Black Country, New Road: la “nuova strada” del rock

Recensione di Ants from Up There (Ninja Tune, 2022)

17 Febbraio 2022

«Il rock è morto!». Quante volte abbiamo sentito ripeterci questa affermazione negli ultimi 40-45 anni! Affermazione che contiene in sé un'idea reazionaria della musica, ancorata a una fantomatica possibilità che sia potuta esistere un’ “età dell’oro” o, ancora peggio, un passato idilliaco al quale guardare solo con gli occhi afflitti della nostalgia.

Ci vogliono degli scossoni per far capire che il rock, la musica e in generale le espressioni artistiche sono qualcosa che va letto sempre nel divenire storico e sociale, e mai un arredo temporale statico e schematico. Ci sono voluti Unknown Pleasures dei Joy Division, Spiderland degli Slint ed Here Comes The Indian degli Animal Collective per far capire che in un disco è possibile far convivere passato e futuro, fare a poltiglie i “generi musicali” e rimescolarli in qualcosa di inedito e addirittura senza tempo.

Fa venire i brividi accostare i Black Country, New Road ai “mostri sacri” sopra citati. Ma il piglio, la prospettiva e la visione con cui si è espresso finora il settetto inglese (diventato un sestetto dopo l’abbandono del cantante Isaac Wood per dichiarati problemi psichiatrici) sono qualcosa di non comune e sono bastati solo due dischi per comprenderlo.

Certo, con l’abbandono di Wood - la cui voce ricorda per certi versi tanto la sofisticata originalità di Robert Wyatt quanto la fluidità di Antony Hegarty – non sarà facile ripetersi a certi livelli. Ma in due dischi i BCNR hanno già ampiamente timbrato il loro cartellino con la storia. Se For the First Time, dello scorso anno, era più noiseggiante e spigoloso, Ants from Up There (pubblicato sempre da Ninja Tune) è più complesso, riuscendo sempre a non scadere nel cervellotico.

David Bowie, gli Arcade Fire, i Flaming Lips sono annoverati come influenze più prossime della band, che ammicca anche al post rock di matrice Slint-Gastr Del Sol, con tanto di incursione nel jazz più minimale, come in Mark’s Theme. Il disco contiene anche delle anomale ballate che sono di una monumentale bellezza, tra tutte le splendide Haldern e Snow Gobles, e si impreziosisce con alcuni episodi che riecheggiano i King Crimson “medi”, quelli di Starless and Bible Black e Red.

Il tutto condito dalla straordinaria vena creativa di Isaac Wood, la cui assenza da ora in avanti costringerà i musicisti a virare verso altri lidi e – perché no! a riadattare in chiave strumentale l’immenso patrimonio maturato in questi due anni.

 
 

 
 
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