Anomalia Sanremo 2021 Day 1

Il report della prima serata a cura di Sherwood Webzine.

3 Marzo 2021

In ritardo di un mese…

Tra magheggi per avere il pubblico.

Si ipotizzavano figuranti già vaccinati (dunque personale sanitario? Forze dell’ordine? Ottantenni?).

Addirittura una nave da crociera. Un hotspot patinato, praticamente.

Fino alla imperitura, quanto silente, realtà.

Ariston vuoto ed applausi finti come i sorrisi mordenti di Amadeus.

È strano, irreale, bizzarro? A dire il vero no.

Sanremo è la pseudo-fotografia del contingente

Con grandi differenze.

Gli artisti si esibiscono. I musicisti suonano. I tecnici lavorano.

E chiudere la porta per lasciare il mondo fuori dalla stanza”, è una di quelle citazioni presenti in innumerevoli tracce, da Vasco a Moro sino a Noemi, che mai come oggi diviene la filosofia sanremese per eccellenza.

Quel che accade nei teatri, nei club, nei festival italiani, a chi lavora in questo variegato mondo dello spettacolo che da un anno rivendica reddito e tutele, non intacca Sanremo che prosegue il suo percorso per il 71esimo anno di fila, come se nulla fosse accaduto.

Certo, probabilmente sarei fin troppo mendace se dicessi che il Festival stia proseguendo con l’ordinaria normalità.

Tutt’altro. Ma una cosa vorrei sottolinearla: il Sanremo di quest’anno adopera una tecnica che potrei definire ’operazione di conformazione dell’anormalità’.

La macchina-sanremese si alimenta di sprazzi di narrazioni tangibili al pubblico dei divani casalinghi. Ora a mò di ironia, ora con atteggiamento serioso volto a far ‘riflettere’, ‘meditare’, ‘pensare’, come se in tutto questo tempo il pubblico avesse vissuto “una vita in vacanza”, sì, ma su Marte.

Amadeus ribadisce con odiosa spocchia di aver imparato a memoria il regolamento covid, tanto fluviale quanto noioso, che, detto così, appare ‘il male necessario cosicché tutto possa essere in regola’. Non tanto un dispositivo dovuto – che è la base in tutti i contesti lavorativi - ma una burocrazia di contorno per assicurarsi di presidiare un palco, per cinque giorni, con un frac lucente.

Le battutine sulle poltroncine vuote e mutaciche si sprecano; i siparietti goffi sulla nenìa del non poter sfiorare talloncini e fiori divengono ripetitivi ed imbarazzanti. Ma è il gioco conformante: ridiamoci su, banalizziamo, perché nonostante tutto ‘the show must go on’.

Il simbolo degli operatori sanitari sveste il camice verde sanitario ed indossa un vestito da sera: l’anatroccolo si trasforma in valletta, i segni della mascherina soffocati da cerone e fard illuminante. È Sanremo, e le “uniformi” se “grandi” vengono indossate con orgoglio solo dai poliziotti-musici che si esibiscono in un suadente tango: prima persona dell'indicativo presente del verbo tangere (toccare), che dunque significa "Io tocco". Chissà se avranno pensato a tale accezione beffarda.

Venendo alla “musica” dopo ormai già 405 parole di ‘report’.

In primis, menzione d’onore per il jingle gitano non in gara che accompagna – più volte – la discesa del calciatore Ibra. Una scelta di un’accuratezza flemmatica della regia, dovrò concludere. Un giorno, mentre riguarderemo questo festival, Raiplay introdurrà un disclaimer similare a quello della Disney sugli Aristogatti: “questo programma include rappresentazioni negative e/o offese di persone o culture".

Quanto ai pezzi in gara: buio pece intermezzato da neon luminescenti che durano minuti, senonché secondi.

Nel buio inserisco l’autotune ipertrofico che agisce come la mano invisibile nel libero mercato: la provvidenza per chi non sa cantare. Sarebbe il caso di spingere tali artisti a fare rap o ad intraprendere lo sport dell’ippica, qualora gli ippodromi fossero aperti.

Nella luce vedo una ragazzina, come Madame, che tuttavia implode: sarà anche lo shock termico del contatto tra suolo ed epidermide, ma l’esibizione live non le rende giustizia. È il caso di spolverare Celentano e collocare una citazione inebetita “L’emozione (non) ha VOCE”. (Risate finte di sottofondo).

Il ricordo di Patrick Zaki, grazie, finalmente.

Sulle canzoni non in gara, Fiorello is new Baglioni, canta quando cazzo gli pare, ed il duetto con Matilde – che ha un’estensione vocale inaspettata – alza un po’ il tiro. Loredana Bertè, per quanto regina indiscussa per tempra, grinta e portento scivola in gorgheggi raschiati con tutte le farfalle, sino ad un playback sgradevole che non sa interpretare. Cringe.

Diodato, ex vincitore del festival, ritorna sul palco con più pezzi, se fosse in gara, probabilmente avrebbe già vinto.

Tra i momenti più ilari si posiziona un Aiello che quasi impreca e diviene re dei memes sui social. Achille Lauro si presenta – come ospite questa volta - con un outfit ASPETTATAMENTE voluttuoso ma saremmo in grado di parlare di lui senza quei cotillon piumati, soffermandoci, ad esempio, soltanto sul pezzo? (10 pt a Grifondoro per il video di presentazione).

Il Festival si conclude come solito con la classifica – formata dalla giuria demoscopica – che appare ai più insensata. Ma solo tra qualche giorno potremo seriamente prenderla in considerazione, non temete.

Venendo ai social, Sanremo si riconferma un momento per incontrarsi e scontrarsi tra utenti. Tra chi commenta minuto per minuto con fare stalker ogni minima cosa (sono in questa fazione, mi scuso coi miei amici) e chi, invece, si lamenta delle cronache impazzate su Sanremo. Tertium non datur: chi ha deciso di boicottare la visione perché ritenuto una farsa. Un’idea che rispetto ma dalla quale mi discosto: un sistema di tale stregua di certo non arranca, lo share, dopotutto, si misura su decine di milioni di ascoltatori. Preferisco narrarlo e criticarlo, sottolineando contraddizioni e incoerenze.

La dialettica, probabilmente, ci salverà da questo circo.

 
 

 
 
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