L'omaggio definitivo delle icone del Brit Pop al loro pubblico e a sé stessi

Blur @ Wembley - 9 luglio 2023 - Live Report

14 Luglio 2023

Cara Foresta, quasi quasi ti ho tradito e mi sono divertito.

Scusami se ti ho abbandonato qualche giorno, ma l’occasione era di quelle da non lasciarsi scappare. Blur a Wembley per due date, delle quali la prima andata sold-out in un battito di ciglia: l’occasione per un concerto ma anche per un viaggio, per ritrovare un vecchio amico col quale si condivide la passione per il britpop, per scoprire en-passant cose nuove e interessanti (vedi il Trans Pride a Londra, in Italia una parade così non l’abbiamo vista mai). Superato lo scoglio-passaporto e 4h di ritardo della solita compagnia aerea scalcinata, eccomi qua.

Ho sempre preferito i Blur agli Oasis (si segnalano un paio di aspiranti suicidi con la maglietta degli Oasis tra il pubblico), come i Beatles ai Rolling Stones. Son punti di vista, intendiamoci, ma sento di aver poco da spartire con la seriosità dei fratelli Gallagher, e preferisco di gran lunga l’estro di Albarn, Coxon, Rowtree e James. In fondo, essere un po’ cazzari non significa far musica senza creatività o cura dei dettagli, piuttosto aggiungere un che di freak che poi si esplicita facilmente nelle esibizioni. A maggior ragione, andarli a vedere dal vivo (e non in un concerto qualunque, ma davanti al pubblico di casa) era un dovere morale.

Wembley: una volta tempio del calcio, poi ricostruito per diventare anche tempio della musica. Non ci soffermiamo sull’aspetto logistico, ci limiteremo a dire che nella capitale britannica possiamo permetterci di serenamente esibizioni di Blur, Bruce Springsteen e Iron Maiden in contemporanea, mentre Padova va in crisi per un concerto di Mengoni (e grazie al piffero, direte voi). Interessante notare, come anche allo stesso Trans Pride,  i “Bobbies” (ovvero la municipale inglese) perfettamente funzionali ad un clima festaiolo, con uno di loro capace di mettere Song 2 col megafono mentre amministra le code.

Due parole per i gruppi spalla, che in relazione al concerto hanno chiaramente un notevole peso specifico: nella data di sabato avremmo beccato Sleaford Mods e Self Esteem, alla domenica ci toccano invece artisti più navigati. Navigatissimi, nel caso dei The Selecter, i quali assieme a Madness e Specials hanno fatto la storia dello Ska britannico e dimostrano ancora una forma ragguardevole in orario pomeridiano. Poi è il turno di Paul Weller, già Style Council negli anni ’80 poi solista, ma ancora figherrimo e lanciatissimo con chitarra in mano, chewing-gum in bocca e ghigno da Rod Stewart del Surrey. Unito ad un impianto che sembra tarato sulla stessa equalizzazione del concerto degli Iron Maiden, fa suonare il padre nobile del brit-pop piacevolmente rozzo e brutale come un Giorgio Canali con una polo rossa.

Con puntualità svizzera i Blur salgono sul palco alle 19:50 (sarà un concerto quasi tutto alla luce de sole, una cosa alquanto insolita per uno spettatore mediterraneo) aprendo con St. Charles Square, uno dei due inediti tratti dal prossimo “The Ballad of Darren” finora anticipati. Nonostante sia la seconda giornata l’emozione del quartetto è ancora palpabile, tuttavia Albarn e soci non si contengono in un’esibizione che risulterà sempre di livelli altissimi.

La scaletta dei pezzi proposti dice tanto, ancora una volta, sulla qualità artistica dei Blur: molti dei brani arrivano dai due album che hanno definito il loro stile, rispettivamente “Modern Life is Rubbish” e “Parklife”, verrà invece completamente ignorato l’ultimo disco, il pur non recentissimo  “The Magic Whip”. Sono interessanti anche le scelte individuali, non funzionali ad un Greatest hits (verrà esclusa ad esempio The Charmless Man) quanto piuttosto a costruire un concerto dall’intensità perfetta. Dunque tanto spazio a pezzi secondari e sottovalutati nel tempo.

Cambio di passo dopo Out of Time, unico (malinconicissimo) pezzo del periodo senza Coxon alla chitarra: casualmente dopo l’esecuzione Albarn e Coxon si danno un tenero bacetto in bocca, quasi a sancire ancora una volta la pace fatta. Con l’amatissima Coffee & TV aumenta il coinvolgimento e qualcuno nel quartetto lo sente particolarmente: dopo l’esecuzione al piano di Under The Westway, canzone dedicata a Londra e quasi mai suonata dal vivo, Damon Albarn ha un’improvvisa crisi emotiva e si rannicchia in un angolo di spalle, singhiozzando. Scatta immediato l’applauso del pubblico, mentre Coxon lo distrae immediatamente dando il tempo per End of a Century. È il momento più vero di tutto il concerto.

A differenza di molte baracconate che si vedono ora quando si tratta di concerti da stadio, sono principalmente le canzoni a fare lo show, con punte di avanspettacolo che non guastano mai, tipo una “stanza dei misteri” dal quale esce Phil Daniels, immancabile speaker di Parklife e uno dei dieci validi motivi per i quali la data risultava imprevedibile. Successivamente anche Damon Albarn visita la stanza e ne esce ringiovanito di 30 anni dall’inconfondibile acetato della Fila (ricreato apposta per l’evento: ormai è introvabile anche nei mercatini vintage) che indossava nel celebre video di Girls & Boys.

Ma la vera anima della festa è Graham Coxon. Entra sul palco con gli occhiali, li fa volare dopo 3 brani eseguendo un maldestro backjump sull’assolo di Popscene, si prodiga in evoluzioni ed equilibrismi che probabilmente non eseguiva neanche da ventenne. «Adesso la suoni tutta così!» Intima Albarn, dopo averlo visto con un drink in testa in perfetto equilibrio prima di cominciare Under The Westway.

Ce ne sarebbe ancora da scrivere a fiumi su questo concerto. Dalla doppietta Oily Water – Advert , che fatte insieme con questo impianto suonano incredibilmente shoegaze ( e seppur con l’etichetta pop, è un genere che i Blur non hanno mai abbandonato del tutto), passando per il rientro con Lot 105, breve chicca tratta da “Parklife” che non veniva eseguita dagli anni ’90, la sempre emozionantissima Tender eseguita col Gospel Choir di Londra (sul palco praticamente mancava solo il sindaco), e la inevitabile chiusura con The Universal: le luci riflettono due enormi palle stroboscopiche, trasformando Wembley in un’enorme sala da ballo.

Torno nella Foresta di Sherwood il giorno dopo, a testa bassa per essere mancato qualche giorno, ma raccontando  a tutte e tutti l’esperienza mi accorgo che tanto e tale è il bello che ho assorbito che dovrò per forza batterlo su macchina. Ed eccoci qua.


 
 
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