"1991: il risveglio del rock" - Intervista a Paolo Bardelli

14 Luglio 2021

Sembra quasi che una congiunzione astrale favorevole, di quelle che si verificano una volta ogni due-tre generazioni, abbia fatto sì che il 1991 fosse un anno eccezionale per la musica. Nel momento in cui molti dinosari rock esaurivano la loro ispirazione, si affacciava una nuova generazione sconvolta dalla Guerra del Golfo, costretta a cantare la perdita dell'innocenza di un mondo post-ideologico. Questa rivoluzione è il tema del nuovo 1991: il risveglio del rock, edito da Arcana ed uscito in tutte le librerie da poche settimane. Ce lo siamo fatti raccontare dal suo autore, il critico musicale Paolo Bardelli.

Nel 1991 eri in pieno teen spirit. Hai scelto quella data come turning point per ragioni affettive, o è davvero successo qualcosa di unico nel mondo musicale?

Entrambe le cose, credo. Al tempo avevo 17 anni, che è l’età in cui ci si forma appieno la propria “coscienza musicale”, ma è vero anche in quell’anno si sono concentrate uscite discografiche fondamentali e album bellissimi, e non lo dico io. La sfida nello scrivere il libro era proprio quella di andare alla ricerca se questa fecondità musicale aveva una ragione sottesa, una motivazione di fondo, se era stata una casualità oppure no, e spero – nelle pagine – di aver trovato delle possibili risposte.

La Guerra del Golfo fu un trauma collettivo, dopo gli spensierati anni '80, una sorta di risveglio alla realtà. Come reagì il rock?

Il problema di quella guerra fu che era approvata dall’ONU, quindi era teoricamente valutata da tutti come una “guerra giusta”. Ma, nonostante questo, il pacifismo emerse prepotentemente da parte dei gruppi rock: i Fugazi fecero un concerto piuttosto mitico davanti alla Casa Bianca, qualche giorno prima dell’attacco, i Rolling Stones registrarono una delle poche loro canzoni politiche, ovvero Highwire, e i Dead Kennedys cantavano Die For Oil, Sucker!. Ma anche il mondo dell’hip-hop si rivoltò, e si possono citare Ice-T e i Geto Boys; quest’ultimi erano piuttosto chiari in quello che volevano dire: il titolo di una loro canzone era Fuck a War. Gli Stati erano tutti d’accordo, ma alle persone di tutto il mondo quella guerra non piaceva per niente.

Sono sicuro che tutti, dovendo nominare un album uscito nel 1991, diremmo subito Nevermind. Come vedi il grunge oggi, in retrospettiva?

Per noi 17enni all’epoca è stata una ragione di vita, il movimento che più ha incanalato la nostra rabbia di “generazione X”, purtroppo in direzione un po’ autolesionistica. Non era infatti una rabbia come quella del punk rivolta verso l’esterno, la nostra fu una generazione – cadute le ideologie – che ripartiva dagli individui e quindi attenta ai diritti individuali, quelli per cui si lotta anche oggi, il cui rovescio della medaglia era quello di essere forse un po’ troppo riversi in noi stessi. Musicalmente comunque il “Seattle Sound” era già maturo in quel 1991 e da lì in poi raggiunse vette incredibili: nel solo 1991 ci furono anche Badmotorfinger dei Soundgarden, Ten dei Pearl Jam e l’omonimo dei Temple Of The Dog. Fu però un fuoco che bruciò in fretta, se vogliamo citare l’ultima lettera di Kurt Cobain.

Non tutti gli anni nasce una musica davvero "nuova". Più che dovuto, quindi, ricordare che nel '91 esordiscono i Massive Attack...

Che, per marcare la loro lontananza dalla Guerra nel Golfo, per qualche mese nel 1991 escono con il nome solo di “Massive”… Sì, Blue Lines riuscì a far confluire una serie di influenze diverse come l’hip hop, il soul, il reggae all’interno del rock e creare una musica sensuale e inquietante al tempo stesso. Allo stesso modo la scena di Bristol si completa sempre in quell’anno: nel 1991 Tricky conosce quella che sarà la sua musa, ovvero Martina Topley-Bird, e anche Geoff Barrow e Beth Gibbons si uniscono a Utley per cui nascono i Portishead. Il trip hop quasi al completo, no?

Nel 1991 morì Freddie Mercury, forse una delle morti del rock più sentite a livello globale. Come la vivesti all'epoca?

Ricordo con sgomento il viso scavato di Freddie Mercury nel video di “These Are the Days of Our Lives”, anche perché fu pubblicato dopo la sua morte e quindi era toccante rivederlo così sofferente. L’impressione però fu che veniva a mancare un artista di un’epoca precedente alla mia: il vero primo dramma della mia generazione fu infatti la morte di Kurt Cobain nel 1994, che ci fece capire che eravamo diventati grandi e che eravamo tremendamente vulnerabili

Un album seminale di quell'anno è Loveless dei My Bloody Valentine. Lo comprasti subito o l'hai riscoperto negli anni?

Non sono mai stato un gran appassionato di shoegaze, quindi ti dico che non l’ho comprato mai! Diciamo che è un album che ha influenzato più a distanza di anni che in diretta, perché la loro lezione “effettistica” è rimasta di più di quella di altri ma al tempo era piuttosto “di nicchia”. È un album con intuizioni enormi ma “it’s not my cup of tea”, come si dice in questi casi.

Se dovessi citare un grandissimo album del '91, meno noto al grande pubblico, quale diresti?

Uno è impossibile, ce ne sono tantissimi! Se sei d’accordo te ne direi tre: le Throwing Muses fecero l’album power pop perfetto (The Real Ramona), gli LFO su Warp posero le basi dell’elettronica moderna (LFO) e i White Thin Rope chiusero la loro esperienza con un bellissimo album di rock desertico quale è The Ruby Sea. Considera che domani ti direi tre dischi diversi!

Alcuni gruppi storici, in quell'anno, dimostrarono di avere ancora molto da dire, penso ai R.E.M. e agli U2. 

Out Of Time – ascoltatissimo all’epoca – è da riscoprire: è un album equilibrato, pop ma non troppo, profondo come sempre i R.E.M. sanno essere ma con leggerezza. Prima di scrivere il libro mi capitava di riascoltare altri album dei R.E.M. e di considerare Out Of Time un po’ commerciale, ma non è vero: quell’album ha una forza comunicativa magneticaGli U2 poi fecero un grandissimo colpo di coda: dati già per “bolliti” con l’autocelebrativo Rattle and Hum, riuscirono a reinventarsi creandosi, con Achtung Baby, una credibilità per tutti gli anni Novanta. 

Dovendo in qualche modo racchiuderlo in una frase, qual è secondo te lo Zeitgeist del 1991?

Beh, facile: fu la “contaminazione”. Si mischiava tutto, si voleva vivere in un mondo aperto a tutte le culture, si credeva nel “melting pot”. Sappiamo oggi che siamo ancora molto lontani da quel risultato, ma gli ideali del 1991 erano quelli. Unire, non dividere.

 
 

Link

http://www.arcanaedizioni.com/prodotto/paolo-bardelli-1991-il-risveglio-del-rock/

 
 
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