Alessandra Sarchi

Elogio dei sentimenti reali e incoerenti

18 Febbraio 2021

Il centro su cui ruota l’ultima storia di Alessandra Sarchi, Il dono di Antonia (Einaudi), è la maternità. Una maternità che è difficile e conflittuale, conflittuale perchè essere madre può diventare frustrante e doloroso (per Antonia è così, nei confronti di sua figlia Anna), ma anche perchè sembra troppo spesso imposta, non scelta, l’unica cosa possibile per una donna. Forse per questa conflittualità ho sentito vicino il tema, nonostante nella vita reale lo viva come una cosa lontana, inadatta a me. 

Ma soprattutto perchè Antonia, la protagonista, sembra perennemente incastrarsi tra quello che pensa e in cui crede (una vita emancipata, emancipata anche e soprattutto emotivamente da una figlia che non la vuole più, che si ribella e si allontana sempre più da lei), e quello che prova (un amore troppo intenso per quella stessa figlia, e una grande paura di fronte alla scelta fatta anni e anni prima di donare un ovulo alla sua amica Myrtha). 

Anche i protagonisti di L’amore normale, altro romanzo dell’autrice emiliana, non riescono a far convivere ideali e utopie con la vita e i sentimenti quotidiani, che forse sono solo in realtà frutto di un concetto di normalità imposto e inculcato dalla società. Davide e Laura sono sposati da tanti anni, hanno due figlie e una relazione, rispettivamente, con Mia e Fabrizio. Una banale storia di tradimenti, finchè non decidono di partire tutti e tutte insieme per le vacanze al mare; genitori, figlie, fidanzato della figlia maggiore, e amanti. 

Ed è qui che il tradimento diventa rivoluzionario, perchè non è più tradimento, ma accettazione e tentativo di vivere l’amore in un modo nuovo, spontaneo, senza barriere e fuori dallo stereotipo della famiglia patriarcale ed eteronormata. Ma Davide e Laura sbattono continuamente la testa contro la realtà. Laura deve scontrarsi con il suo essere madre, che, ancora una volta, sembra una costrizione, un limite alla propria autodeterminazione. Vorrebbe che le sue figlie fossero contente che c’è qualcun’altro che ama lei e loro padre, ma si scontra con il disagio e la paura di essere abbandonate delle ragazze.

È proprio questo continuo cozzare tra il tentativo di riscrivere le regole e la paura di farlo che alla fine porta i protagonisti de L’amore normale e de Il dono di Antonia a reiterare modelli e comportamenti sicuri, senza avere il coraggio di lanciarsi verso quello in cui credono. E sono queste contraddizioni a rendere speciali queste storie. Tutti questi personaggi sono vivi e reali, e incarnano il nostro stesso cadere nell’incoerenza, e nel dolore che deriva da essa. 

Nelle pagine dei racconti e dei romanzi di Sarchi è anche il corpo, il corpo femminile, ad essere sempre in primo piano. È infatti attraverso il corpo che le sue protagoniste vivono le sofferenze legate alla propria identità, al modo in cui si vedono e alla forma che pensano di dover avere dinanzi alla società. Non solo attraverso la maternità, ma anche attraverso l’amore, le relazioni. Sull’aspetto e sulla bellezza Alessandra Sarchi, laureata in Storia dell’Arte, ci porta delle riflessioni interessanti. «La bellezza è un concetto ambiguo. Per le persone belle, specie per le giovani, tutto diventa più facile ma non sai mai dove finisce il tuo potere e dove comincia quello degli altri, perché sono gli altri che, guardandoti, definiscono il tuo perimetro di potere» ci dice in un’intervista. 

Il corpo e il rapporto con esso, i suoi limiti, sono il fulcro di La notte ha la mia voce, vincitore del Premio Mondello 2017 e finalista al Campiello, in cui la protagonista e narratrice è, nelle sue stesse parole, una donna «mezza morta», paralizzata dalla vita in giù in seguito a un incidente d’auto. La trama è, come quella di tutti i libri di Sarchi, semplice, lineare e narra il lento abituarsi della protagonista alla nuova condizione, e la sua amicizia con la misteriosa Donnagatto.

La scrittura diretta e sincera, senza fronzoli, di Alessandra Sarchi, e i temi quotidiani ma pieni di significato che tratta rendono le sue opere piacevoli e occasioni per riflettere. Binomio che, diciamocelo, non fa mai male.

 
 
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