Mephisto Walz

di Mirco Salvadori

17 Marzo 2021

ANTONIO AIAZZI | GIANNI MAROCCOLO
Mephisto Ballad
Contempo Records/Goodfellas

I MephistoWalz erano - forse ancora lo sono? - una band nata dalla fuoriuscita di due compenenti dei Christian Death di Rozz Williams dalla band. Uso il nome di questa formazione non a caso. Di Mefisto si parla nel disco che andrò a raccontare così come si racconta di dark, al pari di queste band che più di altre si dedicarono al culto delle ombre eterne trascinando con loro molte delle nostre anime, a quel tempo inconsapevoli e ancora non pronte a discernere la qualità del prodotto musicale che veniva loro offerto. Il risultato sono le intere o quasi discografie che ora giacciono sugli scaffali, testimoni di un passato comunque eccezionale, pesanti reliquie dalle quali è difficile staccarsi. Il passato è una brutta bestia, specialmente se in quel passato è nata e si è sviluppata una rivoluzione musicale che ha cambiato - inutilmente, a vedere come siamo messi ora - il corso della musica in questo paese. Un passato ancor più difficile da accantonare se di quella rivoluzione si era uno dei leader come lo era il gruppo dei Litfiba, band ormai spenta (forse) che continua ad apparire viva e vegeta, tanto se ne continua a parlare. Ma torniamo alla definizione 'dark'. Dovessi pensare a chi, in quel periodo a Firenze saltava dentro i solchi dei dischi colorandoli di nero oscuro, mi verrebbe da citare i Diaframma, più punk oriented e decisamente coinvolti nel malessere eterno,  piuttosto dei Litfiba, decisamente rock oriented. Dico questo partendo dall'assunto che descrive il nuovo lavoro di Aiazzi e Maroccolo come "tardodiscodark", una definizione che a mio avviso non rende giustizia a questo lavoro.

Precedenti: Firenze - Centro Culturale Casablanca -18 Febbraio 1982 la Mephistophesta di Carnevale. Si deve partire da questo festone/concerto per comprendere il titolo del disco dei due ex-Litfiba. Sul palco svetta una bara dalla quale esce Pelù "rigorosamente teatrale, magico, onirico, eclettico, fascinoso con la sua gestualità da clown espressionista", queste le parole di Bruno Casini organizzatore dell'evento. Durante il concerto viene eseguita anche EFS 44 che ritroviamo riadattata in apertura di Mephisto Ballad, una traccia che finirà nel primo singolo dei Litfiba, "Guerra". Tutto parte da qui, dall'incontro del bassista e del tastierista presenti quella sera su quel palco e dalla rinata voglia di riesumare un passato cercando di renderlo attuale, legato ad un presente che di colorato e positivo ha ben poco.

Da qui inizia l'ascolto e sta al fruitore decidere se porgere attenzione al passato o al presente perché i due piani di percezione cambiano, ciò che un tempo ascoltavamo con diletto ora risulta inattuale, infantile, creato senza la giusta mediazione dettata dall'esperienza, a volte è decisamente inascoltabile. Sta sempre a quel disgraziato ascoltatore capire se Mephisto Ballad è musica creata per la rappresentazione teatrale o può essere usufruita come musica di puro ascolto. Una domanda che in molti si porranno ascoltando i vari interventi in voce di Giancarlo Cauteruccio che impone la gravità dell'ispirazione goethiana, quasi seguisse le teorie del colore dello scrittore tedesco che immagina i pigmenti come risultato dell'interazione tra luce o oscurità, scegliendo ovviamente quest'ultima come compagna dello scienziato e alchimista che strinse il patto fatale. A vedere dello scrivente è un buon intervento, se inserito in un contesto drammaturgico classico che risulta dissonante, in questo lavoro che non segue pedissequamente quella cupissima via.


Vi avvicinate ancora, ondeggianti figure
apparse in gioventù allo sguardo offuscato.
j. w. goethe

Inizia dalle parole che aprono il Faust il mio viaggio nella discesa agli inferi dei due toscani, queste figure ondeggianti apparse in gioventù allo sguardo offuscato. Proprio perchè la gioventù mi ha ormai abbandonato cercherò di volgere il mio ascolto al presente, tralasciando i ricordi, le celebrazioni e un passato a volte troppo pesante da portarsi continuamente appresso, soprattutto per chi ama viaggiare in avanti nel tempo.

Il primo pensiero va a Alone, quell'esperienza che mi ha visto partecipe del progetto da primo al quarto volume. All'inizio ho pensato che forse questa era un'inconsapevole continuazione di quel percorso ma dopo l'ascolto mi sono reso conto che la solitudine del musicista presente nella collana perpetua qui viene mitigata dalla presenza del compagno di avventura e questo rende meno dirompente e più delicato, digeribile e forse accettabile il contenuto del disco. Come già detto la mia visione musicale è assolutamente rivolta al presente con occhio sempre pronto a fissare qualche segno premonitore di futuro ed è con questa modalità che ho voluto immergermi in questo disco che ha saputo soddisfare le mie aspettative a metà. Le otto tracce di Mephisto Ballad piacciono, entrano e quite si stendono nello spazio dedicato alla tua attenzione ma lo fanno come vecchi amici che già conosci e dai quali capisci che non puoi chiedere altro che farti compagnia evitandoti la solitudine da ascolto urticante. Il pianoforte di Aiazzi scivola nella dolce mestizia di note care al modern classical più fruibile mentre gli interventi di Marok ci riportano in un mondo caro al rock sperimentato, lontano da quello sperimentale. Ciò che si percepisce in lontananza è il gesto elettroacustico di Flavio Ferri che cerca di agganciare il passato per trascinarlo in un presente ancora lontano. Il discorso qui prenderebbe altre vie, si dovrebbe iniziare a discutere dell'incapacità tutta italiana di uscire da canoni di senilità musicale che inneggiano alle rivoluzioni rock e al suo ritorno sui palchi da sempre dedicati alla musica leggera, quando la musica leggera è stata polverizzata trasformandosi in sostanza nociva e il rock è imploso su se stesso da anni. Evitando di divagare non si può però non notare che questo infausto dilagare del falso ideologico ha come attratto anche pare di coloro che da sempre cercano di proporre materia sonora diversa ma lo fanno rivolgendosi ad un pubblico saturo, pigro, ipnotizzato, incapace di pensare e ascoltare con il proprio cervello e udito.

Un discosto ascoltatore come lo scrivente non può certo insegnare nulla a nessuno, può solo dare un suo parere personale che nel caso di Mephisto Ballad è diviso tra il piacere di un gradito ascolto e il dispiacere nel non riuscire a pecepire quel qualcosa che contenga il colpo di coda capace di trasportare il suono ad un livello superiore, oltre quella comfort zone, in territorio indipendente e di ricerca, un luogo indubbiamente pericoloso nel quale è possibile incontrare la Fine e giocarsela a scacchi, pur di continuare a creare.

 
 

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