Storia del Rock: cinque canzoni rare per riscoprire David Bowie

16 Marzo 2021

Bowie e le sue maschere. L’elenco lo conosciamo a memoria: Major Tom, Ziggy, Thin White Duke e così via. Si ripete talmente spesso questo mantra che Bowie passa per un attore e la sua musica per puro artificio, messinscena di identità diverse. Quella vera? Non pervenuta. In realtà ascoltare la musica di David Robert Jones e leggere i suoi testi non può non portare alla conclusione che Bowie sia sempre stato sincero. Ci ha mostrato cosa c’era nella sua testa, né più né meno. Alieni caduti dallo spazio, rockstar maledette, vampiri berlinesi: è probabile che nemmeno lui ad un certo punto sapesse esattamente chi (o cosa) fosse. D’altro canto, l’identità e la realtà potrebbero non essere quelle entità incrollabili a cui noi, comuni mortali, piace credere. E David Bowie, difficile dire quanto volontariamente, è diventato simbolo di tutto questo, con una serie di escursioni estetiche che hanno pochi eguali nel rock. Ecco alcuni brani meno celebri per riscoprire le sue incarnazioni.

Velvet Goldmine (outtake di The Rise And Fall Of Ziggy Stardust, 1972)

Qui dentro c’é tutto Ziggy: il rock’n’roll elettrico della strofa, il ritornello lascivo, il coro finale che getta un’ombra di inquietudine mortifera. Per non parlare delle molteplici allusioni del testo. La stessa parola Velvet, al di là della metafora sessuale, è un omaggio alla band di Lou Reed e John Cale, numi tutelari del nostro profeta alieno. Incredibile come un brano così quintessenziale sia rimasto fuori dall’album. Non ha mancato, però, di diventare titolo dell'ottimo biopic di Todd Haynes

Candidate (Alternate Version, Diamond Dogs, 1974)

Disco difficile Diamond Dogs, come annuncia lo stesso Bowie nella prima traccia: “Questo non è rock’n’roll, questo è genocidio!”. L’immaginario si fa fantascientifico, marcio e malato, e la musica assume angolature espressioniste che anticipano il periodo berlinese. Questa versione di Candidate risulta assai più godibile di quella finita sul disco. Contiene anche versi che sembrano anticipare quel misto di nichilismo e romanticismo che sarà Heroes: “Compreremo della droga e guarderemo una band / poi ci getteremo nel fiume tenendoci per mano.”

Some Are (outtake da Low, 1977)

Avete presente la celebre divisione dei dischi berlinesi in due lati? Le canzoni, e poi i pezzi strumentali. Mi ha sempre fatto imbestialire che non ci fosse un pezzo ambient cantato. Finché non ho scoperto questa perla. Sì, Bowie sembra avere la stessa perversione di Dylan: quella di escludere da certi dischi i pezzi migliori. Come spiegare che una meraviglia del genere sia un outtake? Forse ricordando che in questo periodo Bowie era più di là che di qua, intossicato da droghe e rituali occulti.

Underground (da Labyrinth, 1986)

Forse il Re dei Goblin non sarà l’incarnazione più memorabile del nostro. E il film, beh il film è parecchio kitsch. E la musica è quel tremendo pop-dance che sembra fatto coi suoni delle tastiere Casio. E riascoltando questo brano è difficile non immaginarsi quei pupazzi rossi che ballano senza testa. Ma sapete cosa? Tutto questo rimane, per il sottoscritto, la cosa più divertente fatta da Bowie negli anni ’80. E quella specie di coro gospel, lo ammetto, mi piace. Mi fa venire voglia di ballare! Wow!

Outside (da Outside, 1995)

Il detective Nathan Adler è l’incarnazione che permette a Bowie di mettere a segno il suo ultimo capolavoro prima di Blackstar. Stavolta ci troviamo in un immaginario che sembra unire il futuro disperato di Blade Runner e la truculenza della body art. La musica, frutto dell’ennesima collaborazione con Brian Eno, è un’elettronica contaminata con l’industrial e il free jazz. Ispirazione a livelli massimi, anche nei testi, mai così ermetici. David Lynch ne ha fatto la colonna sonora di Strade Perdute.

 
 
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