Il poemetto libertario antifascista di una tra le più grandi poetesse moderne

ReadBabyRead #78 del 21 giugno 2012

Amelia Rosselli: "La libellula, panegirico della libertà" (1/2)

21 Giugno 2012

Amelia Rosselli



La libellula, panegirico della libertà (parte 1 di 2)





per info su Franco Ventimiglia e Claudio Tesser:



www.letturaealtricrimini.it




Legge: Sarah Ventimiglia


Figlia di Carlo Rosselli – il fondatore del movimento “Giustizia e Libertà”, esiliato in Francia e assassinato dai fascisti, con il fratello Nello, a Bagnoles-de-l’Orne nel 1937 – e dell’irlandese Marion Cave, la poetessa Amelia Rosselli nasce a Parigi nel 1930. Vi trascorre gli anni dell’infanzia e degli studi elementari, quindi si rifugia – a causa dell’antifascismo e dell’origine ebraica della sua famiglia – prima in Inghilterra poi in America, dove compie gli studi ginnasiali e liceali.
All’età di diciannove anni approda definitivamente in Italia, a Roma, dove si guadagna da vivere come traduttrice per la casa editrice “Comunità” di Olivetti e, nel contempo, si confronta con la scrittura poetica, scegliendo, tra le lingue praticate, l'italiano.

Si tratta tuttavia di un italiano consapevolmente e letteralmente abnorme, ibridato con il francese e più spesso l'inglese, una lingua frutto di un plurilinguismo diasporico che porta Rosselli a prendere le distanze da tutti i modelli consacrati e a collocarsi al di sopra delle alternative ordinarie, manipolando e modificando 'biologicamente' la lingua, costruendo le trame di un’antidisciplina grammaticale rivolta a stanare quei meccanismi che da sempre fanno della parola uno strumento del potere. 

Se da un lato quindi la poetessa, nella sua profonda impazienza dei limiti sociali ed estetici, rivendica la necessità di trasgredire le convenzioni linguistiche per spingere il linguaggio ad aderire alla realtà dell’esperienza, dall’altro scopre il caos che attraversa il flusso del reale e cerca di arginarlo all’interno di strutture chiuse e compatte fondate sui modi dell’anafora e dell’iterazione, sulla definizione di nuovi vincoli metrici, nel tentativo di ritrovare una classica e nel contempo innovativa regolarità.

La sua poetica, risultato di un percorso – tragicamente segnato dalla Storia – tra più paesi, lingue e letterature, sfugge agli schemi di percezione e di classificazione dei suoi commentatori, i quali, a partire da Pasolini, continuano a vedere nei suoi deliberati giochi linguistici delle incontrollabili fughe (o fuoriuscite, per usare una parola cara ad Amelia) di pensieri e parole.

Rosselli è infatti considerata più un fenomeno a sé che un modello estetico capace di mettere in discussione quelli in circolazione nel campo letterario italiano, in ragione dell’estraneità alla tradizione poetica italiana, dell’inusuale trilinguismo, di modelli letterari americani e femminili, di un originale ibridismo linguistico – in Italia ancora largamente intentato.

Certo un caso come quello di Amelia Rosselli presenta molti elementi di eccezionalità che si prestano alla mitizzazione, contribuendo ad assicurarle una fama tale da salvare la sua opera dall’oblio – non ultimo il suo suicidio, l'11 febbraio del 1996, lo stesso giorno della poetessa americana Sylvia Plath, magnificamente tradotta dalla nostra. Tuttavia una celebrità fondata sugli aspetti più drammatici della ben nota biografia può occultare la rilevanza, l’originalità, la profonda consapevolezza della sua ricerca poetica, e il posto che le spetta nella storia transnazionale della poesia.

“Se è vero che l’esperienza di Amelia Rosselli è qualcosa di diverso e distante da tutto quello che conosciamo come poesia, dipende proprio dal suo posto. Diciamo allora che è fuori ([…] Zanzotto: ‘Amelia Rosselli presenta quasi brutalmente quella che è oggi la sua distanza e quella che è la sua presenza […] è nata dentro questo ‘scrivere’, non può uscirne; e nello stesso tempo ne è fuori, da sempre lo contesta’): fuori dalla “normale” successione lineare dell’imperio poetico […], fuori soprattutto da quanto sentiamo legittimo chiedere, alla poesia e all’arte. […] Quando diciamo che con Amelia Rosselli muore la poesia non piagnucoliamo solo una protesta infantiloide. Pensiamo invece venute meno le condizioni di una certa poesia: tanto più rara e non modellizzabile in quanto non solo frutto dell’applicazione del talento individuale e dello smaliziato uso della tradizione. Ma anche di circostanze storiche, oltre che imperdonabili, irripetibili.
E’ arrivato dunque il momento di pensare il posto di Amelia Rosselli che, “si finisce per sospettare, dopo una notte insonne, equivalga a dire il posto stesso della poesia” (Andrea Cortellessa)".

Sarah Ventimiglia


La libellula
Panegirico della libertà

Il poemetto antifascista di Amelia Rosselli.

“…Le redini/ si staccano se non mi attengo al potere della/ razionalità lo so tu lo sai lo sanno alcuni ma/ ugualmente la cara tenda degli scontenti a volte/ perfora i miei sogni” (A. Rosselli, La libellula, in Le poesie, Garzanti, Milano 2009). Questi versi sono tratti dall’opera d’esordio di Amelia Rosselli, La libellula, poemetto del 1958 che è, come dice il sottotitolo, un “Panegirico della Libertà”. Rosselli ereditò l’amore per la libertà da suo padre Carlo e da suo zio Nello, entrambi attivisti antifascisti. Ebbero infatti un ruolo fondamentale nella lotta al fascismo in Italia.

Se provi a leggere verso per verso le poesie di Amelia Rosselli, non riuscirai a capire niente: è che lei ha ricercato la libertà in tutte le sue misure. Per lei tutte le parole, finanche le congiunzioni, esprimono un’idea minima e solo l’insieme di più versi può significare un pensiero intuibile. Inoltre Rosselli non scrive: canta. Trasforma il semplice verso in un rigo di pentagramma dove non esistono più accenti e pause ma durate, lunghe, lunghissime, o brevi, fondando una prosodia che si sforza di riallacciarsi a quella di Omero, Archiloco e Saffo, così profondamente arcaica da essere profondamente innovativa. La musica ebbe, infatti, parte rilevante nella sua vita: studiò teoria musicale, etnomusicologia e composizione. Spazi metrici, del 1962, raccoglie queste sue riflessioni.

Anche Variazioni belliche, sua prima raccolta di poesia, pubblicata nel 1964, riportando l’esperienza di una guerra interiore, è un panegirico della libertà, della libertà dai significati. Qui le parole si muovono senza vincoli semantici e assumono sensi inaspettati, il più delle volte reconditi: “e se la luna intensa si ripiglia le sue corna/ e se il mare è musco e se il sole e brama, cade” (Variazioni belliche, op. cit.).
Nella raccolta Serie ospedaliera, del 1969, la parola, come un organismo biologico, è in continua evoluzione, composizione, decomposizione, illuminata da una luce, la ragione, che tenta di dare ordine al magma di vita e di morte. La poesia è infatti percorsa da una speranza instancabile che mira a conquistare certezze nella nostalgia di qualcosa, di una “tenerezza”. La stessa speranza sta sullo sfondo delle altre opere: Impromptu (1981), Appunti sparsi e persi (1983), Diario ottuso (1990) e Sleep. Poesie in inglese (1992). Ma alla fine, la speranza instancabile viene frustrata, e si perde irrimediabilmente. “Mi truccai a prete della poesia ma ero morta alla vita”: anche Documento (1976) porta i segni di una speranza disperata.
Il primo che si accorse della tensione libertaria e della vena disperata di questa poesia, fu Pierpaolo Pasolini che pubblicò su “Il Menabò”, nel 1963, ventiquattro componimenti di Rosselli parlando, appunto, di poesia di lapsus.

Ho incontrato Amelia Rosselli. Ho abitato per sette anni nel palazzo dove anche lei viveva, in pieno centro storico romano, ed ho passato negli anni, tanto tempo a osservarla cercando di non farmi notare.
All’inizio non sapevo chi fosse quella donna strana e riservata che mangiava sempre da sola nei ristoranti del quartiere, gli occhi sbarrati e lo sguardo fisso davanti a sé, con un timbro di voce cupo e mascolino. La mia era una casetta al piano terra di via del Corallo, con un affaccio sul cortile interno dove nessuno, se non mio marito ed io, accedeva. La prima volta che la vidi fu per un episodio buffo, quando, appena sposata, invitando amici a cena, avevo affisso sul mio cancello un cartello più che artigianale con la dicitura: “Osteria da zi’ Pasquale, paghi tanto e magni male”, cartello rimosso immediatamente dopo la cena. La mattina dopo, avvertendo insoliti passi nel cortile, mi trovai davanti Amelia Rosselli che mi chiedeva che genere di ristorante avessimo aperto… Col tempo seppi chi era, della sua storia personale, di una vita segnata da tragedie familiari e dell’esperienza dell’esilio, per motivi legati alla politica antifascista di suo padre e di suo zio: esso segnò, insieme alla perdita del padre, profondamente la sua vita.

Non si sa di preciso cosa abbia condotto Amelia Rosselli l’11 febbraio 1996 al suicidio. Alcuni dicono sia stato un forte esaurimento nervoso: non ammetteva la diagnosi del morbo di Parkinson da cui era affetta in forma non grave, né quella di schizofrenia paranoide, dichiarando di aver dovuto subire ricoveri per meningite. Ma probabilmente la motivazione è da rintracciare altrove. Come disse lei stessa: “Scrivere è chiedersi come è fatto il mondo: quando sai com’è fatto forse non hai più bisogno di scrivere. Per questo tanti poeti muoiono giovani o suicidi”. Allora anche il suicidio si configura come desiderio di libertà. E anche il desiderio di liberarsi dalla vita si fa letteratura. Si riallaccia ai filosofi cinici dell’antica Grecia, a Seneca, all’Aiace di Sofocle, agli eroi di Alfieri, a Sylvia Plath, poetessa amata da Rosselli. E allora liberarsi dalla vita diventa non desiderio di morire, ma voglia di vivere. Di vivere per sempre, davvero, solo dentro alle proprie parole.

Cecilia Bersani e Davide Di Poce


Le Musiche, scelte da Claudio Tesser

Quartetto italiano, Quartetto per archi in sol (Claude Debussy) 
Tim Buckley, Sing a song for you (Tim Buckley)
The Borodin Trio, Piano trio in la minore (Maurice Ravel) 
Cat Power, Found a reason (Lou Reed) 
Quartetto italiano, Quartetto per archi in fa (Maurice Ravel) 
Cat Power, Evolution (Chan Marshall)

 
 

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Una foto della giovane Amelia Rosselli

 
 

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