Tanta energia, poghi e stage diving al gusto post punk con gli Shame a Milano

Shame al Circolo Magnolia di Milano - Live Report

10 Aprile 2023

Ci ritroviamo in un periodo storico in cui la scena post-punk sta ritornando in voga, ed anche alla grande. Per chi segue questa nuova ondata nata negli anni 10, costellata da chitarre distorte e da nomi ormai celebri quali: Idles, Fontaines D.C., The Murder Capital, Viagra Boys non poteva perdersi la prima tappa del tour degli Shame in Italia. Infatti, il 23 marzo sono approdati al Circolo Magnolia di Milano per suonare il loro terzo album (Finger of Steel), pensato in un’ottica live e che arriva in maniera molto più immediata rispetto ai suoi predecessori.  

Ad aprire il concerto ci sono i They Hate Change, un duo elettro hip-hop che viene direttamente dalla Florida e che ha scaldato il pubblico tra rime in americano e salti sul palco. Nonostante il genere fosse completamente diverso dal motivo del sold-out della serata, il duo è stato apprezzato grazie alla loro esibizione piena di tecnicismi e ben studiata.

Dopo un intervallo di qualche minuto, che ha lasciato il pubblico fumarsi le ultime sigarette e fare la fila per aggiudicarsi la birra con cui stare sottopalco, ecco che le luci vengono puntate sul gruppo capitanato da Charlie Steen che arriva sulle note di Fingers of Steel. L’apertura del concerto con la stessa traccia con cui inizia Food for worms funziona, facendo esplodere il pubblico in un canto collettivo; collegando poi Alibis, dove il frontman farà uno dei primi stage diving della serata sulle sue note cupe, caratterizzata da una batteria frenetica. E dopo averci fatto pregustare questi due pezzi dell’ultimo album, gli Shame fanno un salto nel passato con Alphabet, la first track di Drunk Tank Pink facendo pogare tutti, per poi passare a due grandi classici come Concrete, dove il pubblico si è scatenato cantando come un mantra «No more, no more, no more questions» e la sensuale The Lick che ci farà vedere un Charlie Steen appollaiato sulla torretta al lato del palco, a differenza del bassista Josh Finerty che si divertirà a correre e a saltare in maniera maniacale sul palco. Ma al frontman non piace proprio stare fermo, infatti sul wah wah dell’energica Six Pack eseguito da Eddie Green, lo vediamo nelle vesti di un’equilibrista in bilico sulle mani dei fan su cui poi farà un bagno nella folla, mandando tutti in visibilio. Gli Shame si comportano come dei veri e propri direttori d’orchestra dei poghi e degli stage diving fatti dal pubblico tra i riff di Tasteless e le urla della tormentata 6/1, intervallata da Burning by design, che vede delle melodie molto più calme dei precedenti pezzi.

A metà del concerto eseguono uno dei brani più riusciti della band, Born In Luton, facendo raccogliere i fan in un momento intimo con la band, cantando tutti come se fosse un atto liberatorio dalla malinconia che suscita questa canzone.

Dopodichè si ritorna di nuovo sul terzo album con la nevrotica Fall of Paul, seguita da Adderall con una musicalità che si sposa molto bene con il concetto che Steele vuole passare di alcune situazioni che generano compassione, frustrazione e accettazione del cambiamento. Si collega One Rizla, un vero e proprio manifesto generazionale, confermandosi una delle più famose in quanto ha fatto cantare tutti, anche i più timidi che sono rimasti a vedere dietro lo spettacolo. Seguono poi le cupe note di Snow Day, che si alternano tra lo spoken di Steele ed un cantato molto più selvaggio, tutto scandito dalla batteria irrequieta di Charlie Forbes.

Il tutto viene concluso con gli ultimi due brani in antitesi tra di loro dal punto di vista musicale: la ballata All the people che servirà a creare un momento di intimità tra il pubblico per poi passare al sound più gotico di Gold Hole, terminando così la scaletta del concerto, senza rilasciare bis di canzoni.

Per un’ora e mezza gli Shame hanno saputo letteralmente dominare il palco tra tecnicismi ben eseguiti e la loro energia pazzesca ben trasmessa al pubblico che ha pogato in maniera quasi ininterrotta sulla maggior parte dei brani. Infatti, è stata una vera e propria scarica di adrenalina, facendo uscire dal concerto i fan con in mente solo una cosa: «Che figata, voglio rifarlo!»

 
 
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