«I primi della lista» militanza in forma di commedia

16 Novembre 2011

Non è facile raccontare gli anni '70, l'affacciarsi del movimento su un'epoca che gli avrebbe cambiato i connotati, ma poiché quegli anni sono così lontani, oggi si può provare. Allora si era attori, non interpreti e le ricostruzioni non erano per niente gradite.

Il regista di I primi della lista è Roan Johnson (padre londinese, madre materana, vissuto a Pisa ed ora, dopo in Centro Sperimentale, a Roma) e autore di Prove di felicità a Roma est (ed. Einaudi). Rimasto affascinato dal racconto di un protagonista ha deciso di farne un film ed ha trovato bravissimi interpreti: si tratta piuttosto di una versione filtrata ed epurata di vecchio spirito militante, un po' come il racconto di certi padri combattenti dell'ultima guerra che ai figli raccontavano solo gli aspetti umoristici degli eventi. I reduci forse non conoscevano di persona Pino Masi e il Canzoniere pisano, ma le sue ballate le cantavano in corteo, da quella dedicata a Pinelli (Quella sera a Milano era caldo...) all'inno di Lotta Continua (Lotta lotta di lunga durata...).

Il 2 dicembre del '69 è la data piazza Fontana, muore Pinelli, la situazione politica è precipitata in Grecia e le voci di un colpo di stato in Italia si fanno più insistenti. Il 1 giugno del '70 Pino Masi (Claudio Santamaria) con il suo chitarrista del collettivo studenti medi Fabio Gismondi (Paolo Cioni) e Renzo Lulli (Francesco Turbanti) liceale anche lui, un altro aspirante musicista del collettivo che si è presentato a casa del famoso musicista per un provino, si trovano a fuggire perché «voci» allarmanti fanno pensare che è meglio non farsi trovare in casa. Sembra un intreccio costruito su una sceneggiatura da teen agers film, ma si tratta di storia vera: Lulli ha una imminente maturità, deve tornare a casa per le otto dove vigila un padre autoritario, ma è l'unico ad avere la macchina con cui passare il confine. Se poi si tratterà di un falso allarme, faranno sempre in tempo a tornare indietro il giorno dopo. E così cercano di passare il confine con la Jugoslavia, paese comunista.

Magari si rischia di essere mandati a lavorare in miniera, così decidono per l'Austria, resi ancora più sicuri di avere preso la decisione giusta per la quantità di carri armati e di truppe che si preparano a scendere a Roma. I tre hanno accumulato anche un bel po' di tensione, ma nella confusione hanno dimenticato che il giorno dopo si festeggia a Roma la festa della repubblica. Così al confine accade un pasticcio nato dal nervosismo dei compagni e delle guardie e i tre si trovano in carcere a chiedere a perplessi questurini, asilo politico. A Pisa, dicono, si rise parecchio del fatto e ancora se ne parla. Ma c'era ben poco da ridere, non era poi così strano quell'allarme, il Cile e la Grecia facevano scuola. Oggi è possibile pensare all'innesto di commedia e film politico, ma sarà bene raccontare alle nuove generazioni che quello del risvolto umoristico era solo un aspetto (e non mancava) di tutto un contesto ben più complicato.

A risvegliare il pubblico dalla commedia è l'ultima scena che fa venire un salutare sussulto, quando compaiono gli autentici protagonisti dell'episodio: Pino Masi che suona ancora e presenta come suo bancomat il cappello per chiedere un obolo, Lulli che è andato a lavorare all'estero e Gismondi che fa i mercatini di piccolo antiquariato: fieri di pensare che ce ne saranno tanti che come loro sono rimasti in qualche modo fedeli al principio di non vendersi e non accettare compromessi, a costo di affrontare l'emarginazione. Sui loro volti c'è tutto un altro film.

 
 

Tratto da:
Il Manifesto dell'11 novembre 2011 

 
 

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  • I Primi della Lista - Trailer Ufficiale
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