Una grande mostra inedita nata per celebrare i 40 anni di una delle esperienze musicali più interessanti della storia del punk - La mostra è stata prorogata fino al 10 marzo 2024!

FELICITAZIONI - La mostra ai Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia

La cellula dormiente dei CCCP si è risvegliata

3 Marzo 2024

È ormai trascorsa più di una settimana dalla mia visita alla mostra Felicitazioni sui CCCP a Reggio Emilia, e nonostante sia ormai fuori dal momento “wow”, mi ritengo, ancora, sostanzialmente entusiasta. 

È difficile spiegare questa ebbra sensazione agli altri, d’altronde non tutti abbiamo vissuto la medesima esperienza e per quanto io per prima mi spenda nella critica musicale, so bene che l’approccio alla musica è per forza di cose soggettivo. Siamo influenzati da umori, sentimenti e, anche se può sembrare poco convenzionale oggi, da ideologie.

Il mio primo ascolto fu effettuato, chiaramente, data l’appartenenza anagrafica, anni dopo (o meglio decenni) dallo scioglimento del gruppo (oltre che dell’Unione Sovietica stessa).

La diapositiva che si affaccia nella mia mente è composta più o meno così:

Kefiah, Marlboro, megafono e bomboletta spray rosso scarlatto. Cassa marshall da 35 watt, corrente elettrica ‘a scrocco’ da un bar amico, chitarre elettriche senza marca recuperate dal negozietto di musica di Nicola, ed eccoli lì, gli accordi magici dal sapore punk-filosovietico, RE SIm FA#. Nuvolette di fumo, aria grigia e stantia, CD masterizzati su Emule ascoltati nell’impianto hi-fi, tra i busti ed i quadri di Lenin, nel vecchio circolo del PCI in un paesello di provincia del sud: quelle lyrics sembravano così politicizzate, dal sapore nostalgico ‘duro’ ed ‘arcigno’, così lontano dagli arpeggi forse ‘morbidi’ del un po’ reggae un po’ elettronica di quei gruppi che risuonavano perennemente dal camioncino dei cortei.

Ho comprato il cd originale” mi disse euforico il compagno Peppe M. mentre metteva Affinità e divergenze a tutto volume facendo gracchiare pesantemente le casse stereo della sua fiat panda rossa. 

Prima di farmi prendere dalla vertigine nostalgica, riavvolgo il nastro e torno al 2024. 

Sono trascorsi 40 anni dal 1984, l’anno di nascita del gruppo CCCP - Fedeli alla linea. I Chiostri di San Pietro, nel pieno centro di Reggio Emilia sono un complesso architettonico che assomma la raffinatezza di una grandiosità sacrale all’incompiuto, allo sfacimento, all’urto, breccioline e polvere bianca sporcano i miei stivali, prendo i biglietti ed entro nel Chiostro Grande. 

Al centro di esso fa capolino una lastra originale del Muro di Berlino proveniente dal quartiere di Treptow, assieme ad una Trabant, quell’iconica automobile prodotta negli anni ‘50 dalla fusione del ferro e dell’acciaio della DDR. 

Ingoiata come un rospo l’immagine del passare sotto un corteo di bandiere ‘morte’ (quelle degli Stati Socialisti che componevano l’URSS) si aprono ai miei passi le sontuose ed affrescate sale del piano terra. Ironia della sorte sono sette, proprio come le esperienze musicali proposte dal gruppo, dove all’interno di ognuna di esse, c’è un ricordo di ogni disco, tra oggetti, abiti, giornali, dischi ma anche rappresentazioni ‘egocentrate’ prendendo un po’ in prestito dal gigantismo russo. I sottofondi musicali sono molteplici, e non per forza tratti dai dischi degli emiliani.

Le sale del piano terra sono dunque sette e intitolate in maniera omonima: Ortodossia, Affinità e divergenze, Socialismo e barbarie, Compagni cittadini fratelli partigiani, Canzoni preghiere e danze, Epica Etica Etnica Pathos, Tomorrow (dal singolo con Amanda Lear). 

Di questa rappresentazione colma e piena mi restano impresse un po’ di cose: in primis la tavola ottagonale proveniente dal PCI reggiano, in una riproduzione di una vera ‘sezione’ reggiana (quella di Via Marsala) tra una libreria strabordante di libri Editori Riuniti, macchine da scrivere, puntali di bandiere. Tra questo arredo spunta proiettato su di un muro il testo di Oh Battagliero, la loro canzone - per forza di cose - più emiliana. 

In secundis, un po’ inquietante ma del tutto in stile CCCP, la statua gigantesca della band riprodotti come eroi del Socialismo, eterni, scampati, quelli che in totale fragilità a tutto hanno resistito, a tutto hanno creduto, ondeggiando tra l’osare perdere, l’osare vincere, l’osare l’impossibile. Non l’ho trovata di cattivo gusto, o meglio, non più della foto tra Ferretti e Meloni, per dire.

Infine, le fotografie di Luigi Ghirri nella sala 6, sono così autentiche, naturali, quel gruppo così maestosamente rappresentato da una mostra di questo livello risulta così reificato in quel che sostanzialmente erano: giovani amici musicisti impegnati a fare musica ma soprattutto a fare spettacolo. Quasi avrei voluto essere ritratta tra quei volti, magari accanto a quel Giorgio Canali dal ghigno indispettito.

Quando sembra ormai tutto finito (e probabilmente mi sarei ritenuta comunque soddisfatta) è proprio qui che viene il meglio. 

Salgo uno scalone pericolante ed altissimo, ho il ricordo delle vecchie strutture manicomiali, un po’ panottiche un po’ squadrate. Ad ogni passo la sensazione è che qualcosa stia cambiando repentinamente. 

Al secondo piano non ci sono spiragli di luce, i neon sono lividi, i soffitti sono alti, i pavimenti sono sconnessi o non presenti, il freddo rincara. 

Prima di affacciarsi in un labirinto in cui indovinare l’uscita, ecco la stanza ‘giornale’ in cui vengono riprodotti a raffica i titoli della carta stampata riguardanti i CCCP. Sono ora negativi o entusiasti, ora positivi o condannanti, da Famiglia Cristiana a L’Unità, il riassunto di tutto ciò è un titolo, Sono come tu mi vuoi / Non sono come tu mi vuoi.

Strizzando gli occhi per i neon repentini si apre un piccolo stanzino di quart’ordine chiuso solo da un drappo rosso teatrale, siamo nella stanza Allerghia per assistere al video (di cattivissima qualità…) dell’esperimento teatrale del gruppo, ora capisco perchè naufragato.

Di particolare interesse, come se fossi di nuovo in una stanza del Tate Britain di Londra, le miriadi di mini televisioni dal tubo catodico, tutte collegate. Reclame è la somma delle tentazioni ricevute dai CCCP, restano gli studi folgoranti, resta il fuori luogo, potrebbe uscirne una morale, quantomeno un consiglio da seguire.

Di impatto - e come non esserlo - la stanza Tienammen, al cui centro campeggia un abito bianco macchiato di rosso, mentre sullo schermo vengono proiettati due video contrapposti, da un lato una parata militare a Pechino con sottofondo Emilia Paranoica, dall’altro un ragazzo che - in chiave orientale - canta Io sto bene in pubblica piazza sfidando le regole repressive.

Chiudo le spalle e passo tra volti giganti della Dirigenza della DDR, con sottofondo dell’inno sovietico, i CCCP scrivono a riguardo qualcosa che infastidisce i più convinti vetero “inni nazionali che sconfinano nei mari di sangue cambogiano”.

Finalmente la chicca: tra tantissimi audio-amplificatori che cadono dall’alto, si ascolta un pezzo su un nastro da ¼ di pollice conservato come in una scatola del tempo per 40 anni. Dato per perso ma ‘miracolato’ grazie alla scienza sonora dei tempi odierni, ho ascoltato per la prima volta Onde, la trovo gradevole, ma forse più per tutta la storia che c’è dietro. 

Ed eccoci nell’ultimo grande salone, a sinistra e a destra compaiono tantissime stanzette ognuna dedicata a qualcosa (dagli abiti di scena, alle grafiche utilizzate per promo dei concerti, bozzetti et similia), tra le stanze che trovo più interessanti c’è quella ‘a specchio’ in cui vengono proiettate immagini di guerre odierne, dall’Afganistan alla Palestina e qui ci si sente un po’ canzonati da chi scrive di “Perdersi nel proprio tempo, con intelligenza”, non meno interessante la stanza Lombroso, in cui campeggia al centro un letto di ferro a riprodurre il manicomio di San Lazzaro. È lì che emerge la psichiatria come ossessione, le litanie del Valiumtavorserenase, il Roipnol fa un casino, [...] con una sola invocazione: Curami.

Termina con la Sala Fedeli alla Lira: un’autoaccusa-celebrativa creata dagli stessi CCCP, in cui compaiono volantini degli skinhead, anatemi clericali, indecisioni comuniste. È lo squarcio ‘umano’, con la quale rappresentare al mondo che una sorta di autocritica c’era, sebbene fossero rappresentati come invincibili cinici.

Dei CCCP se ne sta riparlando da mesi, la mostra fa parte anch’essa di una riproposizione chiaramente commerciale della band, pronta a spiccare il volo nella ex DDR con date sold out e prossima ad organizzare un tour estivo italiano. 

Al di là delle contraddizioni politiche più recenti attribuibili a Lindo Ferretti, non si può che parlare di questa mostra in maniera positiva, e non solo per esser riuscita a storicizzare una band sinora circondata da un’aura mitologica, ma per aver sollevato e riproposto un’esperienza di quell’epoca, una storia che è accaduta Non a Londra, non a Berlino, non a New York, ma a Reggio a Modena a Parma, a Fiorano, a Sassuolo, a Carpi una storia italiana di cui, nel bene o nel male, facciamo parte.

 
 

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