Gli insoliti idioti

di Marco Rigamo

23 Novembre 2011

“Quando mi è arrivato il soggetto ho detto: questo film non ce lo faranno mai fare”. Roan Johnson

Le prime immagini che passano sullo schermo sono in bianco e nero. Clip da telegiornali  a cavallo tra gli anni '60 e '70: la presa del potere dei colonnelli in Grecia, l'uccisione del Che in Bolivia, il Maggio  francese (e anche italiano), il Vietnam, la polizia assassina ad Avola e Battipaglia, piazza Fontana, l'anarchico Pinelli “suicidato” in questura. Inizia così I primi della lista di Roan Johnson, pisano classe '74, nel suo debutto alla regia dopo esperienze diverse di sceneggiatura. Flash di storia di “solo” quarant'anni fa, così vicina e così lontana. Storia di conflitto sociale e di manovre autoritarie,  di ideali assoluti e di bombe di Stato, di lotte dure e di repressione sanguinosa. Storia in cui più di una generazione si è formata e spesso bruciata. Storia vera. E anche se risistemata dalla scrittura cinematografica è storia vera anche quella che racconta l'avventura dei tre protagonisti, iniziata il primo giugno 1970. Quando Pino Masi, nome di punta del Canzoniere Pisano, che con le sue canzoni di lotta “faceva anche mille persone”, riceve la soffiata che il paese è alla vigilia di un colpo di stato militare e trascina con sé in cerca di asilo politico all'estero due studenti liceali (compagni - il Lulli e il Gismondi - l'articolo davanti al cognome è obbligatorio) che erano andati da lui per un provino. I dubbi sono pochi. Se il Masi dice che siamo noi i primi della lista bisogna fidarsi. Si prende a prestito l'A112 amaranto del babbo e si va nella notte verso il confine jugoslavo.

Roan Johnson ha ricevuto da Lulli il soggetto, elaborato da un suo racconto scritto 40 anni dopo quell'episodio. Ha steso assieme a Davide Lantieri la sceneggiatura e ha con evidente affetto trasformato in immagini minimaliste la storia di due giovani sprovveduti  e di un appena più maturo paranoico, ancorché carismatico, cantautore ultrapoliticizzato. Ha preso una vicenda che a Pisa costituisce una sorta di leggenda metropolitana realizzando a basso budget, ma con notevole rigore filologico, una commedia paradossale sul complottismo e le atmosfere che hanno segnato una parte di quella stagione. Una serie di equivoci e di ingenuità rafforzerà  nei nostri eroi, durante la fuga, la convinzione che truppe armate stiano invadendo la capitale, portando questa cellula de L'armata Brancaleone dallo scansare il confine jugoslavo perché connotato da un militarismo minaccioso a essere catturati dalla più rassicurante polizia di frontiera austriaca assieme ai Carabinieri che li inseguivano, sconfinando pistole in pugno. E a proposito di confini Johnson sembra padroneggiare con sicurezza anche quello che separa la commedia dalla farsa, praticando qualche misurata incursione anche in questo campo:  la  tragicomica odissea dei tre protagonisti non scade mai nella pagliacciata, dallo scombinato snodarsi delle loro azioni la dignità non è mai assente.

E' possibile rinvenire in filigrana omaggi ai padri della commedia italiana, per primo il Monicelli de I soliti ignoti, ma l'autore struttura uno sguardo soggettivo originale e indipendente. Rischia (primariamente con la produzione) un racconto deprivato di qualsiasi presenza femminile per utilizzare un minuscolo episodio quale fotografia di un'epoca, di un modo di intendere le relazioni, di condividere le ideologie, quando “ideologia” non era parola dal sapore peccaminoso. Se Santamaria è ormai una sicurezza sul grande schermo così come a teatro (e una vena teatrale percorre tutto il film), molto convincente è il processo di identificazione dei due esordienti Turbanti e Cioni nei loro personaggi, l'ingenuo speranzoso e il rompiballe cromosomico. La ricostruzione della scenografia è essenziale quanto puntuale, l'iconografia politica mai debordante, ma è soprattutto il clima a essere riconoscibile, la grande illusione di cambiamento associata alla percezione dell'attraversamento di un conflitto impari, almeno per chi ha le coordinate anagrafiche e di appartenenza politica per farlo. Per chi ha l'età dei protagonisti è un pretesto per interrogarsi sulle radici di un conflitto in cui i ruoli di amico e nemico erano molto più chiari che al giorno d'oggi. Perché il conflitto muta di forma e di soggettività, ma ci riguarda ancora tutti. E se sui titoli di coda vediamo che i nostri eroi sono oggi finiti, chi più e chi meno felicemente, ai margini della società, forse non sono stati poi così idioti. Visto che sei mesi dopo, nel dicembre '70,  il principe Borghese tentava un colpo di stato militare, abortito sul nascere. “Quello che non ho / sono le tue pistole...”.

 
 
loading... loading...