Non chiederci la parola che squadri da ogni lato. Continuare ad essere movimento, dopo Genova.

19 Luglio 2021

Sono passati vent’anni dal G8 di Genova. Devo dire che la ricorrenza, in sé, mi lascia abbastanza fredda. Non c’è da festeggiare e, per quanto mi riguarda, non ci sono somme da tirare: tutto è ancora da fare, da costruire.

In molti hanno raccontato, riesumato, analizzato. Sono tornati online documenti importanti e pezzi di storia come il sito di Indymedia, ad esempio. Mi sono chiesta per giorni cosa potessi aggiungere ai tanti e tante che ne hanno già parlato, sicuramente meglio di quanto possa fare io. Credo niente: per questo, mi affiderò a Montale. È genovese, qualcosa ne saprà.

Se Genova fosse un’immagine per me, al di là degli scontri, di Carlo, della macelleria messicana, della vergogna di Stato che è stata, sarebbe questa. (Foto di G. Todescan)

Le tre figure centrali di questa foto non ci sono più.

Per me rappresentano tutto quello che, a Genova, siamo andati a fare: lottare per “un mundo donde quepan muchos mundos”, per dirla con gli zapatisti: un mondo che contenga molti mondi.

Franca Rame: il femminismo, l’antifascismo, la cultura al servizio della rivoluzione;

Don Gallo e il suo appoggio onnipresente ai movimenti anticapitalisti, la sua vita per gli ultimi, la sua rivoluzionaria comunità capace di affrontare le contraddizioni del sistema legate alla tossicodipendenza (checchè ne dica Netflix, non esisteva certo solo San Patrignano e la riflessione sulle sostanze era patrimonio collettivo).

Olol… compagno, fratello, mio amico. Lui si, aveva la capacità della parola che squadra da ogni lato, perché era rivoluzione.

Oggi mancano leader così, capaci di interpretare, attraversare e vivere questi tempi oscuri.

Ti guardiamo noi, della razza di chi rimane a terra.

È che io, a Genova, ci ho pensato poco in questi vent’anni. Ci sono stata con le tute bianche, aderendo convintamente al manifesto scritto dopo la nostra partecipazione alla marcia zapatista. Sono partita da Vicenza con i compagni e le compagne dello YA BASTA!.  Avevo ventun anni. Sono tornata incazzata ed atterrita, ma non mi sono mai sentita sola o sconfitta. In breve tempo il nostro centro sociale è stato sgomberato ed è nata una battaglia lunga dieci anni per gli spazi sociali in città. C’erano poi i processi da seguire, le lotte da organizzare, la risposta alle guerre al al mondo che è cambiato dopo l’11 settembre. Ci sono state le lotte territoriali da sostenere, alimentare, vivere, come la nostra importantissima battaglia contro il  Dal Molin, o le lotte NO TAV.

E poi la scoperta del femminismo e delle lotte transfemministe, le battaglie per scuola, diritti, salute pubblica; e, allo stesso tempo, le crisi economiche, la precarietà, la solitudine e la sindrome di accerchiamento che ti stringe alla gola, quando intorno a te trovi solo facce da Salvini, o quando i NO che convintamente hai sempre pronunciato diventano scuse per tutelare solo se stessi e la propria salute.

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Siamo stati informi, lontani dalle definizioni e dalle etichette: No global, new global, black block, pacifisti. Siamo stati capaci di essere moltitudine, questo si. Personalmente non ho mai fatto una lotta, partecipato a una manifestazione, perché me ne veniva in tasca qualcosa direttamente in termini di voto, denaro o prestigio. La generosità, la nostra generazione, l’ha pagata cara. Forse la mia generazione non ha parlato abbastanza di Genova, ma non ne ha avuto, credo, il tempo e la possibilità: siamo la prima generazione più povera di quella dei propri genitori. Abbiamo dovuto e ancora dobbiamo farci un culo infinito per avere poco o niente. A vent’anni questo ti fa ridere, a quaranta un po' meno, anche perché, chi ha i privilegi, sono gli stessi di inizio millennio.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Se c’è una persona che ho odiato molto, dopo il G8, è stato Bertinotti. All’epoca era il segretario di Rifondazione. Persona lungimirante ha, forse, intuito il declino definitivo dei partiti novecenteschi, incapaci di reggere l’urto e la voglia di partecipazione dei giovani movimentisti (e neanche questa è stata, esattamente, una novità…). Pertanto, ha provato a metterci il cappello. 

La questione meriterebbe analisi infinita, ma voglio semplificare e banalizzare, chissenefrega. Bertinotti per me è stato il simbolo della “monnezza”. Ha utilizzato la strategia della volpe e l’uva. Ha iniziato ad attaccare, dividere ed etichettare le manifestazioni dove la sinistra istituzionale non poteva arrivare a mettere le mani. Allora, io questo me lo aspetto dalla destra. Me lo aspettavo dalla polizia. Ma credo che il fuoco amico sia stato quello che ci ha fatto più male. Al grido di «nonviolenza, nonviolenza», è apparso sistematicamente nei media, dopo Genova, per dividere i buoni e i cattivi. 

Gli scontri, i treni occupati, le pratiche di autoriduzione ai concerti o sulla spesa, le occupazioni, sono diventati pian piano, fantascienza, criminalità, azioni da black block. La stessa espressione “Black block” è un’invenzione, della sinistra però. Dove il Genova Social Forum aveva retto, ci hanno pensato lui e tutti i suoi filistei. Io non li ho più votati da allora, né sostenuti in alcun modo. H, l’uomo che se ne va sicuro… nel frattempo siamo diventati quello che Jacobin ha chiamato “un Paese senza la sinistra”.

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Su questo, Montale, vorrei dissentire. Non è vero che siamo stati e siamo solo in grado di dire ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Siamo stati accusati in più riprese, oltre che di violenza, di caratterizzarci solo per il “NO”. Beh, col cazzo. Abbiamo costruito e costruiamo alternativa ogni giorno, con fatica, sudore, a volte disillusione. Il problema vero sia che la cosiddetta società civile, tutto quel tessuto sociale che chiedeva giustizia, uguaglianza, cancellazione del debito, ad esempio, è scomparsa.

Quasi mi mancano i tempi in cui si litigava con Rifonda o con la CGIL (indovinate perché? Vedi sopra). Noi siamo ancora qui, a parlare di beni comuni e diritti per tutti, mentre l’individualismo scende in piazza e usa termini e concetti di destra. Preferivo i litigi con la Rete Lilliput, almeno si parlava lo stesso idioma, non l’attuale neolingua composta di meme di Fusaro stile Orwell “La guerra è pace, la pace è guerra”, per cui autodeterminazione diventa sovranismo ( se si parla di me decido io: gli altri però cazzi loro, vedi Palestina o Siria), è in atto una dittatura sanitaria ( se devo toccare il tuo povero bambino già maggiorenne a cui non permetti di decidere, ma guai a contestare un TSO o a rivendicare i diritti alla salute dei detenuti), e “crolla cabala, crolla”. Alcuni che oggi ragionano così erano davvero a Genova e si sono rincoglioniti. Dispiace.

Io credo che, più che le testimonianze su Genova, servano gli esempi. Per questo sono stata in piazza contro il G20 a Venezia ( e col caldo che c’era, fatemi un monumento…). Quelli dall’altra parte della barricata sono sempre gli stessi. Parlano di green economy, ma sono loro. Lo capisci perché “zona rossa” per loro ha un significato di protezione, non di esclusione.

Rispetto a questo, prendo in prestito le parole di Tommaso Cacciari (qualcuno che sa ancora dipingere mondi con le parole è rimasto…) in un’intervista per il Corriere, prima del g20, che potete trovare qui.

No, le parole non sono “sono col bambino, ora non posso”, anche se quelle davvero avrei potuto dirle io, bensì:

tutti gli attivisti che scendono in piazza, tutti i ragazzi che hanno passato il periodo pandemico si pongono il problema di costruire un altro futuro. “Un altro mondo è possibile” si diceva nel 2001, oggi noi vogliamo essere più forti il giorno dopo. Non ci interessa comparire un giorno distruggere, sparire nell’oblio. 

Vogliamo guardare al domani. «I ventenni non sono soli e non verranno da soli. Non stiamo parlando di scappati di casa, di fuori di testa. Parliamo di persone che dedicano tempo, vita, sudore fatica a costruire qualcosa giorno dopo giorno. Persone che verranno accompagnate da altre persone più adulte che metteranno loro in luce alcuni aspetti. Sono certo di questo. E poi la verità è che i 20enni problematici sono fuori dai centri sociali. Dovremmo preoccuparci della violenza delle baby gang, di chi si trova in internet e si mette d’accordo per attivare dei pestaggi. Gente così, senza valori, senza arte né parte. Chi si identifica con i suoi pari e ha una controparte comunicativa, si incontra in centro sociale ha un’identità, non fa cose a caso». 

Se per noi è cambiato tutto — l’approccio, lo stile, il coordinamento — per loro (I G20) non è cambiato nulla. Si propongono cose che non fanno, che seguissero invece quello che dicono gli scienziati a cui commissionano gli studi! Il pianeta non aspetta le riforme, gli interessi. La realtà è che il potere è diventato più spietato rispetto al 2001. Tutte le linee di forza, di sfruttamento lavorativo, climatico sono rimaste ma ora nessuno può più dire che non sono a conoscenza delle conseguenze a cui portano queste scelte. Non hanno la scusa, quindi se continuano sono solo più feroci».

Non mi chiedere se ho vinto o se ho perso (si, anche questa è una citazione, dal punk però: un altro mondo che non esiste più).

So ancora guardare in alto
E perdermi nel cielo
Mentre vibro assieme ad un torrente
... e penso all'acciaio che ci stringe

Questi anni stan correndo via
Come macchine impazzite li senti arrivare
Ti volti e son già lontani...
Ti chiedi cosa é successo

La rabbia di quei giorni brucia ancora dentro
Ma forse tanto veleno
Poi é tornato dentro di noi
Gli altri stanno ancora ridendo...
E noi qui a guardarci dentro

Questi anni stan correndo via
Come macchine impazzite li senti arrivare
Ti volti e son già lontani...
Ti chiedi cosa é successo

No son sempre io
Non mi cambierete quel che ho dentro
Forse ho un'altra faccia
Ho più cicatrici di prima
Sorrido un po' meno
Forse penso di più

Non mi chiedere se ho vinto o se ho perso
Non mi chiedere se ho vinto o se ho perso

[Quel che é intorno é una sconfitta per tutti
No non sono io il fallito
Voi tutti avete perso un po' di vita
Voi tutti meno umani] 

KINA

 
 
loading... loading...