Heaven is waiting

alla ricerca di oggetti che contengono emozioni sonore

15 Febbraio 2021

Nel letto mi rigiro a lungo senza riuscire a dormire. Rimugino e mi fisso, come accade solo di notte, su come fosse avere sedici anni, essere adolescente e più ci penso più mi sembra di leggere nei miei pensieri la biografia di qualcun altro. Mi ricordo bene alcuni fatti ma non come era averli vissuti. Soltanto i sogni a volte mi rammentano che era tutto vissuto vero. Allora appena mi risveglio dal sogno, per non farlo svanire, faccio scendere la puntina su un disco e provo a metterlo su carta. Solo in questo modo riaffiorano sensazioni che credevo perdute negli anfratti dell’animo.

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Una notte di fine primavera, nel crepuscolo che s’attardava, la cura per la solitudine di un’inquieta adolescenza si materializzava nell’astratto giro di basso di una canzone che sempre ricorderò come il mio attracco ad un’emissione notturna che mi farà diventare finalmente “sodale” con altre creature a me simili.

Il mio apparato uditivo si apriva ad un mondo misterioso e oscuro grazie ai segnali sonori lanciati via etere da visionari dj radiofonici. Si spalancava alle mie orecchie una foresta sonora che mi reclamava e mi esortava a inseguire la sua sensuale voce. Una selva piena di richiami vinilici da ricercare nel sottosuolo come preziosi tartufi. Farsi cane, annusare quei profumi forti, imparare a seguirli e a rompere i guinzagli del già sentito. Meglio perdersi, ancora ed ancora, che essere incanalati nei sentieri segnalati che portano a mete conosciute e prestabilite.
Mi piaceva abbandonare le rette vie per seguire le contorte e sconosciute mappe disegnate in quelle trasmissioni vie etere che diventarono, in seguito, infinite transumanze alla ricerca del supporto fonografico. Mestre, Treviso, Bassano, Milano, Firenze diventavano pascoli dove nutrire la fame di “suoni altri”.
Il mio sabato fuori dal villaggio era fatto di treni, rumori di rotaia che venivano attutiti dalla spugna delle cuffie che spuntavano dal walkman, da auricolari aderenti ad orecchie attente ai suoni dei nastri registrati durante quelle formanti emissioni radio. Eccomi pronto, ogni fine settimana, a raggiungere destinazioni sconosciute attraverso mete note e con nomi propri: Contempo, Supporti, Stg Pepper, Pick up, Blue China… Il viaggio d’andata per raggiungere il “recordshop” più vicino a casa durava l’ascolto di un lato di una cassetta C60, per quello più lontano arrivava fino a tre cassette C90 complete, mentre il ritorno si trasformava in un continuo togliere il cellophane e scrutare copertine fin nei più piccoli particolari.

Era in quei luoghi, vicini o lontani poco importa, che scoprivo che la musica poteva identificare più della provenienza geografica o della lingua parlata. Amanti passavano le ore a sfogliare scaffali pieni di copertine ed erano disposti a spendersi i risparmi, lì, dove la musica ricopriva i tavoli e le pareti, dove la puntina saliva e scendeva su un piatto sempre caldo. E se il piatto era ricco di sapori mi ci ficcavo per soddisfare la mia insaziabile bulimia.
I bulimici sonori si riconoscevano facilmente tra loro, viaggiavano con valigette in vinile leggero con soffice imbottitura ed angoli paraspigoli per proteggere e trasportare il bottino fino all’interno della propria stanza, per poi gustarlo non appena si era provvisti di un hi-fi. Un’alta fedeltà costruita a rate, pezzo per pezzo, piatto, piastra, sintonizzatore, amplificatore, casse, il tutto collegato da una serie aggrovigliata di cavi e connettori jack, cablati con pazienza e coi risparmi ricavati da paghette settimanali ben custodite e da stagioni di vendemmia pagate in nero. Ed in nero non era solo il mio precario salario ma di nero ero anche vestito in ognuna di queste spedizioni. Pur sapendo che l’abito non fa il monaco cercavo comunque di indossare pienamente i gli stati d’animo “dark” che il mio sentire m’imponeva.
In uno strano pomeriggio invernale, durante uno di questi “viaggi”, successe una cosa inconsueta: acquistai una cassetta nonostante possedessi già quell’album in vinile. Era una spesa inutile? Forse sì. Però conteneva delle “extra tracks” rispetto al disco e poi “Heaven is waiting” dei Dance Society era il mio album preferito.
Divenne da subito compagna inseparabile dei miei spostamenti.

Stanotte, dopo essermi rigirato nel letto per ore, ho sognato proprio quel giorno. Mi sono rivisto in treno mentre percorrevo centinaia di km alla ricerca di nuove uscite discografiche, macinavo quelle distanze senza alcuna fatica perché presagivo che all’arrivo avrei trovato nuovi stimoli per il mio apparato uditivo. E  ho capito quanto sono importanti le persone, i viaggi, le storie dei luoghi, gli oggetti che si possono annusare, assaggiare, toccare con le mani. Infine ho risentito quel piacere che pensavo perduto: quello di acquistare un oggetto che sapevo contenere emozioni sonore, pregustando il momento dell’ascolto. L'attesa, il desiderio, il paradiso che sta aspettando.

 
 

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