“Aquì Vive Gente”: come il rapper Bad Bunny parla della gentrificazione del Portorico

Il documentario è stato realizzato dalla giornalista di origine portoricana Bianca Graula

27 Settembre 2022

Il singolo El Apagon ed il documentario sulla gentrificazione del Porto Rico

Milioni di visite in pochi giorni per il proprio singolo rilasciato su YouTube nella giornata del 16 settembre scorso. Questi sono i numeri che riguardano un rapper di successo come Bad Bunny, originario del Porto Rico in grado di sfondare negli Stati Uniti, in Centro America e nel resto dell’America Latina.

Ma questa volta c’è qualcosa in più da dire assieme al proprio messaggio artistico. Eh sì, perché insieme al brano dal titolo El Apagon – Il Blackout, estratto dall’album Un Verano sin ti, viene trasmesso un documentario dal titolo Aquì vive gente – Qui vive la gente, realizzato dalla giornalista di origine portoricana Bianca Graulau, che per anni ha lavorato e lavora tutt’ora per importanti emittenti televisive statunitensi. Un escamotage di successo quello realizzato dal noto rapper e dalla giornalista portoricani, per denunciare, attraverso la diffusione del documentario (godibile in qualsiasi lingua grazie alla possibilità di inserire i sottotitoli), l’attuale situazione del Porto Rico e quella che potrebbe venirsi a creare nel suo prossimo - non - roseo futuro.

Sì, perché Aquì vive genteparla del fenomeno di gentrificazione ed espoliazione a cui sta andando incontro l’isola centroamericana, un processo a danno della popolazione portoricana. Sotto la lente d’ingrandimento del documentario, nella sua prima parte, finisce il quartiere Tierra Promessa, della capitale del paese dei Caraibi, San Juan. Vengono raccolte le testimonianze di persone impiegate in lavori a basso reddito che sono intimate ad andarsene dalle proprie abitazioni, acquistate da imprese statunitensi che vogliono costruire strutture per gente altolocata. Un vero e proprio sopruso sulla pelle di persone che vivono nel quartiere da decenni, come si ascolta dalle testimonianze. 

Il processo che da qualche anno sta dando vita a questi sfratti è ben spiegato dalla giornalista Bianca Graulau: dal 2019 Porto Rico ha adottato una legge, la Ley 22, che permette alle persone straniere, giuridiche e fisiche ad alto reddito, di poter venire a vivere nell’isola senza pagare tasse. E la speculazione edilizia, dovuta a questo fenomeno di gentrificazione rapace, non si ferma di fronte a nulla: si costruisce dove prima c’erano scuole elementari, oppure dove persino la legge lo vieta, cioè a ridosso del mare, privatizzando di fatto le spiagge che secondo la legge dovrebbero essere pubbliche.

Porto Rico ed austerità: la Grecia americana

Parlare criticamente di Porto Rico non può esimerci da fare qualche riferimento generale alla storia recente del Paese. Un vero e proprio caso di scuola, un Paese in cui sono state applicate politiche neoliberiste selvagge al punto tale da farlo assimilare ad un caso Greco dal format americano, a causa del suo grande debito pubblico e delle politiche di austerità portate avanti.

La giornalista canadese Naomi Klein ha scritto diversi articoli sul questo paese, come ad esempio quello dal titolo Non c’è nulla di naturale nel disastro di Porto Rico, pubblicato da Feltrinelli nel 2019 nel libro - raccolta di articoli Il mondo in fiamme. Nel pezzo si legge: "Le più recenti ricerche stimano le perdite umane a causa dell’uragano Maria (l’uragano che ha colpito duramente il paese nel 2017 ndr.) attorno alle tremila vittime, una cifra ormai accettata anche dal governatore del Porto Rico. Ma voglio essere chiara: tutte quelle persone non sono state ammazzate da Maria. È stata la combinazione di austerity implacabile con un uragano a costare tante vite preziose."

Alcuni articoli di approfondimento sulla situazione portoricana sono apparsi sulla versione americana di Jacobin Magazine, come Le origini del debito del Porto Rico e Porto Rico nel precipizio. Nel primo pezzo, firmato da Otero e Irizzarry, si spiega come la crisi economica del 2008 abbia dato un duro colpo ad un’economia debole di suo e soprattutto molto dipendente dagli investitori statunitensi. La ricetta per affrontare questa situazione fu quella appunto dell’austerità: licenziamento di 30mila dipendenti pubblici, privatizzazione dei beni pubblici, riforma fiscale favorevole ai ricchi, aumento delle tasse scolastiche. Sono state queste politiche, implementate negli anni, secondo gli autori del pezzo, a portare il Porto Rico fino alla situazione del 2014, l’anno della crisi del debito.

Le agenzie di credito Moody’s e Standard & Poor hanno giocato la loro sporca partita sul debito pubblico, come in Grecia, determinando il downgrade del debito del Paese che si è ritrovato insolvente ed ha dovuto attendere l’intervento dell’amministrazione Obama, anche se le politiche di austerità sono andate avanti lo stesso.

Nel pezzo Porto Rico nel precipizio, si va ancora più a fondo della ricostruzione storica che ha portato alla situazione attuale. Si parte dai primi del 1900, quando il Porto Rico è di fatto una colonia delle imprese statunitensi dello zucchero (passaggio storico menzionato anche nel documentario Aquì vive gente) che sottopagano i braccianti e non reinvestono i propri guadagni nell’isola. La povertà continua fino a quando nei Caraibi non spunta Cuba ed il suo esperimento socialista. A quel punto gli Stati Uniti decidono di investire nell’isola per creare un contro-altare capitalista che faccia da esempio – alternativa. Con la caduta del muro di Berlino però le cose cambiano. A metà anni '90 l’amministrazione Clinton decide di non concedere più vantaggi alle imprese straniere presenti nel paese che decidono di delocalizzare i loro centri produttivi, mentre i politici portoricani da allora inizieranno con le politiche di svendita di patrimonio pubblico, privatizzazioni, tagli ai settori sociali, mentre l’emigrazione dal paese aumenterà di molto. Una situazione che ha portato fino al 2014, l’anno della crisi.

Le lotte sociali non si fermano

Qual è la situazione nel paese sul piano delle lotte sociali? A partire dal 2014 le proteste nel paese sono aumentate di molto, soprattutto quelle portate avanti da parte di studenti ed insegnanti. Negli anni si è protestato con slogan che criticavano i tagli, il colonialismo, gli attacchi ai diritti sociali con manifestazioni riversatesi nelle strade del paese molto partecipate. Sono stati denunciati i vergognosi black out dovuti alle crisi del settore energetico (in spagnolo El Apagon – come il titolo della canzone di Bad Bunny, non un riferimento casuale) che hanno lasciato pezzi di popolazione senza luce e persino gli ospedali al buio.

Fino ad arrivare al 2019, l’anno in cui una sollevazione popolare, in cui si è registrata una forte partecipazione di giovani portoricani, ha determinato le dimissioni del governatore del Porto Rico Ricardo Rossellò, a seguito dello scandalo Telegramgate in cui vennero rilevate le conversazioni del governatore dal tono omofobo e razzista. Ma le proteste non andavano a sanzionare solo la comunicazione indegna di Rossellò, quanto erano piuttosto il frutto di una rabbia sociale che covava da dentro nel paese subissato da anni di politiche di macelleria sociale.

E, ad oggi, questa rabbia ancora si riversa nelle strade del Paese. Sono dei primi mesi del 2022 le notizie che hanno fatto il giro dei media internazionali quelle che hanno mostrato migliaia di portoricani guidati dagli insegnanti del paese, scendere in piazza a difesa dell’istruzione pubblica e per una paga dignitosa. Nella parte finale del documentario Aquì vive gente, si vede una protesta vittoriosa nella cittadina sul mare della costa occidentale, Rincon. I cittadini hanno protestato di fronte le costruzioni illegali di alcune ville da poco edificate, prospicenti la spiaggia e ree di aver distrutto l’habitat dove nidificavano le tartarughe di mare. A seguito delle proteste della popolazione locale il governo ha disposto la demolizione di queste ville. Anche a Porto Rico, la lucha sigue.

 
 

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