L'illuminata Oscurita' Degli Starlight Assembly

di Mirco Salvadori

8 Novembre 2021


STARLIGHT ASSEMBLY
Stralight And Still Air
Beacon Sound

Quando si ha a che fare con Matteo Uggeri l'indefinito risulta normalità che man mano si trasforma in purezza poetica, anche se lui fa di tutto per non farlo capire. Abituato a percorsi tortuosi, tra rock altro, jazz, elettroacustica, RICERCA, musica per telefoni (questa la capirete se leggerete l'intervista), tuffi al cuore quando al suo fianco si palesa il Coniglio Enrico e chissà che altro (in arrivo un disco solista e uno con l'eccelso Aldinucci), all'improvviso lo troviamo con il nostro - nel senso di noi ex new waver al tempo giunti dal rock classico - cantante supremo, dopo forse Brendan Perry per quanto mi riguarda. Non solo! Lui è la voce di uno dei gruppi più rappresentativi della reàl epoca mai scordata. I lucenti oscuri cavalieri psichedelici che rispondono al nome di Breathless, formazione che in Italia ha sempre goduto di amore estremo. Insomma il Matteo Uggeri riesce a contattare il per nulla social Dominic Appleton e gli chiede di cantare in un brano nel lavoro che sta componendo con Enrico Coniglio (https://enricoconiglio.bandcamp.com/track/facing-the-waves ). A distanza di due anni eccoli assieme a comporre uno dei più interessanti lavori del 2021: Starlight and Still Air.
Ed è con l'inizio dell'ascolto che il senso di indefinito prima accennato si manifesta in tutta la sua profonda e curiosa materialità sonora e vocale. Il percorso musicale di Uggeri incontra quello di Appleton e riesce a creare uno strano, terribilmente affascinante connubio che pulsa di stranito e irresistibile pop sotterraneo al quale non si può non cedere iniziando a danzare per la stanza cantando "look what we've wasted", mentre un coro di frati in loop ci fa da accompagnamento.
La potenza di questo lavoro sta proprio in questo, nel riuscire a tradurre in usufruibile, di cantabile, di condivisibile, musica solitamente scambiata di sottobanco come terroristi sonori, incapaci di farsi comprendere da chi abita il mondo di fuori. Operazione non da poco, che richiede capacità e molta esperienza sul campo, tecnico e soprattutto visionario.
Preparatevi quindi ad un viaggio estremamente particolare e assai profondo dentro l'intimo sentire, provate ad analizzare il suono e la voce che così meravigliosamente lo va a rivestire, cogliete gli accenti nascosti che vi faranno credere vi sia David Sylvian alla voce in una traccia o siano i Brethless al completo a suonare in un'altra. Immergetevi nel lavoro di cesello dell'Uggeri, seguitelo nel suo tortuoso e affascinante immaginare una via diversa al suono, una strada colma di innovazione e voglia di futuro al fianco di chi, giungendo dal passato, continua a proseguire cavalcando il riverbero di una voce che appartiene ai nostri sogni da sempre lucenti come milioni di stelle riunite in assemblea universale.


Intervista a Matteo Uggeri

Ricordo la mia enorme sorpresa nell'ascoltare una voce che conoscevo bene, assai bene, all'interno dei solchi di un album degli Open To The Sea (Another Year Is Over 2019), ovvero tu assieme al buon Enrico Coniglio. Era una traccia che incredibilmente riproponeva la fascinazione totale di una voce che ci ha accompagnato per molti anni, lasciandoci sempre senza respiro (permettimi il gioco di parole). Come caspita ti era venuto in mente di invitarlo al per altro sontuoso banchetto veneziano-milanese.

Ahah! Be’, semplicemente era da secoli uno dei miei cantanti preferiti. Con Enrico avevamo messo parecchie voci femminili nel disco e a un certo punto abbiamo pensato che qualche maschietto ci stava bene. C’era già John Guilor, che però è un attore, doppiatore e artista radiofonico (tra le altre cose è la voce del Dr. Who per l’omonimo radiodramma della BBC!), ma non cantava. Così ho proposto Dominic ad Enrico, e a lui è piaciuta l’idea, dato che anche lui è fan dei TMC. Trovarlo non è stato facile, non ha profili social e i Breathless stessi non sono mai stati tanto ‘pubblici’. Mi ha aiutato Ari Neufeld, la bassista, gentilissima, che si occupa anche della loro label, Tenor Vossa. Quando l’ho contattato tramite lei, peraltro, non sapevo che non aveva mai cantato con nessun altro al di fuori di quei due progetti.

Veniamo all'oggi. Chi un po' musicalmente ti conosce, sa che frequenti mondi sonori che ben poco hanno a che fare con ciò che, per quelli che come te si aggirano nelle praterie del suono di confine, può essere considerata musica pop. Sciogli l'enigma e spiegaci come il frontman dei Breathless, di una delle più iconiche band inglesi degli anni 80, come una delle più belle ed affascinanti voci presenti nel glorioso e immortale progetto This Mortal Coil, firmato Ivo "4AD" Watts, è finito al tuo fianco negli Starlight Assembly.

Ma sai che mi fai realizzare solo ora una cosa? Io ascolto un sacco di musica “pop”, o comunque accessibile, orecchiabile, cantabile, ma non ne ho fatta quasi mai nella mia carriera di musicista. E comunque nessuno inizia ad ascoltare musica a suon di SPK e Whitehouse, a quelli ci sono arrivato a 20 anni, quando comunque ascoltavo anche Bauhaus, Cure o gruppi meno noti della new wave inglese, tra cui appunto i Breathless. Mi sono vestito in nero per credo 15 anni in quel periodo, e ho adorato qualsiasi cosa che fosse malinconica e/o cupa. L’attacco di “The Jeweller” mi fa venir i brividi da quasi trent’anni, e so di non essere l’unico. E sai una cosa? Mentre ti scrivo ascolto il premix di un pezzo nuovo su cui stiamo lavorando io e Dominic, e i brividi me li fa venire ancora.
Lui comunque appunto non si sentiva a proprio agio a cantare fuori dal proprio gruppo, ed è stato proprio Ivo stesso a convincerlo ad accettare la mia proposta. Secondo Ivo, Dominic è sprecato a cantare così poco e solo per i Breathless, quindi quando lui gli ha detto che “un tizio italiano” gli aveva chiesto di cantare su dei pezzi nuovi, gli ha detto “devi farlo, devi esser più mignotta!”. Così almeno mi ha raccontato!

Superato lo stupore, veniamo al lavoro e al suo contenuto. Ciò che più colpisce è la comunque diversità di approccio sonoro da un lato (il tuo) e musicale dall'altro (il suo). Come siete riusciti a bilanciare così magistralmente le vostre attitudini, per certi versi molto diverse.

Se ci pensi è pazzesco, siamo tutti e due molto più vecchi di quando lui cantava “All that Matters Now” e io mettevo quel pezzo dei Breathless su una cassettina all’amata di allora. Che manco apprezzava, e infatti passava oltre (al brano, e a me). Però… come dire? Ci siamo trovati. Vedi, lui ascolta invece un sacco di elettronica, da Bjork a cose sperimentali, tipo un gruppo peso che si chiama Housewives, non male, non li conoscevo. Ma non lo sapevo nemmeno che gusti avesse quando abbiamo iniziato a lavorare assieme. Comunque grazie… credo che la cosa sia riuscita anche in virtù del fatto che sostanzialmente siamo due persone gentili, o rispettose. Non è stato difficile venirsi incontro. Lui è uno dei pochi bravi cantanti al mondo con un ego contenuto. Forse perché ha iniziato come tastierista, non so.

Chi si aspetta le spettacolari cavalcate vocali in crescendo à la Appleton, in questo disco se le deve dimenticare. Il suo è un esprimersi assai più introspettivo e 'silenzioso'. La cosa è dovuta al suo adattarsi al tuo comporre sonoro comunque assai soggettivo e molto complesso?

Non saprei, se noti anche nei dischi più recenti dei Breathless lui si è un pochino ‘messo da parte’, canta meno e appunto non fa ‘ste cavalcate vocali, che pure a me piacevano molto ma… appunto, ora non ha vent’anni, neppure io, né tu, né chi lo ascoltava ai tempi di “Chasing Promises”. Io trovo che sia maturo per fare altro. Nella prima traccia realizzata assieme, che peraltro apre il disco, quasi parla, e con voce contenuta. Ma secondo me è lì il bello, che è riuscito ad emozionare senza ‘pompare’ le corde vocali. Poi in altre tracce un po’ di enfasi io e lui ce l’abbiamo anche messa, e ci piace, ma è sempre un po’ col freno tirato.

Ho ascoltato magnifici mondi sonori che pulsavano tra le note che avvolgevano la voce di Appleton. Vuoi raccontarci come hai composto i suoni di questo disco, quale l'ispirazione e se ti sei curato o meno della destinazione finale del tutto che bene o male dovrebbe essere la forma canzone?

Intanto grazie ancora! Spero di non deluderti raccontandoti che la composizione forse segue percorsi meno poetici di quanto puoi immaginare. Intanto alcuni degli scheletri dei brani (4 in tutto) furono abbozzati per una collaborazione tra me e il mio caro amico Luca Sigurtà, che poi per varie ragioni non si è mai concretizzata. Dopodiché li passai a Peter Hollo, violoncellista dei Tangents e altre band, pure lui un gran bravo cristo. Ma pure lì, niente. 
Quando con Dominic lui mi ha chiesto, dopo il disco con Coniglio, “facciamo altro assieme se vuoi” ho riaggiustato quei pezzi di nuovo e glieli ho sottoposti. Dopodiché a lui piacevano ma erano spesso troppo incasinati, quindi man mano li abbiamo rifiniti. “Empty City” è uno di questi, è diversissima dalla versione originaria. Poi dopo ho preso a farne altri ex novo, il 90% delle volte seguendo un mio istinto e attingendo ai tanti file di amici che ho sul mio hard drive, in primis le trombe di Alessandro Sesana, confluite in “Still Air” e i violoncelli di Serrapiglio, senza contare i contributi di praticamente tutti gli Sparkle in Grey… Insomma la “destinazione finale del tutto che bene o male dovrebbe essere la forma canzone” non è praticamente mai stata presa in considerazione! E’ nata da sola, perché “le canzoni son come i fiori”, come dice Vasco Rossi (che credo abbia un processo compositivo assai diverso dal mio, ma il risultato mi piace lo stesso).

Immagino avrete lavorato a distanza, almeno durante la creazione delle tracce. Raccontaci com'è andata e se avete trovato difficoltà nel confronto per certi versi particolare, visto il vostro rispettivo background.

Sì, anche se era ben prima del 2020 che abbiamo iniziato, si è lavorato a distanza. Ma non è stato difficile, io sono abituato da tanti anni a farlo, lui no ma come detto ci siamo trovati bene umanamente, ed è la cosa più importante. Quasi sono stati di più i problemi “tecnici”, ossia quelli legati alla sua poca abitudine a registrare a casa e scambiare file in rete. Un po’ di cose ho dovuto spiegargliele io. Per contro, quando finalmente ci siamo visti a Milano a gennaio 2020 per mixare il tutto in modo definitivo, ho imparato tantissimo da lui in termini più di scelte musicali. Ad esempio la tracklist è idea sua, il senso della sequenza dei brani lo ha scelto lui ed è stato secondo me vincente.

Perché è nata e cosa vuole esprimere questa assemblea di luce stellare.

Ti riferisci al nome? Altra cosa dalla genesi particolare… Inizialmente dovevamo fare uscire il lavoro sotto i nostri nomi, ma poi abbiamo capito che funzionava meglio essere ‘un gruppo’. Da lì ci siamo proposti nomi a vicenda a nastro continuo, ma non ci soddisfacevano mai abbastanza. Il primissimo era MI/LO (che stava per “Milano/Londra”). Direi bruttino… per fortuna a un certo punto lui è uscito con Starlight Assembly, dopo che “Starligth” era da tempo concordato. A me ricordava un po’ i Frontline Assembly, che pure mi piacciono, ma lui ha detto che non gliene fregava nulla, a me nemmeno, ed è rimasto. Buffo è che “assembly” in inglese vuol dire pure “assembramento”, cosa di ‘sti tempi demonizzata, e - ho scoperto in seguito - “erezione” in qualche slang britannico, cosa che a Dominic pare fosse ignota! Spero di non averti ulteriormente spento la poesia. Il vero significato del titolo del disco, ad esempio, riguarda un momento molto particolare che lui ha vissuto, ma credo di non potertene parlare. Stessa cosa per i testi dei brani.

Pensate di continuare l'esplorazione reciproca con un proseguimento della vostra collaborazione, magari anche dal vivo e con futuri lavori in studio o questo è stato uno splendido episodio isolato?

Grazie ancora per lo “splendido”! Come accennavo prima siamo al lavoro da tempo sul secondo disco, peraltro già a buon punto. E’ un po’ più “romantico” del primo forse, di certo più cupo, anche se involontariamente. L’anima pop si è un po’ spenta forse, a favore di uno spirito più gotico. Forse farà più contenti i fan dei This Mortal Coil, boh? Spero ti piacerà pure quello. Se ti conosco bene, sì!
Sul suonare live: Dominic dice di odiare farlo, io pure non è che mi ci diverta molto. Al tempo stesso la faccenda ci incuriosisce, e saremmo ben disposti a provare. Una mezza idea di organizzare una data a Milano a fine gennaio 2022 l’abbiamo. Ma anche altrove. Se a qualcuno interessa, si faccia avanti!

E Matteo Uggeri da solo o con gli Sparkle In Grey, che programmi ha?

Io da solo ho un disco in uscita su Midira, il seguito diciamo di “The Next Wait”, anche se musicalmente diverso. Più altre collaborazioni, un’altra con il buon Giulio Aldinucci e una nuova con Gianmaria Aprile, una specie di esperimento free jazz/ambient. 
Poi c’è un disco assurdo fatto di cover, di canzoni, ma registrate al telefono, molti anni fa, con Comaneci, Bruno Dorella, My Dear Killer, Camillas, Bob Corn, mi a figlia e mia madre. E’ fatto e finito, pronto e assemblato, con edizione specialissima a un prezzo folle, ma ancora non ho trovato il momento per renderlo pubblico.
Con gli Sparlke in Grey tocchi un tasto critico. Da quasi 3 anni stiamo lavorando al seguito di “Milano”, ossia un nuovo disco di studio, forse molto ‘pop’, diretto, orecchiabile. Comunque diverso dall’ultimo “Two Sing, Two Swing”, il quale è stato un po’ assemblato lungo i nostri 20 anni di carriera. Ma facciamo molta fatica a trovarci, siamo ormai in 5 e tra famiglie, lavori e cazzi di vario genere è dura vedersi.
Per due volte, nel 2020 e nel 2021, avevamo fissato delle date per registrarlo da Enrico Liverani dei Camillas, poi… le cose sono andate diversamente.
Posso dirti che la copertina l’ho disegnata durante un meeting noioso a Budapest nel 2018 e che si intitolerà “Addio”.
Addio. O arrivederci, e grazie davvero per il tuo interesse, è stato formativo rispondere alle tue domande!

 
 

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