Tratto da Global Project

Il “confederalismo democratico” ante litteram della divisione partigiana Cichero

Il report della presentazione del libro “Cichero: storia di una divisione partigiana” a Sherwood Festival

27 Giugno 2022

Il 24 giugno 2022 il Festival di Sherwood ha presentato in anteprima assoluta il libro “Cichero: storia di una divisione partigiana” pubblicato da Red Star Press in collaborazione con Globalproject.info (da cui sono stati tratti i racconti) e il centro studi e documentazione Open Memory, insieme all’autore Tommaso Baldo e l’editore Cristiano Armati, incontro moderato da Davide Drago.

Tommaso Baldo colloca la data dell’ideazione della pubblicazione una decina di giorni prima del 25 aprile 2021, quando inizia a scrivere per Globalproject uno dei dieci racconti in onore della ricorrenza storica, decidendo di concentrarsi sulla divisione garibaldina Cichero. In un momento successivo ha riportato, per maggiore completezza, i meccanismi di trasmissione della storia della resistenza, fondamentali per riconoscere e per capire anche la storia contemporanea degli ultimi 30-40 anni. Grazie al supporto di Open Memory, ad oggi il libro comprende anche una cronologia iniziale in riferimento ai fatti raccontati.  

Nel dibattito è intervenuto anche l’editore, che racconta che Red Star Press si sviluppa nel 2012 da un gruppo di lavoratori e lavoratrici dell’industria editoriale per trattare la cultura e la storia del movimento operaio, facendo rientrare temi come la resistenza e soprattutto le resistenze e le lotte di liberazione dei popoli oppressi, toccando quindi anche l’antifascismo, l’antirazzismo e l’antisessimo. Poiché è fondamentale preservare i pilastri della storia, ed in particolare della storia partigiana, la casa editrice è rimasta intrigata dalla divisione Cichero, che a Genova ha avuto un ruolo fondante nella sconfitta del nazismo.

Riprendendo la parola, Davide Drago parla di questa divisione partigiana come di un gruppo “anomalo”, che fra il 1943 ed il 44 diventa sempre più numeroso e chiede a Tommaso Baldo il perché del suo interesse.

Lo storico spiega che è stato un fenomeno politicamente interessante. All’inizio questo particolare distaccamento si componeva di sole nove persone molto diverse fra loro: Giovanni Serbandini detto “Bini”, e Giovanni Battista Canepa detto “Marzo” potevano essere considerati i “tipici” militanti del partito comunista, ma a loro si affiancava “Bisagno”, Aldo Castaldi: figlio del ceto medio e cattolico praticante che non aveva avuto una politicizzazione antifascista o dissidentista cattolica, ma che è diventato comunque comandante della divisione.  Questo particolare distaccamento si imponeva poi il cosiddetto “Codice di Cichero”, che assumeva delle forme di democrazia assembleare che secondo l’autore erano per certi versi simili a quello che sarà lo zapatismo nel suo “comandare obbedendo”.

Accettando una dinamica nella quale ad ogni attacco dei GAP, i Gruppi di Azione Patriottica, i fascisti avrebbero compiuto delle esecuzioni di massa dei compagni e delle compagne schedati (vedendo alla fine della guerra un ammontare di perdite pari al 50%), la Cichero già nella primavera del ’44 vide comunque un ingrossamento delle fila che l’anno successivo ha necessitato della fondazione di una seconda divisione, la Pinan Cichero. Entrambe erano inserite nella Sesta Zona Operativa Ligure, a cavallo tra tre regioni (Liguria, Piemonte e Toscana), che ha coordinato l’operazione “Territorio Liberato” e, nonostante la mentalità storicamente chiusa delle comunità dove lottavano, il movimento resistenziale è stato capace di adattarsi ed ottenere consenso. Lo storico conclude descrivendo gli elementi di orizzontalità della Cichero che nel suo essere una democrazia assembleare non può non farci pensare a una moderna organizzazione di movimento.

Allacciandosi all’ultimo intervento, Davide Drago chiede di approfondire in che modo la resistenza, raccontata spesso con un radicale revisionismo storico, ad oggi ricopre una sua valenza storica così come la pubblicazione di un libro che ne parla.

Cristiano Armati sottolinea la rilevanza storica della vittoria dei partigiani come l’espressione di un popolo oppresso che arriva a sconfiggere in campo aperto una forza militarmente avanzata come lo erano i nazisti allora. Considera importante trovare altri parallelismi nella storia internazionale e riprende lo zapatismo, ma anche la storia del guerriero apache Geronimo che ha resistito contro gli eserciti americano e messicano. Rimarca infine l’importanza di ritrovare l’organicità nella storia e cita un verso di Neruda “nemmeno i nostri morti saranno al sicuro dal nemico se vince” per ricordare che molte delle battaglie combattute nel 1944 hanno una valenza storica anche oggi.

Davide Drago chiede infine allo scrittore quale sia la rilevanza specifica degli eventi raccontati.

Per rinnegare il passato mitico della resistenza partigiana, Tommaso Baldo cita Angela “Marietta” Berti che ricordava sempre di non pretendere che le nostre comunità siano perfette perché comunque parte di una società “lurida”. Riconosce inoltre che all'interno della realtà partigiana ci sono stati degli scontri, basti pensare proprio allo scambio epistolare tra Bisagno e alcuni dei funzionari del PCI che definiva “autoritari" e “burocratici". Ma questo non è un limite, semmai il riconoscimento di una pluralità e di un rispetto reciproco che si trovano nelle realtà confederali ai fini di combattere nell’accettazione di essere diversi e diverse.

La stessa figura dal cattolico Bisagno dimostra che la propria organizzazione non è la riproduzione su larga scala o l’esatta copia della propria individualità o identità. L’autore definisce come “laicità” il principio per il quale si agisce spinti da un ideale cercando di fare il bene delle comunità di cui si è parte, senza conformarsi a un pensiero singolo o all’esigenza di fare sintesi politico-ideologica. Individua questo principio dietro molte rivoluzioni e movimenti della contemporaneità e lo considera il filo conduttore tra la lotta partigiana e le lotte odierne contro la crisi climatica o delle battaglie del transfemminismo.

Secondo Baldo parlare della Resistenza italiana come una rivoluzione proletaria “tradita” o una “non rivoluzione” significa riprendere delle narrazioni “secchiane” che travisano in una purezza ideologica ad oggi inutile. Baldo ne abbraccia invece la visione impura, assembleare e genuina e la considera non tanto nei termini tradizionali, ma piuttosto in una dimensione confederalista e democratica.

Immagine di copertina: Teresa Zavattiero (Sherwood Foto)

 
 

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