Peggio di Niente: i Ministri fra pandemia e Bruno Munari

Analisi e recensione del singolo della band milanese

17 Aprile 2021

Ultimamente mi chiedevo quando sarebbero tornati i Ministri, a tre anni da quel Fidatevi che aveva cambiato un po' il loro sound, dando prova del classico upgrade che porta molti gruppi maturando a "picchiare" di meno.

Dunque mi aspettavo che questo Peggio di Niente sarebbe stato di nome e di fatto. Una ballad con una carica nel centro del pezzo e il resto soft. Invece devo dire, e per fortuna: "che belle le previsioni disattese!".

I milanesi colpiscono duro al cuore e allo stomaco dell'ascoltatore con un sound che forse riassumono le migliori capacità che ci hanno fatto appassionare alla loro musica.

La traccia inizia con un loop sonoro spaccato subito dall'entrata al fulmicotone della chitarra, seguono batteria e voce - letteralmente urlata - miscelate a un approccio quasi noise (il cantato si sente quel giusto utile a comprendere le parole pronunciate).

L’energia infusa sa fottutamente di sfogo e di liberazione. La canzone tratta molto chiaramente degli ultimi dodici mesi di virus, lockdown e distanze morali. Un contesto atto a non migliorarci, semmai a scavare dentro e scovare paure, ansie e miseria umana. Alle tante decantate resilienza e intelligenza emotiva si sovrappongono meschinità, frustrazione, rabbia mal repressa e diffidenza, trasformando amici di una vita in animi distanti e vicini in snitch che manco le storie trap saprebbero raccontare a dovere.

I Ministri dunque descrivono persone deboli nel privato ma che si fan forza prevaricatrice nel pubblico, forse per salvare il salvabile, senza domandarsi prima che abbia senso veramente tenere del passato in un presente decisamente mutato.

È “peggio di niente” perché se anche poter uscire un'ora a vedere un amico si possa dire meglio del nulla alla fine fa comunque, siamo schietti, schifo: sembra il fantasma di un rapporto umano. Amicizie diventano divisioni e gruppi divengono sottrazioni.

Redenzione? Forse. La musica non potrà salvare ma può aiutare a dare le giuste coordinate.

La produzione della band è stata affidata Ivan Antonio Rossi (Baustelle, Zen Circus), grazie alla quale si sente il cambio di passo, e i nuovi costumi di scena a Nicolò Cerioni, donando alla band quel look a là medioevo digitale in cui tutti stiamo forse immersi.

La copertina del singolo è invece citazione alla cultura, a ciò che risveglia l'animo, nello specifico alle cover progettate per la collana Nuovo Politecnico Einaudi nel 1965 da Bruno Munari. L'artista, designer e scrittore italiano fra gli anni '50 e '60 è stato perno della Milano del boom economico dando il là all'artista operatore-visivo, figura a supporto delle aziende dove tecnicità e utilità venivano mixate a un senso estetico e del "bello" tali da contribuire alla creazione del celebre concetto di "made in Italy".

Il progetto grafico è a cura di WET STUDIO e XXXXXX.

Il singolo esce per l'etichetta Woodworm (fonte dell'immagine)

 
 

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Fonte studio grafico Bruno Munari per Einaudi

 
 
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