Intervista a Davide Pretelli

Come vedere la bellezza, attraverso gli occhi di Davide

2 Febbraio 2021

Ho avuto il piacere di conoscere Davide Pretelli giusto un anno fa. Piano. Conoscere è una parola grossa, al momento. Ci videochiamiamo, davanti a qualche birra, o qualche sigaretta.

Lui è di Urbino, io di Padova. Sembra un video-amore a distanza, nato grazie ad amici di amici di amici (sempre in mezzo al settore musicale), ma è l’interessamento al mondo della musica elettronica che ci accomuna, al medesimo modo e con la medesima intensità.

Con un’unica amara differenza: lui produce, lo fa da anni, e lo fa molto bene.


Questo grande sentimento nasce a cavallo tra il 2009 e il 2010, dapprima con il regalo di una piccola consolle da dj da parte dei genitori, poi con l'acquisto di un certo numero di Computer Magazine, "fatale" per la sua realizzazione artistica. 

Davide, classe '99, è un producer poliedrico. 

Dopo un battesimo del fuoco con la label sperimentale svizzera Hack Records, dove a 16 anni dimostra di poter già competere con pesi forti della scena future bass e glitch, segue un periodo di riassestamento, dove si esibisce live facendo spola tra la terra natale, Urbino, Ferrara e Rovigo.

Questo periodo blu, dove la domanda «Forse la musica non è la mia strada» ricorre spesso, e dove i risultati ci sono, ma privi di soddisfazione, ha per fortuna un apice, il 2020, e anche un nome: How To See Beauty.


Da dove nasce How To See Beauty?


«Il concetto di buttare fuori un EP nasce durante il primo lockdown. Stavo realizzando un remix non ufficiale per un contest di Ginevra, cantante della label Asian Fake. Durante la realizzazione del disco ho attraversato questo momento di transizione, penso un po' comune a tutti durante il frangente, culminata con un’unica consapevolezza: quella di accogliere spontaneamente, e senza pentimento, le mie creazioni.

How To See Beauty rappresenta la mia riconquista di esprimersi liberamente senza restare legato a dei canoni, una riscoperta delle semplici cose che - e spesso dimentichiamo - ti danno il gusto di fare arte


Su che genere orienti il disco?


«È la domanda peggiore da farmi! (ride)

Son cinque tracce, tutte differenti. L’unico filo conduttore che le possa legare risiede nel fatto che ognuna rappresenta una prima volta, ma per il resto…  Tengo artisti di riferimento come Thom Yorke, Trentmøller, Jamie XX, Four Tet, Flume, Keaton Henson, a cui spesso mi ispiro, ma non credo di sapere dare una vera e propria definizione all’EP.  

Incredibile no? E’ un po’ mellow qui, indie pop lì, ambiental da altre parti… Se trovi una parola giusta  che possa classificarlo, son tutto orecchie».


Qual è la traccia a cui ti senti più legato e che interpretazione hai dato a “How To See Beauty”?


«Due belle domande. Parto dall'ultima e mi collego alla prima, dicendo che non credo ci sia una corretta interpretazione. Left Headphone Not Working è rabbia allo stato puro, per esempio. Ho cercato di creare un ambiente diverso per ogni disco; questa è una serata di pioggia in città o è quella percezione claustrofobica di stare in un locale buio e stretto, quando bevi più per rabbia che per gusto e ti ritrovi ancora più incazzato di prima, ecco, queste sensazioni mi dà. 010519 è una sorta di salto fuori dall’EP, è realizzazione di qualcosa che sta succedendo, della rabbia che se ne va all’improvviso e lascia il posto al vuoto, senza emozioni e senza ragionamento. What is not supposed to happen always will purtroppo è dolore, e penso si senta. Il fatto è che dopo un po’ questo dolore prende una piega diversa, il lead che entra verso i tre quarti è la rappresentazione sonora della catarsi, ciò che porta ad uscire fuori senza nemmeno rendersi conto, che è un po’ come finisce il disco: quel giro che sale e scende ti ha preso e ti ha trascinato via e tu non hai avuto modo di renderti conto che sotto il pezzo stava giungendo a termine, fino al momento in cui finisce. Water’s Theme è la realizzazione dello stare bene anche in una situazione di apparente dolore, e conseguentemente la chiusura dell’arco narrativo dell’EP ma… You, l’aprifila, è colei a cui tengo di più... Per me You è il senso di caduta nel vuoto, di completezza che si ha quando si guarda qualcuno a cui si vuole veramente bene. E bada parlo di affetto, non di amore. Avevo provato a darle un primo arrangiamento 7 anni fa, nel 2014, e l’ho finalmente portata alla luce. Ha anche il primato di aver fatto piangere mia madre, quindi ne vado abbastanza fiero».


Esaustivo, davvero esaustivo Davide. Prima di lasciarci, hai qualcosa da dire al tuo pubblico? 


«Beh, sì! Sto lavorando proprio in questi giorni all’uscita del nuovo singolo, oltre alla produzione di alcuni artisti marchigiani, molto promettenti. 

Sono curioso dell’impatto che avrà; come per l’EP continua il viaggio introspettivo, anche se penso si discosti molto da ciò che è How To See Beauty

Quindi il mio consiglio è di rimanere sintonizzati, o di ascoltare l’EP in attesa dell’uscita!».


 
 
loading... loading...