Storia del Rock: cinque canzoni rare per riscoprire i Queen

9 Marzo 2021

I Queen sono uno dei pochi gruppi che hanno il superpotere di piacere a tutti, eccetto i critici. I “veri amanti della musica” non gli perdonano il disimpegno intellettuale, le vagonate di kitsch e i cori da stadio. Peccato, perché non riescono a mettersi tranquilli e godersi le acrobazie musicali che i Queen fanno continuamente, sotto il nostro naso. E non solo nei pezzi prog o proto-metal degli esordi. Perfino nei pezzacci anni ‘80: Radio Gaga ha un intro strumentale di oltre un minuto. A Kind of Magic non ha nemmeno un ritornello. Non esattamente quello che ti aspetti dal pop usa-e-getta, no? Per non parlare dell’originale tentativo di unire rock’n’roll e opera, da Bohemian Rhapsody a The Millionaire Waltz ad It’s A Hard Life. Freddie, questo strano incrocio tra Little Richard e Greta Garbo, rimane, al di là di ogni critica, un frontman e una voce senza rivali, che ha messo tutto se stesso nella musica, toccando il cuore del pubblico.

White Queen (da Queen II 1974)

Che poi, kitsch... sentite che grazia! Questo pezzo, ispirato alla visione della Dea Bianca di Graves (immagino che gli intellettuali detrattori sappiano già tutto di questo libro), è una tessitura di chiaroscuri, che sfumano dal madrigale all’hard rock. E la voce? Dimenticate lo strillo da arena degli anni ‘80. Qui Mercury è davvero un essere androgino, capace di modulare dal timbro soave di una fata a quello lascivo e dannato di una puttana. Magico.

The March Of The Black Queen/Funny How Love Is (da Queen II, 1974)

Questa mini-opera di sei minuti è una prova generale per Bohemian Rhapsody: non ne ha la brillantezza solo perché il conflitto sessuale che lì si scioglie qui è ancora contorto. Ma questo non fa male alla musica. Si tratta della fantasmagoria più travolgente mai tentata dai Queen e il non-plus-ultra del talento vocale di Freddie e della sua eccentrica vena di giovane bohémienne. Tra cori, campane, assoli e danze di folletti si consuma la manifestazione della Regina Nera, pulsione oscura e liberatrice che permette al nostro di diventare, finalmente, ciò che è: “I’ll be a bad boy.”

Good Old Fashioned Lover Boy (da A Day At The Races, 1976)

I Queen scelgono la strada del disimpegno. Questo fa male alla musica? Assolutamente no! Dategli hard-rock, pop barocco, prog, cabaret, e faranno volteggiare tutto in aria con la massima maestria, come dei giocolieri, ottenendo tre minuti di puro, semplice, leggerissimo pop. Freddie gioca a flirtare con l’ascoltatore con una gaiezza che strapperebbe un sorriso anche al più rigoroso lettore di Sartre.

Bycicle Race (da Jazz, 1978)

Ci sono più idee musicali in questi tre minuti che in dischi interi: dal call-and-response al concertino di campanelli, dal middle-eight hard rock al ritornello super pop, passando per l’assolo a canone. Niente si ripete mai uguale, la canzone è uno zampillare continuo di idee. Se vi sembra pop usa-e-getta solo perché parla di biciclette (ma anche di Peter Pan, Frankenstein e del Presidente degli Stati Uniti) provate a dare un’occhiata alle acrobazie dello spartito.

I’m Going Slightly Mad (da Innuendo, 1991)

Quando si dice canto del cigno. Innuendo è fra i dischi migliori dei Queen, dopo un decennio di plastica. La coscienza della morte spinge Freddie verso altitudini di struggente angoscia nella title-track, uno dei loro capolavori. Ma I’m Going Slightly Mad non è da meno, presentando il nostro in una veste dandy irresistibilmente auto-ironica. La voce esibisce un’interpretazione da crooner stralunato, quasi à la Bowie. Un pezzo obliquo, con cui i Queen recuperano un po’ della loro eccentricità degli esordi, dimostrando di poter far spettacolo anche della decadenza e della morte.

 
 
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