Lalla Romano

Parole e immagini che "raccontano senza inventare"

13 Aprile 2021

Lalla Romano. Non posso fare a meno di sorridere con tenerezza a pensare a questo nome, a pensare a questa figura così poco conosciuta, eppure così definita, così speciale in tanti sensi. L’ho scoperta attraverso un paio di opere, qualche articolo su di lei, un saggio sulla sua scrittura. Di solito mi basta per capire un autore, o un’autrice, per poter leggere un po’ oltre le parole che scrive, per poter presuntuosamente dire di aver afferrato la sua poetica. Invece per Lalla Romano non è stato facile, non è stato immediato. Ho dovuto lasciar sedimentare qualche settimana, lì per lì non mi veniva nulla da scrivere, i suoi mi sembravano libri come tanti. Solo dopo qualche tempo, riprendendo in mano gli sparuti appunti che avevo scarabocchiato leggendo, è scoccata la scintilla e ho provato un grande affetto per questa donna.

Nata a Demonte, in provincia di Cuneo, nel 1906, è stata una scrittrice incredibilmente prolifera, ma non solo: fu anche pittrice (allieva di Casorati) e una grande appassionata di fotografia. Passione che, vedremo, inserisce nei suoi libri creando un rapporto simbiotico tra immagini e parole. Dalla sua valle di origine nasce l’amore per la natura, che diventa poi amore per l’arte. Vive qualche tempo, poi, a Torino; la stessa Torino di Gramsci, di Gobbetti, di Levi e di Ginzburg. Qui si forma, e si laurea in Lettere.

Inizialmente la forma artistica da lei prediletta fu la poesia, e la pittura. Ma poiché purtroppo di poesia e pittura non me ne intendo, mentre di prosa qualcosa in più capisco, mi concentrerei su quest’ultima.

Cosa scrive Lalla Romano? Scrive tanti brevi romanzi, per lo più autobiografici. Per lei è fondamentale “raccontare senza inventare”. O meglio, le sue sono memorie vere, inventate dal verbo latino invenire, ovvero trovare. La nostra scrittrice scava nei suoi ricordi, per portare alla luce strato dopo strato tutta la sua vita. Lo fa però in un modo che rende l’autobiografia appassionante e interessante tanto quanto la fiction.

In Maria, ad esempio, soffriamo con la protagonista quando la domestica, Maria appunto, deve partire, e ci manca quanto manca alla voce narrante. O in Tetto murato, leggiamo con tormento delle notti insonni delle protagoniste per vegliare l’amico malato.

Quindi, punto uno: l’immedesimazione di questi romanzi è fortissima. Forse non immediata, ma poi è totale.

Punto due: le atmosfere. Le atmosfere sono rarefatte, non c’è contesto, non ci sono fronzoli, nulla che possa distogliere l’attenzione dalla forza di ciò che stanno vivendo i personaggi. Se c’è una guerra, è appena accennata; se si parla di una città, potrebbe essere mille città. I nomi sono pochi, le descrizioni ancora meno. Il bambino di Maria, è sempre il bambino. E quindi non posso fare a meno di paragonare la scrittura di Romano allo stile del suo maestro di pittura, Casorati. Casorati che mi ha sempre incantato con il suo “Concerto”, con il suo Realismo Magico. E sono le stesse atmosfere rarefatte, la stessa netta definizione dei dettagli, ma immersa in uno spazio onirico.

Terzo punto, le immagini. Sono per lei fondamentali, in tutta la sua vita. Andando a ritroso, senza dubbio nei suoi ultimi anni a causa di una malattia che la renderà quasi cieca, le immagini diventano un conforto, se non proprio una necessità. I suoi libri si riempiono di foto, d’epoca e non, che diventano parte integrante della storia.

Vorrei in chiusura lasciarvi un aneddoto che penso possa essere rappresentativo della figura di Lalla Romano: dopo che Giulio Einaudi le rifiutò la pubblicazione di uno dei suoi primi libri, a dimostrazione del suo carattere riservato, chiuso ma anche molto determinato, invia una copia fresca di stampa all'editore con dedica "a chi non ha voluto stampare questo libro". E penso che possa dire tutto.

 
 
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