ho già precisato, altro non è che un monito ai connazionali di allora e del futuro di preservare la propria identità, pur nell’apertura alla modernità introdotta dall’Occidente.

Tanizaki si rammarica del fatto che il Giappone, all’inizio, non si è concentrato sulla ricerca nella scienza, nella fisica, chimica o quant’altro, con un proprio metodo e l’obiettivo di creare in autonomia, secondo le proprie attitudine. Allo stesso modo ciò è accaduto nella letteratura ed in tutte le altre arti. L’atteggiamento servile ha prodotto l’introduzione selvaggia di un’estraneità alla natura giapponese.
Non dimentichiamo che Tanizaki si pone in quella schiera di letterati, tra i più rappresentativi riconosciamo come noti in Occidente Natsume Soseki, Nagai Kafu, Ryunosuke Akutagawa, Dazai Osamu, Yasunari Kawabata, Yukio Mishima, che seppero, ognuno secondo il proprio stile, trovare terreno fertile nel recuperare la tradizione, innovandola e discostandosi dalla semplice e pura assimilazione dell’Occidente.
Tanizaki,  con questo saggio,  dimostra però di aver appreso la lezione di Natsume Soseki che era stato il primo ad analizzare la pericolosità della forzatura dell'Occidente nel suo complesso, e non solo in letteratura.

“Ho scritto queste pagine perché penso che, almeno in certi ambiti, per esempio in quello dell’arte, o in quello della Letteratura, qualche correzione sia ancora possibile. Vorrei che non si spegnesse anche il ricordo del mondo d’ombra che abbiamo lasciato alle spalle; mi piacerebbe abbassare le gronde, offuscare i colori delle pareti, ricacciare nel buio gli oggetti troppo visibili, spogliare di ogni ornamento superfluo quel palazzo che chiamano Letteratura.
Per cominciare, spegniamo le luci. Poi si vedrà”  

Jun’ichiro Tanizaki, “Libro d’ombra”, Milano, Bompiani, 2007. Traduzione a cura di Atsuko Ricca Suga. Introduzione di Giovanni Mariotti.  



Jun’ichiro Tanizaki (1886-1965), annoverato tra i grandi e prolifici scrittori giapponesi, è stato anche uno dei più precoci avendo iniziato a comporre versi sin da bambino. Dalla forte influenza occidentale degli anni ‘20 si staccò dopo il grande terremoto di Tokyo (1923) con il ritorno progressivo e sempre più appassionato alla cultura tradizionale. La sua produzione letteraria è racchiusa in 30 volumi, con esclusione degli adattamenti in lingua moderna del Genji Monogatari di Murasaki Shikibu, delle poesie e delle lettere. Molti dei suoi scritti furono presi in prestito dal cinema (quarantaquattro, infatti, le pellicole realizzate). (1886-1965), annoverato tra i grandi e prolifici scrittori giapponesi, è stato anche uno dei più precoci avendo iniziato a comporre versi sin da bambino. Dalla forte influenza occidentale degli anni ‘20 si staccò dopo il grande terremoto di Tokyo (1923) con il ritorno progressivo e sempre più appassionato alla cultura tradizionale. La sua produzione letteraria è racchiusa in 30 volumi, con esclusione degli adattamenti in lingua moderna del Genji Monogatari di Murasaki Shikibu, delle poesie e delle lettere. Molti dei suoi scritti furono presi in prestito dal cinema (quarantaquattro, infatti, le pellicole realizzate).

Tra le sue opere principali: Il tatuaggio (Shisei, 1910), Il diavolo (Akuma, 1912), Jotaro (Jotaro, 1914), La morte d’oro (Konjiki, 1914), Pianto di sirena (Ningyo no nageki, 1916), Morbose fantasie (1918), I piedi di Fumiko (Fumiko no ashi, 1919), Nostalgia della madre (Haha wo kofuru ki, 1919), L’amore di uno sciocco (Chijin no ai, 1924), Storia di Tomoda e Matsunaga (Tomoda to Matsunaga no hanashi, 1926), Gli insetti preferiscono le ortiche (Tade kuu mushi, 1928), La croce buddista (Manji, 1931), Yoshino (Yoshino Kuzu, 1931), Racconto di un cieco (Momoku monogatari, 1931), I canneti (Ashikari, 1932), Ritratto di Shunkin (Shunkinsho, 1932), Libro d’ombra (Inei raisan, 1933), Vita segreta del signore di Bushu (Bushuko hiwa, 1935), La gatta, Shozo e le due donne (Noko to Shozo to futari no onna, 1936), Neve sottile (Sasame Yuki, 1943-1948), La chiave (1956, Kagi), Il ponte dei sogni (Yume no Ukihashi, 1959), Diario di un vecchio pazzo (Futen rojiin nikki, 1962). Dopo la morte, avvenuta il 30 luglio 1965, esce postumo “La primavera dei miei settantanove anni”.

Jun’ichiro Tanizaki, “Libro d’ombra”, Milano, Bompiani, 2007. Traduzione a cura di Atsuko Ricca Suga. Introduzione di Giovanni Mariotti.  
 
2009, Movida su lankelot.eu


Le Musiche, scelte da Claudio Tesser

Arturo Benedetti Michelangeli, Preludes livre 1° e 2° (Claude Debussy)          
Philippe Entremont, Gymnopedie (Erik Satie)

 
 

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Jun’ichirō Tanizaki con la moglie in una foto di Tadahiko Hayashi (1971)

 
 

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