"Bombo" di Mirco Salvadori

racconto contenuto nel booklet del disco "Alone 4" di Gianni Maroccolo

18 Novembre 2020

La mano destra come sempre gli doleva, doveva caricare il lavoro della sinistra continuamente chiusa a pugno mentre con gli occhi vagava sullo schermo del computer, la vista immersa dentro una massa amorfa di materia densa che penetrava oltre la barriera dello sguardo donando un senso di stasi totale, la sola che sigillava la stanza dalle voci che insistenti volevano trascinarlo oltre il suo tormento, ancora più a fondo, seppellendolo nel temibile solco dell'oscurità. Stava raggiungendo il suo ricordo, l'unico rimasto. I brevi fremiti nel pugno e la fase di stallo assoluto lo rassicuravano conducendolo lungo una spiaggia bagnata dal sorriso dell'attesa, appagata con l'abbraccio. Riusciva a vedersi nel riflesso dello schermo; una figura sorridente di felicità, immersa nella penombra di una camera saccheggiata dall'abbandono.

Stava correndo a perdifiato lungo il bagnasciuga della reminiscenza.

I piedi nudi iniziarono a percepire la presenza della sabbia ma non era soffice e calda, era ruvida, gelida e ricoperta di piccoli sassi taglienti. A fatica distolse lo sguardo dal monitor alzandosi dalla sedia e affondando fino alla caviglia in una poltiglia umida composta da polvere e detriti che ricoprivano tutto il pavimento. Camminava come in trance mentre l'orrore iniziava a sopraffarlo. Centinaia di piccole immonde creature strisciavano ovunque, faticava a schivarle quando all'improvviso lo vide. All'inizio non capì quale creatura fosse, aveva la grandezza di un istrice e si muoveva veloce, di lato, sorretto da sei lunghe zampe. L'urlo improvviso gli esplose in gola ma la bocca spalancata non emise nessun suono quando il grande e unico occhio, sorretto dalle lunghe e pelose zampe lo fissò, prima di rintanarsi sotto una collinetta di scorie formatasi giusto sotto la libreria. Il fremito nel pugno chiuso lo scosse dall'immobilità, le gambe tremanti risposero al comando della fuga. Spalancò la porta correndo a perdifiato verso la cucina. Vide sua madre intenta a lavare i piatti. Tentò di attirare la sua attenzione ma il groppo in gola respingeva il grido nelle profondità da cui giungeva. Con fatica sovrumana riuscì a raggiungerla cingendola stretta in vita ma lei dolcemente lo allontanò. Sommersa da stoviglie e pentole grondanti detersivo lo guardò come si guarda per l'ultima volta chi si abbandona, lo sai che non ci sono più tesoro, lo sai. Si svegliò di soprassalto con il suono acuto e prolungato dell'ululato che liberava i polmoni dal terrore e l'angoscia accumulati.

Gli occhi improvvisamente spalancati sulla realtà. L'ennesimo incubo, un fremito nel pugno, un altro giorno da affrontare.

Nel quartiere era conosciuto come Bombo per la peluria che ricopriva il suo arco sopraccigliare. Tutti lo tenevano a distanza, quasi fosse un maledetto virus. Il suo essere trasandato, indecente e privo di limiti, trasformava i vicini in cani ringhianti, pronti a azzannarlo non appena si fosse permesso di offenderli cercando di allungare verso di loro quel pugno che teneva sempre stretto. Bombo era il diverso, lo strano, il pericoloso, colui che sabotava un equilibrio raggiunto dopo estenuanti lezioni e corsi di apprendimento: stravaccati davanti gli schermi televisivi, pigiando sulle slot machine delle tabaccherie, urlando nelle feroci discussioni da bar o nei mille allucinati comizi dietro l'angolo. 

Siediti Alfio, ora preparo il tuo caffelatte. Sergio, il proprietario dello storico bar Speranza era l'unico che non lo temeva e cercava di aiutarlo per quel poco che poteva. Aveva conosciuto bene suo nonno e suo padre, sapeva cosa era successo tra le mura di quella casa e conosceva bene il disagio di chi ancora l'abitava. Violenza, sopraffazione, botte continue avevano ridotto la madre di Alfio in fin di vita. Una coltellata al padre, e le sofferenze di quella donna cessarono. Le aveva salvato la vita a costo della sua integrità psichica che da quel giorno iniziò a fare i conti con la reclusione, gli arresti domiciliari, le visite psichiatriche coattive e i primi TSO, i maledetti trattamenti sanitari obbligatori invocati dai vicini, incapaci di comprendere e accogliere la disperazione altrui.
Qualche anno dopo sua madre era morta e ora lui viveva nell'abbandono, preda dei suoi incubi e delle sue visioni.

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Grazie Sergio. Sai? Oggi, si oggi ho deciso che me ne vado al mare, disse mentre avvicinava all'orecchio il pugno chiuso. Il calore del caffelatte zuccherato lo stava calmando, così come l'offerta quotidiana dell'anziana persona appoggiata dietro l'alto banco di quel bar da sempre accogliente. Sai, devo fare una cosa oggi, sì sì, oggi è la giornata giusta.

Le campane della chiesa suonavano le dodici, mentre si avviava in pigiama, a piedi nudi verso la vicina spiaggia. Il sole alto nel cielo rendeva nuovamente limpido il ricordo di quell'abbraccio tanto atteso, riusciva ancora a immergersi nel suo sguardo, nell'intenso colore dei suoi occhi riassaporando il dolce languore di quel lungo bacio.
Giunse sull'amato muretto che via via sprofondava nella sabbia, vicino alla battigia. Si sedette allungando il braccio lungo la gamba, mentre pian piano il pugno iniziava a rilassarsi.

Mi ero ripromesso di farti un regalo, amore mio: lui è giunto la sera stessa nella quale ci siamo incontrati. Aveva la piccola ala ridotta male ma sono riuscito a curarlo tenendolo riparato dentro il mio pugno. Avvicinati, guardalo, è giunto il momento.

Con lentezza calibrata stese il braccio aprendo completamente la mano. Un piccolo esemplare di ape bombo apparve iniziando a salire ballonzolando lungo il braccio teso, si arrampicò sul collo attraversando poi con delicatezza la guancia. Proseguì incerto verso la bocca fermandosi qualche secondo sulle labbra mentre le piccole ali iniziarono a fremere sempre più velocemente.

Alfio abbassò il braccio rilassando completamente i tendini della mano, sorridendo chiuse gli occhi e Bombo spiccò il volo.

 
 

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