Roads – il suono della strada

i percorsi difformi del sentire musicale

16 Dicembre 2020

*foto di Andrea Morucchio


L’altra sera mentre ascoltavo l’interessante talk dove Michele Piumini e Valerio Mattioli dialogavano con Simon Reynolds su «Futuromania. Sogni elettronici da Moroder ai Migos», l’ultimo libro del critico inglese appena uscito per Minimun Fax, mi sono tornate alla mente alcune "difformità di vedute" che riemergono sempre quando leggo Reynolds. Ovvero: se da un lato sono sempre molto affascinato dalla sua scrittura perché per parlare di scene musicali guarda soprattutto alla “cultura di strada”, dall’altro, probabilmente proprio per questo motivo, lo sento distante dal mio sentire. Perché? Provo a spiegarlo:

Il suono della strada. Così veniva definito ogni nuovo sound che proveniva dall’underground, almeno fino all’avvento della cultura 2.0 con le sue autostrade elettroniche. Le strade delle metropoli erano il luogo dove le contraddizioni si mostravano e sono sempre state foriere di grande creatività. Facile quindi restarne affascinati, sognare di percorrerle, ascoltarne le musiche.
Ricordo quando sentii per la prima volta l’hip hop, era la musica di strada delle metropoli americane, era nuovo ed eccitante, ma lo sentivo distante. Perché quella non era la mia strada.
Sono “campagnolo”, come dicono i veneziani, e le strade che frequento fin da piccolo si chiamano “stradoni”, non sono asfaltati e corrono in mezzo ai campi costeggiando canali e fossi. Le esperienze e gli incontri che in città si fanno in strada, sull’asfalto, qui si fanno calpestando la terra, l’erba o immergendo i piedi nell’acqua.
C’era un tratto di “stradone” lungo la Marezzana, un canale del bacino della Piave, che frequentavo abitualmente ed è lì, vicino alla chiavica, che incontrai le mie elfidi.
Le elfidi, come le anguane, sono fate che fanno parte dell’immaginario di chi è cresciuto lungo i corsi d’acqua e vivono nelle fonti, nei canali e nei fiumi. Mutano la loro abituale benevolenza in ostilità, quando vengono colte da occhi indiscreti. Cantano dolcissime nenie, ma se sorprese spariscono all’ improvviso sciogliendosi nell’acqua. È per questo che le ascolto, ci parlo anche se non le ho mai viste.
A loro confido le paure e le speranze più segrete ascoltando le loro risposte cantate.
Forse per questo motivo al linguaggio hip hop preferisco la dolce malinconia del trip hop che rallenta le pulsazioni per ottenere un effetto più rilassato e onirico. Mi sono avvicinato a questo genere attraverso i Portishead trovando immediatamente una sintonia dovuta probabilmente al fatto che il canto dolente e spettrale di Beth Gibbons, da subito, mi ha ricordato le nenie delle mie elfidi.
Perché sono da sempre i loro canti il mio “suono della strada“.

Oh, can’t anybody see,
We’ve got a war to fight,
Never found our way,
Regardless of what they say.
How can it feel, this wrong,
From this moment,
How can it feel, this wrong.

 
 

Diserzioni logo

 
 
loading... loading...