Venezia80 - “Lubo”, uno sconclusionato racconto di ingiustizia storica

Il magnetismo dell'attore Franz Rogowski galleggia nell'evocazione episodica di Giorgio Diritti dello scandalo svizzero dei "Kinder der Landstrasse" ("Bambini della strada”)

21 Settembre 2023

Il crudele trattamento riservato dalla Svizzera alle comunità itineranti yenish durante la Seconda Guerra Mondiale costituisce la spina dorsale del dramma di Giorgio Diritti sullo sradicamento culturale e su un uomo ossessionato dal ritrovamento dei suoi figli. La neutralità elvetica appare molto spesso come un miraggio, ma in questo caso Giorgio Diritti sembra che voglia sottolineare solo l’aspetto illusorio della faccenda. Come può dichiararsi neutrale un paese che è comunque stato complice di rastrellamenti, abusi razziali e diaspore familiari?

È una domanda che rimane un po’ in sospeso in questo dramma ambientato alle porte della Seconda Guerra Mondiale, quando Lubo Reinhardt - interpretato  da un richiestissimo Franz Rogowski - è un artista di strada della comunità yenish e si sposta da una città all'altra con l'obiettivo di portare un po' di gioia alla gente del posto, fin quando viene chiamato ad arruolarsi nelle file dell'esercito svizzero per difendere i confini da una possibile invasione tedesca. Mentre è in uniforme, viene a sapere che i suoi due figli sono stati deportati dalla polizia e che sua moglie è stata uccisa perché si è opposta. Nel 1939, in Svizzera era attiva l'Organizzazione "Kinder der Landstrasse", che cercava di sradicare il fenomeno del nomadismo con il pretesto di svolgere attività umanitarie per i bambini abbandonati. I bambini nomadi venivano sottratti alle loro famiglie e rinchiusi in istituti o dati in adozione. 

Lubo matura vendetta nel corso di tre ore e un minuto, coprendo un periodo che dura vent’anni, dove la prima parte è una serrata pianificazione della resa dei conti, la seconda si sofferma troppo sulle conquiste di Lubo, mentre nella terza la storia perde tutto il suo slancio iniziale, mettendo al centro della scena un protagonista ormai arricchito - grazie ad un’identità rubata - che si lavora l'alta società zurighese per avvicinarsi ai documenti burocraticamente insabbiati su dove sono stati collocati i suoi figli dopo che sono stati rapiti. Viene ostacolato nel suo obiettivo principale di ritrovarli, ma ha molto più successo nel perseguire un obiettivo secondario e molto più dubbio, ossia quello di sedurre una donna dopo l’altra, che altro non rappresentano a loro modo le autorità che hanno distrutto la famiglia di Lubo. E più passa il tempo a trastullarsi con donne dell'alta società e a spulciare infruttuosamente i fascicoli della Pro Juventate, più il motore della trama dei suoi figli perduti si allontana.

Ispirato al romanzo Il Seminatore di Mario Cavatore del 2004, purtroppo la sceneggiatura di Diritti - coadiuvato da Fredo Valla -  si rifugia un po’ troppo nel melodramma, perdendo il punto di partenza storico delle prime scene che avrebbero potuto denunciare un’ignobile violazione dei diritti umani approvata dal governo svizzero apparentemente per motivi di “sicurezza morale”.

 
 
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