Arab Strap & Martina Bertoni - Sexto’Nplugged

30 luglio 2022 – Sesto al Reghena (PN) - foto di Davide Carrer

2 Agosto 2022

Ci sono dei momenti di risacca nei miei ascolti.
Quando la forza di un’onda musicale comincia a scemare comincio a guardare anche a quello che è il moto di ritorno della stessa. E spesso in quel movimento di ritorno vengono trasportati anche i lasciti delle onde precedenti.
Ricordo, per esempio, che alla fine degli anni novanta quando la prima burrascosa ondata di nuove sonorità elettroniche cominciava a scemare e l’innovazione che portava con sé a perdere slancio, mi è capitato di guardare alla risacca.
Così lo sguardo andò a posarsi anche il quel che restava del rock, della wave, insomma delle musiche della mia formazione, e uno dei primi nomi che mi saltò all’occhio fu quello degli Arab Strap.
Gli Arab Strap, assieme ai concittadini Mogway, furono uno dei nomi di punta della scena indipendente di Glasgow della seconda metà degli anni novanta. Un duo capace di creare uno slow core molto personale fondato sullo spoken word strascicato e sporco del cantante Aidan Moffat e sulle trame melodiche introspettive del polistrumentista Malcolm Middleton. La mia “relazione” sonora con i due scozzesi cominciò nel 1998, grazie all’album Philophobia.
Philophobia è uno di quei dischi capaci di riportati alla musica romanticamente intimista, ad un rapporto più “carnale” con essa. Dopo gli anni di euforia virtuale e neuronale dell’elettronica '90 ci voleva. Incomunicabilità, maleducazione sentimentale e sessuale, stordimento, perdizione, sonnolenza, pervadevano i testi di Aidan Moffat ed erano accompagnati dai lenti e depressi arpeggi di chitarra Malcolm Middleton. Insomma gli Arab Strap mi rimembravano quel mettersi a nudo e quel cantare le proprie debolezze tipiche di certo dark sound ‘80.
Ma torniamo a noi, a questa estate feroce, cattiva, arsa e disseminata di cattivi presagi, con i neuroni che rifiutano di attivarsi: la mia speranza era che la loro musica e la splendida location del Sexto’Nplugged diventassero quella risacca refrigerante di cui il mio corpo e la mia mente saltuariamente hanno bisogno. Desiderio appagato! Dapprima perché ad accoglierci c’è un piacevole venticello post temporale e poi da un concerto che non delude le aspettative.
Apre Martina Bertoni con sua la poesia digitale, sapientemente dosata e intrecciata a quella acustica. Violoncello ed elettronica s’irradiano nell’aria fresca lasciandoci sospesi nella penombra che pian piano diventa stupore immersivo.

Alle 22.15 salgono sul palco gli Arab Strap tornati dopo 15 anni con un nuovo album “As Days Get Dark” e con una serie dei concerti per promuoverlo. Si presentano in formazione allargata a cinque: batteria, basso e tastiere oltre alla chitarra di Middleton e alla voce più synth di Moffat.
Buona parte della scaletta proviene dall’ultimo lavoro, con brani riarrangiati per aumentarne l’apporto energetico che nei crescendo più distorti ricordano decisamente certo post-rock/ shoegaze che dei Nostri non frequentano abitualmente su disco. Una bella sorpresa insomma.
Quando poi vanno a ripescare anche classici del passato sembrano ribadire quel “siamo tornati dalla tomba e pronti a scatenarci”, che avevano espresso al momento del ritorno assieme dopo molti anni.
Questo per dire che a volte anche i ritorni fanno bene e che, da sempre, la musica si muove secondo un meccanismo simile a quello del mare e anche la risacca può affascinare e soprattutto alimentare l’arrivo di nuove onde.
Nel frattempo abbiamo passato una bellissima serata. Grazie a Sexto Unplugged!

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Sexto Unplugged

Davide Carrer

 
 

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