Protomartyr: intervista al gruppo Post-Punk di Detroit per eccellenza

Un’interessante chiacchierata con Joe Casey, frontman del gruppo Protomartyr, in cui si parla di Detroit, di artwork, di come registrare album e molto altro

5 Dicembre 2023

In occasione della data al Locomotiv Club di Bologna del loro ultimo tour europeo abbiamo fatto una chiacchierata con Joe Casey, voce e frontman dei Protomartyr.

I Protomartyr sono una band nata a Detroit nel 2008 e formata da Joe Casey (voce), Greg Ahee (chitarra) Alex Leonard (batteria), Scott Davidson (basso).

La loro musica è caratterizzata da un mix di sfuriate post-punk e melodie taglienti, a cui si aggiungono testi poetici e politici, spesso ispirati dal vivere nella loro città natale. L’ultimo lavoro del quartetto, Formal Growth In The Desert, sesto album uscito a giugno, ribadisce il magistrale percorso del gruppo e la loro continua ricerca d'innovazione, confermandoli fra le migliori band del panorama Post-Punk Revival internazionale.

Qua sotto potete trovare la nostra intervista a Joe Casey, buona lettura!

Tu lavori nell'industria musicale da oltre dieci anni. Se qualcuno dovesse iniziare ad ascoltare la tua musica ora, come la presenteresti?

Joe:  Beh, se fossi costretto a farlo, direi che sono più di 10 anni di rumore con un tizio che ci urla sopra, ma sta lentamente migliorando man mano che si va avanti.

 E da quale album consiglieresti di partire? Di solito si tende a partire dal primo e poi si va avanti…

 Joe:  Beh, io sono sempre un fan di quello nuovo, quindi direi quello nuovo. E poi, se quello vi piace, potete andare indietro cronologicamente. 

Il primo album l'abbiamo registrato in tre ore, quindi è stato un po' frettoloso, mentre adesso abbiamo ben due settimane per registrare. Ci piace ancora suonare dal vivo le canzoni del primo (No Passion All Technique, 2012), anche se adesso può sembrare un po’ sciatto (sorride - ndr).

Qual è il significato del nome Protomartyr? Sembra qualcosa di biblico. 

Joe: Beh, credo sia il nome di Santo Stefano, che era un protomartire, ma onestamente l'ho scelto perché pensavo che suonasse bene e gli altri nomi che avevo per la band non erano così belli. Quindi quello che ho pensato è stato: «Ok, questo posso immaginarlo su una maglietta».

Tu sei originario di Detroit, che è nota per la musica e la General Motors, ma anche per le difficoltà economiche e la cultura. Pensando al film di Jarmusch Only Lovers Left Alive, Detroit viene mostrata come una città decadente e in difficoltà. Com'è la vera Detroit? Ha influenzato la vostra musica? 

Joe:  Beh, quel film di Jarmusch mi ha deluso. Non mi sembrava che la rappresentasse bene. Ma in parte è vero, in parte è molto degradata, molto pericolosa e povera. Però è una città piena di persone che ne hanno passate tante e che sono ancora lì e si arrangiano.

Ha influenzato la nostra musica proprio perché era possibile viverci con il tipo di lavoro che avevamo. Così eravamo in grado di avere un lavoro e anche il tempo di suonare. Inoltre c'è spazio per registrare, non si rischia di disturbare il vicino perché la casa accanto potrebbe essere vuota. 

La scena di Detroit è sempre stata underground e do it yourself. Si può passare dal suonare nel tuo scantinato o nel tuo garage a suonare in un bar o in un altro posto dove la gente viene a vederti. E’ un posto molto amichevole una volta superato l'involucro esterno. 

Guardando indietro, ti rendi conto di quanto il tuo ambiente ti stia influenzando. Mentre crescevo c'era musica della Motown sempre e ovunque, poi quando diventi un po’ più grande inizi ad andare ai concerti punk in città e poi alle serate techno quando vuoi fare un po' più di festa e tutto questo ti influenza.

Detroit è così piccola che le persone del concerto punk si sposteranno alla serata dance e così via, uno dopo l'altro: andranno semplicemente dove c'è il divertimento. Durante queste lunghe notti prendi ispirazione da tutte le cose che hai visto, dalle persone che hai frequentato, c’è molta mescolanza. Non ci sono persone che dicono: «Vado solo ai concerti punk», la gente va ovunque ci sia qualcosa di divertente.

Ci sono delle differenze tra la copertina del vostro ultimo album e quelle degli album precedenti: nell'ultimo c’è una foto non modificata, mentre negli altri erano rielaborate. Visto che ci sei tu dietro agli artwork, puoi spiegarne il processo artistico e le differenze?

Joe: Per i dischi precedenti funzionava così: mi veniva un'idea, andavo in una vecchia libreria e sfogliavo centinaia di libri per trovare l'immagine che cercavo, la ritagliavo e la realizzavo. 

In genere ho un'idea per la copertina di un disco molto prima di registrarlo e solo dopo si collega alla musica. Mi piacciono le immagini che non hanno significato, poi lo trovi ascoltando l’album e lì capisci perché per te sono rappresentative. 

Questa volta ho detto: «Conosco qualcuno che è un bravo fotografo (Trevor Naud - ndr), gli dirò la mia vaga idea e lui cercherà di catturarla».

L’ idea era quella di una donna che abbracciasse una statua. Lui l'ha realizzata facendo un mucchio di maschere diverse, ha ingaggiato gli attori e io l’ho trovato perfetto.

Poi volevo prendere la sua foto e fare la mia solita cosa: tagliarla e aggiungerci qualcosa, ma ho provato a farlo e mi sono detto:«Questo è un abbellimento inutile, non ho bisogno di aggiungere nulla, è già perfetto così com'è».

Il fatto di aver utilizzato degli attori è stata una scelta azzeccata perché si collega a uno dei temi portanti dell'album: aprirsi alla vita. Quindi ha senso che ci sia qualcuno dietro la maschera, un essere umano. 

Inoltre ha un'atmosfera teatrale, mi ricorda le vecchie maschere dell'antica Grecia.

C’è una costante evoluzione nel vostro sound, ad esempio nel vostro ultimo disco Greg ha introdotto la pedal steel e un'atmosfera western grazie alla sua recente esperienza nella realizzazione di colonne sonore. Qual è il segreto del vostro sound?

Joe: Beh, l'arma segreta credo sia Alex, il batterista. Nessuno suona la batteria come lui. Ho visto batteristi molto bravi guardarlo suonare e chiedersi: «Ma cosa sta facendo?». Non è che sia molto appariscente, non è molto jazz, ma può suonare qualsiasi cosa. Anche in una semplice canzone punk, e io ci sto solo urlando sopra, lui troverà un modo per farne uscire qualcosa fuori dal comune. 

Poi c’è Greg che è molto bravo con la melodia e ha sempre una sua trovata prima di registrare. Questa volta era: «Voglio usare la pedal steel» e lui non la sa suonare, neanche un po’. Ha scritto un mucchio di parti per la pedal steel e poi abbiamo assunto uno che la suonasse. E il tipo diceva: «Non posso farlo. È impossibile farlo su una pedal steel».

Così abbiamo dovuto adattarci a queste idee ma che finiscono sempre per funzionare. 

Nel disco precedente lui diceva: «Credo di voler far suonare dei musicisti jazz su questo disco» e io ho pensato: «Oh no, sarebbe terribile». Ma poi abbiamo coinvolto un gruppo di musicisti jazz ed è andata bene.Greg è sempre quello che ha la visione di come possiamo cambiare. Quando ti dice: «Voglio la pedal steel» ti sembra sempre una follia ma poi funziona veramente.

Greg in questo album ha fatto qualcosa di più che un lavoro come produttore.

 Joe: É come un co-produttore del disco, è molto utile avere quella persona della band che ha una visione. Perché siamo tutti un po' testardi e ognuno di noi potrebbe volere che l’album suoni in un certo modo, ma poi si lavora sempre insieme sulle canzoni. Greg è quello che fa in modo di unire le singole esigenze della band e ci permette di comunicare: è lui quello intelligente. Ioe Scott, il bassista, ci sediamo e basta e diciamo: «Puoi fare quello che vuoi». Quindi è una cosa che Greg ha cercato di realizzare. E spero che abbia l'opportunità di produrre la musica di qualcun altro e vedere come suona perché ha orecchio per farlo.

Perché indossi un completo quando ti esibisci? Alcune band post-punk come i Joy Division si vestivano con camicia e pantaloni in maniera simbolica.

Joe: Ci sono diversi motivi: il primo è perché quando abbiamo iniziato col gruppo io e Greg lavoravamo come portieri di un teatro, quindi dovevamo indossare un completo nero e fondamentalmente tenere la porta aperta. Così capitava che, uscito dal lavoro, andavo direttamente ad esibirmi a un concerto e semplicemente rimanevo vestito come prima. Il secondo motivo è che il completo ha molte tasche e puoi tenerci dentro le birre. Il terzo motivo è che ti snellisce, ti fa sembrare meno grasso, consiglio a tutti di farlo. Quindi adesso mi sono anche un po’ fissato ad indossarlo.
Il quarto motivo è che ci sono molte band che vogliono sembrare il più cool possibile provando le mode più recenti, ma io ero già abbastanza vecchio quando abbiamo creato la band, perciò ho pensato che se avessi provato a vestirmi cool sarebbe risultato terribile, quindi preferisco apparire il più semplice e il più formale possibile, così non devi stare a  pensare a cambiare il taglio di capelli o il tuo stile ogni 5 minuti. Un'altra cosa utile è che, se sembri sempre uguale, sembri non invecchiare e le persone non lo noteranno. Se pensi a Johnny Cash vestiva sempre in nero, era perfetto. Lui non pensava mai: «Dovrei vestirmi di rosa stasera? No, mi vestirò di nero».

Che musica ascolti ultimamente?

Joe: Quando registriamo un disco cerco di non ascoltare nessun tipo di musica perché non voglio che mi rimanga in testa, perché il mio cervello poi ne potrebbe rubare alcune parti molto facilmente, potrei pensare che sia una mia idea ed invece è qualcosa che ho sentito. Quando torno a casa, credo perché sono un uomo di una certa età, mi sono appassionato a musica più tranquilla. C’è una band recente che ha appena realizzato un album, si chiamano Lewsberg. Loro hanno un suono alla Velvet Underground, la versione più tranquilla dei Velvet Underground, sono molto poetici, minimali ed il loro suono è molto dilatato, ha un specie di effetto calmante.Io ho iniziato ad ascoltarli parecchio perché abbiamo suonato alcuni concerti con loro durante il tour e ho apprezzato molto il loro ultimo album.

Prevedete qualche cambio del vostro sound in futuro?

Joe: Sono sicuro che Greg abbia già qualche idea, ma non si sa ancora quando le applicheremo. Più invecchiamo più è difficile  capire quando riusciremo a trovarci tutti insieme a registrare. Alex vive a New York adesso ed il resto della band vive nell’area di Detroit, quindi incontrarsi non è semplice. Fortunatamente il prossimo anno iniziamo a lavorare su del materiale nuovo. Ho buttato giù alcune idee e sono sicuro che Greg stia pensando a qualcosa. Ma non puoi mai saperlo finché non ci sei.

In un'intervista hai detto di non essere un tipo divertente perché nessuno capisce i riferimenti comici nei tuoi album.

 Joe: Ho un amico di nome Matt Z*****i che ho preso in giro in ogni singolo album. 

Non l'ho fatto solo negli ultimi due perché si è sposato e ha avuto un figlio e mi ha detto di smetterla, ma in tutti gli altri l'ho preso in giro ed era una cosa solo tra me e lui. Credo di aver iniziato a inserire battute perché ci siamo fatti l'immagine di una band post-punk che parla di cose molto serie, perciò nell'album ci sono sempre piccole battute o parti più leggere. Però so di non essere divertente perché lavoravo in un comedy club.

C'è qualche idea, qualche testo che non è ancora emerso?

 Joe: No, perché aspetto sempre che la musica sia pronta prima di scrivere i testi. Ho delle idee che posso mostrarvi vagamente, a voi sembreranno parole senza senso, a caso (mostra delle note nel suo telefono - ndr), ma la musica viene sempre prima. Dato che siamo insieme da così tanto tempo, gli altri sanno benissimo come scrivere musica in cui io possa inserire i testi. Quindi in genere aspetto che abbiano almeno un'idea di massima di quello che sarà il pezzo e poi posso iniziare a scrivere. 

Abbiamo letto che per questo album Greg ha trovato comodo il fatto che tu abbia scritto i testi molto presto.

 Joe: Beh, sì. Nel precedente disco ho aspettato fino all’ultimo perché volevo che fosse un atto spontaneo. Mentre questo è stato registrato dopo il COVID e ci è voluto molto tempo per realizzarlo. Avevamo già alcune canzoni e così ci abbiamo potuto lavorare di più. È stata una lavorazione più lenta perché sostanzialmente avevamo più tempo a disposizione. 

Ma in genere cerco sempre di avere almeno una o due canzoni per cui non penso al testo finché non arrivo in studio. Voglio che mantengano un impatto più immediato e spontaneo: per Fun in Hi Skool è stato così, non conoscevo il testo fino a poco prima di registrarlo,era una canzone strana, ce n'è sempre una, come un flusso di coscienza.

 Quindi non sei una persona ansiosa? Come fai a capire cosa scrivere all’ultimo minuto?

 Joe: Ansioso? Oh, sono molto ansioso. Ma noi non siamo una band che scrive canzoni in studio. Quindi in studio servono due o tre giorni per mettere giù la batteria, per le chitarre quattro o cinque giorni e di solito le voci sono l'ultima cosa da fare. 

Per questo album è cambiato qualcosa: Greg ha potuto mettere giù alcune chitarre e altre cose in anticipo, così io ho potuto mettere giù alcune voci per poi tornare su di esse più tardi e cambiarle se necessario. Quindi credo sia questa la grande differenza dell’ultimo album, perché di solito il mio turno in studio, in cui dovevo fare tutte le voci, era l'ultimo giorno. Non ho la voce migliore del mondo e questo mi risultava faticoso, quindi questa volta abbiamo distanziato un po' meglio le cose. 

 Bene, direi che abbiamo finito. Grazie mille.

 Joe: Perfetto. È stato indolore.

 
 

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