SEMPLICE è il nuovo album di Motta

L'artista toscano ci racconta il suo terzo attesissimo album, in uscita il 30 aprile 2021

30 Aprile 2021
 - Momo

Venerdì 30 aprile 2021 è una data importante, perché Sugar pubblica SEMPLICE, il terzo atto di un'opera in continuo movimento dove Motta libera anni di fermentazione di un mosto spremuto a poco a poco in modo biologico, naturale.

A tre anni di distanza da Vivere o morire Francesco parla in stampatello maiuscolo, diretto, con pezzi nati prima e dopo l'avventura sanremese di Dov'è l'Italia e della fine del mondo come lo conoscevamo.

A gennaio 2020, Motta è andato a New York a vedere un concerto di David Byrne con il suo ultimo progetto, incontra il percussionista Mario Refosco con cui ha lavorato in alcuni pezzi per Vivere o morire e va in studio da lui. L'idea iniziale era portare qualcuno della band a New York per una jam session con lui e Bobby Wooten, bassista di David Byrne. «Questa cosa non è successa, ma ha portato a una organizzazione del disco di cui sono particolarmente contento. Con Mauro e Bobby siamo riusciti a lavorare a distanza su tutte le canzoni. Abbiamo avuto il tempo a quel punto di lavorare con Carmine Iuvone che è il violoncellista che suona con me sull'arrangiamento degli archi».
«A partire dal tour che ho fatto con Les Filles des Illighadad noi ci eravamo ritrovati a fare una sorta di rock con il violoncello», sviluppato grazie a Carmine con tutto il quartetto, dedicando tantissimo tempo agli arrangiamenti. «Ho sentito l'anno scorso la mancanza di persone e quindi, diciamo, mi sono forzato di creare una situazione di vertigine» per ripartire da zero e rimettersi in gioco senza forzare nulla. Sentiva la mancanza della band, Motta. Live e studio si avvicinano molto, questa volta. «Sulla scrittura mi ha dato una mano Pacifico, per la prima volta ho continuato a lavorare con persone con cui avevo già lavorato» compreso Taketo Gohara, riuscendo a divertirsi nel fare musica. «Io sono fortunato a fare questo mestiere, a prescindere dalle pacche sulle spalle e a prescindere dai live che sono per me di solito dei festeggiamenti. L'ho fatto tanto per me questo disco». Motta ha passato gli ultimi mesi in campagna, chiedendosi «perché lo faccio, che senso ha fare questo mestiere. Vedere la chitarra lo straniva: «In questi giorni dico sempre questa citazione del Colle der Fomento: "Io faccio il mio e non lo faccio né pe loro né pe l'oro / Lo faccio solamente perché sinno me moro": questo è il motivo per cui lo faccio».


Lo svolgimento di un album, lo hai detto tu stesso, è un po' come un tema, ma è nato come un tema libero o con una traccia?

Al titolo del disco ci sono arrivato alla fine, mi sono accorto anche che era una cosa che continuavo a ripetere, e ad un certo punto mi sono accorto che veramente era quello il focus del discorso, il fil rouge di tutte le canzoni. Poi mi sono letto questa parte delle lezioni americane di Calvino sulla leggerezza, in cui ha detto molto meglio di come l'ho detto io in dieci canzoni quello che ho sempre cercato di dire: la leggerezza non è una piuma che cade, che è pesante perché cade, ma è un uccellino che sta in aria e batte le ali per rimanere su, è faticosa la leggerezza, deve essere una conquista, non deve essere assolutamente un punto di partenza. 

All'inizio io ero molto concentrato sul fare la musica, forse rispetto ad altre volte sono partito più con la concentrazione sugli arrangiamenti, sulla musica. I testi sono stati faticosi come al solito, però in qualche modo mi sono divertito e lasciato trasportare dalla musica che stavo facendo, quindi è stato molto più libero come processo rispetto a Vivere o morire che a un certo punto ho trovato il concept del disco, forse su La fine dei vent'anni è successa la stessa cosa, il fatto che piano piano a un certo punto vedi una luce in fondo al tunnel e continui a correre verso questa direzione, non che questa cosa non la puoi fare.

Baglioni diceva che l'amore è un Bolero in cui ci muoviamo. Cosa rappresenta il tuo rullante?

(Ride) il mio rullante è cambiato perché prima avevo molta paura di fermarmi, guardarmi e dire "sto bene", o almeno "sto". Negli altri due lavori precedenti c'era una paura del tempo, e anche una voglia in Vivere o morire di essere molto legato al passato, di giudicarmi molto, quindi di non capire perché esistevano delle contraddizioni in tante cose che avevo fatto, e adesso io le accetto.
Per la prima volta forse questo rullante è molto più stabile di prima.

Io stavo sempre in giro, in casa nostra era difficile che io e Carolina fossimo a cena da soli, non succedeva mai, in qualche modo rubavo anche le storie delle altre persone perché ero malato della città, malato della socialità, quindi dal momento in cui questa cosa era venuta meno, ognuno di noi dal momento in cui rimani fermo a pensare riesci a pensare meglio come stai.
Facendo questo processo per la prima volta mi è successo di non guardare al passato, ma di prendere quel momento lì per guardare al futuro, per immaginarmi dove volevo andare, accettare di essere presente in una città mentre prima c'era sempre questa cosa di ricordarsi sempre da dove venivo per accettare chi ero, anche portare ia provincia costantemente nelle canzoni, essere spaventato dalla città.
Mi sono accorto che paradossalmente Trastevere ha tante cose in comune con Pisa. Questa cosa mi ha permesso di stare e, quindi, stare meglio.

La canzone che mi piace di meno dei dischi che faccio è quella che piace di più a tutti. Quando abbiamo ripreso a fare le prove, è stata un'emozione pure fare il playback del video di E poi finisco per amarti, è stata un'emozione tornare in furgone qualche giorno fa per registrare questo video a Torino. La prima ora! Dopo un'ora e mezza ci stavamo rompendo esattamente come prima... mi fa piacere perché spero che tornare alla normalità sarà molto più facile di quello che pensiamo.

Semplice, dovessi tornare in studio, non ho la più pallida idea di come è stata fatta: tutti ci siamo sentiti parte di questo flow, ma non ti saprei spiegare come è successo, il fatto che il testo sia molto chiaro, molto semplice con questa musica sotto è la parte centrale di quel racconto.

Tu sorridi mentre guardi la gente. Cosa succederà sul palco?

Sul palco partiremo da noi, dal fatto che io mi guarderò a destra e sinistra, vedrò Giorgio, Cesare, Carmine, Francesco che è entrato adesso e quindi partirà tutto da un sorriso. Questo non deve far sì che ci si debba nascondere per forza dietro a un sorriso, ho sentito parlare tante volte del fatto di andrà tutto bene: non è andato bene niente. Penserò tantissimo al fatto che ci sono delle persone che hanno lavorato con me che non avranno la fortuna di salire sul palco, semplicemente perché fanno un altro mestiere, e quindi anche questo mi porterà un sorriso perché mi sentirò molto fortunato, ma nello stesso tempo sarà un sorriso a metà. Non so, è tanto che non vedo la gente e quindi non so dove c'eravamo lasciati e chi siamo diventati, deve partire tutto da una grande responsabilità e da una grande fortuna che avrò nel rimontare là sopra, partirà dal fatto che meno male che quest'estate si suona.


Il disco:

Gli archi aprono la dichiarazione di poetica di una acustica A te prima che dissonanze elettriche e un mantra permettano ai cerchi concentrici del Motta di inaugurare l'album.
E poi finisco per amarti ormai è una certezza, mentre fischi scagliati contro il mare percorrono una Via della luce osservata con occhi rilassati.
Una vita intera e gli incroci nei Criminal Jokers confluiscono tra topos di sampietrini e caffè con Alice Motta in Qualcosa di normale, tra suoni giocosi, ricordi, calzini e un duetto suggerito da Franesco De Gregori.
Quello che non so di te è pronta per il dancefloor, concreto ed etereo urlano all'unisono da sfondi elettrici e inserti noise.
Semplice è uno dei brani più lunghi del disco, e porta su un nuovo binario l'eco degli album precedenti Caos dei rumori di fondo e graffi d'esistenza scivolano sulla coda verso Le regole del gioco tra clap e pizzicati che portano lontano: "cambiano le frasi di saluto e le regole del gioco", "c'è che alla fine qui va tutto bene, sai che c'è che lei dorme sul divano e qui va tutto bene".
L'estate d'autunno riporta le urla tra ricordi e riflessioni, "sarò figlio di mio figlio", "piacere di conoscerti di nuovo", "e per essere me stesso ho bisogno di te".
Dall'altra parte del tempo è lo specchio dei cambiamenti che conduce a Quando guardiamo una rosa, a chiudere i minuti di un album che parla anche per te.

 
 

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