Venezia80 - “Kobieta z..”, il volto della Polonia omotransfobica

La struggente storia di una donna trans, dall'affermazione della sua identità alla sua transizione che si intreccia con quarantacinque anni di storia della Polonia.

13 Settembre 2023

Małgorzata Szumowska e Michał Englert portano rispetto a una storia che ha tanta necessità di essere raccontata in un paese in cui non esiste ancora una legge sul riconoscimento di genere; è un film a cuore aperto che non mira a essere rivoluzionario - c'è un peso melodrammatico vecchio stile nella sua costruzione a episodi, che colloca la storia della sua eroina in un contesto decisamente mainstream. Ma rappresenta comunque un audace gesto di alleanza cinematografica, che richiama l'attenzione sul disastroso bilancio della Polonia in materia di diritti LGBTQIA+. 

Małgorzata Hajewska-Krzysztofik interpretata Aniela, nata e cresciuta come Andrzej, costretta a vivere per più di metà della sua vita come un uomo e a nascondere tutti gli aspetti della sua disforia di genere. Dietro la decisione di estendere la trama su diversi decenni si nasconde non solo una metafora molto azzeccata dello stato di transizione della Polonia tra comunismo e capitalismo, ma soprattutto una contestualizzazione e storicizzazione delle lotte per i diritti. 

Tra il 1980 e il 2022, il film segue Aniela per più di 40 anni e se nei primi atti sventola bandiera spiegata in alto, siamo, infatti, nel periodo di fioritura del movimento Solidarność e della promessa di un mondo nuovo, quando sembra che tutto sia permesso, man mano che la trama galoppa ecco che il vento "rivoluzionario" cala ed esce fuori il cuore conservatore. La Polonia del 2004 - o del 2014, del 2019 o di uno qualsiasi degli altri anni della sua storia instabile - non è un posto dove essere transgender. La legge non è dalla parte di Aniela.

Il punto più pregnate e dominante della storia si svolge dall'inizio del nuovo millennio a oggi, dove la scelta di incentrare il dramma su una donna in fase di transizione nella mezza età, in una pettegola cittadina di provincia, aumenta notevolmente il pathos di quello che diventa un dramma di coraggio e sopravvivenza.

La ricerca furtiva di Aniela sull'identità di genere in riviste straniere e in un internet café porta a una frustrante odissea di appuntamenti medici e legali che delineano gli scoraggianti ostacoli burocratici che si frappongono tra una persona trans polacca e una terapia ormonale o un intervento chirurgico avanzato.

Nel frattempo, Iza (Joanna Kulig) viene a conoscenza del processo di transizione del marito solo dopo aver trovato il suo diario e dopo un gelo iniziale, arriva ad accettare la persona che è stata al centro della sua vita per decenni, dipingendo uno dei punti da cui il film trae gran parte della sua forza emotiva; ma gli ostacoli di Aniela non sono ascrivibili al focolare domestico, vediamo anche il licenziamento e l’impossibilità di trovare un alloggio, la deriva verso il lavoro sessuale e la condanna a una pena detentiva sproporzionata da parte di un giudice apertamente prevenuto per un reato di poco conto. Il semplice fatto di sentirsi dire da un prete in visita in carcere che non sta vivendo nella verità rappresenta una forma di prigionia.

Il messaggio degli autori è che se anche la storia inizia negli anni '70 e si passa attraverso il comunismo, l'indipendenza e il Covid, la società langue ancora in gran parte nell'inferno burocratico che attende le persone LGBTQIA+ polacche in cerca di una vita senza discriminazioni, di sposarsi con chi vogliono o di essere legalmente riconosciute.

 
 
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