Pistol

Un viaggio nella Londra che ha creato il punk

24 Settembre 2022

Qual è la vera storia dei Sex Pistols? Ma forse la vera domanda che ci dovremmo fare è: esiste una vera storia™  dei Sex Pistols? O forse esistono tante storie, tutte in parte vere e in parte no, molte entrate nel mito, molte smentite da alcuni e confermate da altri, dove di certo c’è solo che una band, nata a Londra, da musicisti in maggior parte improvvisati e con una grande voglia di rivoluzionare la scena, si è trovata in appena 3 anni a fare la storia, per poi implodere rovinosamente.

La serie Pistol, uscita in Italia l’8 settembre su Disney +, prodotta dalla stessa FX che ci ha regalato grandi serie come American Horror Story e Pose, ci porta alle atmosfere, la musica, i look degli anni ’70, in quell’humus di controcultura e anti-moda che si stava formando nei sobborghi di Londra, un ambiente che oltre ai Pistols ha partorito anche molte delle altre band che hanno contribuito a rivoluzionare il vecchio rock’n’roll, non solo col punk, e molte delle icone di quel periodo.

Il regista Danny Boyle non è nuovo a rappresentazioni sopra le righe, con estetica punk, giovani dediti agli eccessi, ambienti degradati, epiche colonne sonore (qualcuno ha detto Trainspotting?), riuscendo sempre a rendere anche le scene più controverse estremamente pop e accattivanti per l’occhio del pubblico, ed è in grado quindi di portare sullo schermo lo spirito di questa storia, non importa l’accuratezza dei fatti.
Questo gli riesce anche grazie alla scelta di utilizzare il formato 4:3 e un effetto un po’ grezzo per il materiale girato, in alcuni casi un po’ sovraesposto, che, assieme ad un sapiente utilizzo della palette di colori, ci porta spesso a non cogliere lo stacco tra le immagini di repertorio, spesso inserite all’interno della narrazione, e quelle originali, almeno finché non vediamo comparire i volti degli attori protagonisti.

Nel corso delle puntate incontriamo quasi tutti i protagonisti della breve storia dei Sex Pistols, alcuni citati esplicitamente per nome, altri no ma facilmente riconoscibili, alcuni interpretati da attori molto noti (come Maisie Williams, nei panni della modella Pamela “Jordan” Rooke, o Thomas Brodie-Sangster in quelli dell’embezzler Malcolm McLaren, l’autoproclamatosi ideatore di questa “grande truffa del rock’n’roll”).

Dagli esponenti del Bromley Contingent come Siouxie Sioux, al giornalista Nick Kent, alla musicista Chrissie Hynde, Julien Temple, Don Letts, Vivienne Westwood, Soo Catwoman, la “disgustosa Nancy”… Ci sono proprio tutti, puntata per puntata, assieme ad alcuni degli aneddoti che ormai sono passati alla storia, come la disastrosa ospitata televisiva da Bill Grundy, che costa alla band il contratto con la EMI, il concerto sul Tamigi durante il giubileo della regina, l’incontro con la ragazza che ispirerà la canzone Bodies, Vivienne che rimprovera Malcolm per aver scritturato “il John sbagliato”, o il tentativo di Chrissie di sposare uno dei Pistols per poter restare nel Regno Unito, anche se in questo caso la “licenza poetica” risulta un po’ forzata (nella realtà, Steve non è mai stato preso in considerazione).

Una particolarità di questa storia, è che il protagonista è proprio quest’ultimo, Steve Jones, il chitarrista un po’ maniaco sessuale, un po’ cleptomane, dall’infanzia problematica, che assieme al batterista Paul Cook faceva parte del primo nucleo di quelli che sarebbero poi diventati i Sex Pistols. Non, quindi, una delle due star del gruppo, il cantante Johnny Rotten o il disturbato Sid Vicuous, per molto tempo considerato icona punk del punk, fulgido esempio di supremo nichilismo, o forse solo estrema stupidità, non il manager manipolatore Malcolm, ma uno del “gruppo di supporto”. In questo modo, gli abituali protagonisti della storia ufficiale non vengono messi da parte (nessuno mette i due John in un angolo), ma si impedisce loro di totalizzare la narrazione da un unico punto di vista, permettendo allo spettatore di soffermarsi di più sull’insieme e su ogni dettaglio, ogni personaggio, apprezzandone le peculiarità.

Una serie che non ha certo la presunzione di verità storica, ma che ci trasporta in un attimo a respirare l’aria della capitale britannica di metà anni ‘70, il fermento culturale che ha portato all’esplosione del fenomeno punk, l’enorme portata creativa di un movimento nato da una necessità, vitale, che la nuova generazione sentiva, di rottura con tutto quanto l’aveva preceduta. Insomma, qualcosa che oggi possiamo capire molto bene, no?

 
 

Foto credits: Miya Mizuno

 
 
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