Full Spectrum Resistence di Aric McBay - Un manuale da campo per le insurrezioni

Recensione tradotta dal Magazine ROAR, di Kristian Williams

19 Ottobre 2020

Articolo tradotto, dall’articolo di Roar Mag

Traduzione a cura di Gabriele De Bellis (grazie!) correzione e formattazione a cura di Luisa Longobucco

Guardando agli eventi di maggio e giugno, si potrebbe pensare che nessuno abbia bisogno di un manuale da campo per l’insurrezione e che le ribellioni emergano quando le condizioni sono mature; la vittoria inevitabilmente segue, come la primavera segue l’inverno. Oppure, si potrebbe guardare agli stessi eventi - la rivolta contro la violenza della polizia che è iniziata a Minneapolis e velocemente si è diffusa in tutti gli Stati Uniti e tutto ciò che ha comportato – e vedere una serie di opportunità sprecate, abbagli strategici, errori tattici e sbagli politici, sfociata solamente in gesti simbolici, concessioni temporanee e riforme inefficaci, tutte molto lontane dall’obbiettivo ultimo di abolizione della polizia. In questo caso si potrebbe concludere che un manuale da campo è esattamente quello che ci serve.

Fortunatamente, esiste una cosa del genere: Full Spectrum Resistence, un manuale in due volumi per l’azione politica di Aric McBay. Questo libro rivela i fondamenti sulla trasformazione sociale, offrendo consigli su organizzazione, strategia, tattiche, sicurezza, comunicazione (interna ed esterna) e così via – il tutto illustrato con casi di studio storici.

McBay non ci dice però cosa dovremmo fare. Piuttosto ci aiuta a imparare a pensare a cosa dovremmo fare e – soprattutto - a rispondere a questa domanda da soli, alla luce del nostro obbiettivo e delle circostanze. Questo è senza dubbio l’approccio migliore, specialmente perché una cosa che limita i movimenti è il fallimento nel pensare attentamente e creativamente a ciò che stiamo facendo, riesaminare le nostre teorie e cambiare il percorso quando necessario.

Spesso cerchiamo di portare avanti lo stesso tipo di azioni come abbiamo sempre fatto, come se fossero rituali o rievocazioni. I pacifisti marciano contro gli interventi militari, i lavoratori fanno i picchetti sui luoghi di lavoro, gli antifascisti de-piattaformano la destra.

Raramente succede di chiedersi se quelle tattiche sono adatte agli obbiettivi dei movimenti in questione, o di considerare se gli obbiettivi sono quelli giusti. Le varie parti della sinistra adottano semplicemente il loro stile d’azione, le loro modalità di organizzazione, i dogmi e le retoriche – per poi attaccarcisi attraverso una qualche combinazione di fede e rigide abitudini.

 Guerriglieri e ragionieri

McBay vuole spingerci a cambiare questo modus operandi. “Stiamo perdendo,” scrive nella primissima riga della prima pagina “è tempo di provare qualcosa di diverso”. L’autore ci spinge ad allenare non semplicemente nuove tattiche o argomenti, ma il pensiero strategico, e a imparare a costruire organizzazioni che possano implementare le strategie scelte.

Il manuale risultante – enciclopedico nella scala e denso di informazioni – non è il lavoro di un singolo genio. Anche questo è un punto di forza. McBay distilla le sue lezioni dalla conoscenza data dall’organizzazione di generazioni di movimenti sociali. Attinge da movimenti ambientalisti, dei lavoratori, dal movimento contro la guerra, da quello per i diritti civili, per i diritti LGBTQIA e femministi, da lotte contro colonialismo e altre forme di occupazione straniera, e da organizzazioni differenti, come i Maquis francesi, ACT UP e Stop Huntingdon Animal Cruelty.

La discussione su “gerarchia dinamica o situazionale” per esempio, occupa solo qualche pagina, ma guarda a gruppi diversi come “The Ontario Coalition Against Poverty”, i “Deacons for Defense and Justice”, i pirati storici, i Durruti Column, i YPG e le YPJ curdi.

Dalla pletora di specifici casi di studio, McBay riesce a estrarre lezioni con un’applicabilità generale. Peraltro, il respiro di questo approccio e la volontà di imparare anche da sbagli e sconfitte, così come dai successi, mostrano come ci siano ancora molte sfide al sapere comune e convenzionale di qualsiasi corrente con cui ci si possa identificare, dai moderati progressisti ai pacifisti Gandhiani agli anarchici insurrezionalisti fino a i Neri nazionalisti (Black nationalists).

In generale i consigli di McBay sono sobri, liberi da posture o dogmi, e in breve, seri. Spesso sono un necessario promemoria di quello che un tempo era elementare senso comune.

Scrive, per esempio, “molti discordanze tattiche potrebbero essere appianate se i radicali in un azione o in una campagna si unissero in un blocco, si organizzassero e arrivassero presto, spiegassero la loro azione semplicemente e in anticipo, e tentassero di calmare chiunque sia spaventato o turbato da tattiche più militanti”. Queste soluzioni così semplici sollevano la domanda del perché queste modalità non vengano utilizzate più spesso. Perché abbiamo bisogno di farci ricordare di comportarci da responsabili, da persone mature?

Perché questo approccio è diventato così eccezionale che è quasi shoccante vederlo raccomandato su carta?

Allo stesso modo, mentre McBay è chiaro sulla necessità della militanza, è egualmente chiaro sul fatto che la militanza non è sufficiente. Questo è vero, in primo luogo, perché le tattiche non sono sufficienti. “La diversità di tattiche non è un sostituto di una buona strategia”, scrive McBay, aggiungendo in seguito “le tattiche possono essere valutate solo nel contesto di una buona strategia”. Senza strategia, le tattiche sono poco più di gesti vuoti. E pure in una strategia conflittuale, il lavoro di un movimento deve consistere in molto di più di scontri di strada e qualche incendio.

La stessa nozione di “diversità di tattiche” implica che ci sia pure spazio nei movimenti per azioni più calme, più caute, meno bellicose.

In questo senso, McBay vuole realmente che la resistenza sia Full-Spectrum, avvalendosi di un’ampia gamma di approcci, usando tutte le capacità e la creatività che molte persone diverse possono portare alla lotta. Rifiuta, quindi, di rimuovere artificialmente le attività clandestine o la violenza, e rifiuta egualmente di feticizzare quelle che sono sempre delle piccole parti in un processo sociale più grande. “La militanza è essenziale per una resistenza di successo,” scrive. “Ma per fare progressi, le vittorie vinte dai militanti devono essere incorporate dentro organizzazioni resistenti e nella vita quotidiana”. I movimenti potrebbero aver bisogno di guerriglieri e sabotatori, ma avranno anche bisogno di avvocati, medici, artisti, contabili e chi possa prendersi cura dei bambini.

 Non abbiamo altra scelta che resistere

Non che io sia sempre d’accordo con i consigli di McBay. Per esempio, credo che lui stesso offra molte ragioni per ignorare la sua regola “non dire ad altre persone di rallentare.” Il suo stimolo è senza dubbio buono: evitare “paternalismo” “diluire. . . le tattiche“ e “fragili scuse per l'’inazione”. Tuttavia, buona parte del suo libro è volto a spiegare l’importanza di strategia, pianificazione, preparazione, organizzazione e molte altri aspetti dell’azione. Vuole dirci, insomma, di guardare prima di saltare, di pensare prima di agire, e in generale di rallentare per fare in modo che i nostri sforzi non siano sprecati e che i rischi che prendiamo non siano inutili o sciocchi. Mi sembra abbastanza ovvio che non tutto il “rallentare” è uguale, e che ci sono circostanze dove è il miglior consiglio possibile.

Però il libro è tale da rendere questi accordi e disaccordi quasi secondari. I consigli di McBay sono sempre ben argomentati, basati sull’esperienza – sua o storica – e presentati chiaramente. Si può essere in disaccordo, ma anche in quel caso raggiunge il suo scopo: ti forza a fermarti e considerare perché sei in disaccordo, esaminare il tuo stesso ragionamento, domandare, riconsiderare.

McBay quindi modella esattamente il tipo di analisi che lui sta tentando di instillare, e costringe il lettore allo stesso tipo di rigore.

C’è anche qualche -raro- punto debole. La discussione sulla cooptazione è parziale, in quanto manca il punto chiave: è infatti un processo attraverso cui a un gruppo di opposizione, o ai suoi leaders, è garantito accesso al potere, ma solo se si attengono a richieste che calzino i parametri prestabiliti.

La discussione di McBay fa quasi equivalere questo fenomeno con quello della strategia delle concessioni, dove le autorità concedono una selezione di richieste in modo da placare e de-mobilitare gli elementi nel movimento.

Questi due trucchi del potere sono in relazione, ma sono chiaramente differenti: uno funziona principalmente limitando gli obbiettivi del movimento, l’altro, dividendo i suoi sostenitori.

Forse la più grande svista del libro è che non c’è una reale guida su come usarlo. Il materiale richiede uno studio approfondito, e se vuole avere l’effetto desiderato sui nostri movimenti, le sue lezioni hanno bisogno di essere assorbite non solamente da individui ma da gruppi e perfino da istituzioni formali.

Il libro merita una lettura ed una discussione attenta. Collettivi, comitati d’organizzazione e perfino intere organizzazioni beneficerebbero leggendolo e parlandone insieme. Tuttavia, la sola lunghezza dell’opera- 2 volumi, 12 capitoli, 650 pagine – rende poco pratico pensare che ogni membro lo possa leggere tutto in una volta, specialmente se impegnato nell’organizzazione.

Da una parte, ogni capitolo serve come un trattamento a parte del suo argomento; dall’altra, attraverso tutto il libro, McBay sostiene e sviluppa un’analisi di come funzionano i movimenti e come possono essere fatti per avere successo. I primi capitoli potrebbero non essere necessari per capire quelli dopo ma sicuramente sono utili.

Il mio consiglio, per quelli che vogliono usare il libro per organizzare, è usare uno dei due seguenti approcci.

Il primo sarebbe quello di far leggere l’intero libro a un piccolo comitato e sviluppare un riassunto legato alle necessità specifiche dell’organizzazione o campagna, selezionando brevi letture quando necessario. Quel riassunto potrebbe essere la guida di studio per tutto il resto dell’organizzazione.

Il secondo, un approccio più partecipato, si baserebbe su uno o due istruttori che leggano l’intera opera per aiutare il contesto generale, e poi far leggere ad ogni membro dell’organizzazione un singolo capitolo al fine di presentare il materiale al resto del gruppo. Ciò distribuirebbe il lavoro, mantenendo la possibilità per tutti di raggiungere qualche famigliarità con l’interezza dell’opera.

McBay è attento a non sottovalutare mai le sfide, perfino i pericoli, affrontati dai gruppi di opposizione. E presenta anche un’argomentazione realistica del motivo per cui non abbiamo altra scelta che resistere. La resistenza non garantisce la nostra sopravvivenza- come individui, come comunità, o come specie- ma permettere al potere di seguire le sue logiche senza opposizione, darebbe spazio allo sfruttamento e all’oppressione, talvolta fino ad arrivare al genocidio, e probabilmente sino all’estinzione umana.

Per evitare ciò abbiamo bisogno di un’azione radicale e tattiche militanti. Ma anche di strategia, pianificazione e organizzazione.

Full Spectrum resistence potrebbe aiutarci ad iniziare.

Informazioni aggiuntive:

Il libro attualmente è disponibile solo in inglese in maniera cartacea.

(https://fullspectrumresistance.org/)

L’intero libro è stato tradotto in francese (https://www.floraisons.blog)

Ed anche in francese è disponibile l’intero audio libro su youtube (https://www.youtube.com/watch?v=HyDIAI-yvLk&list=PLUo9KUjcZXRDg8153nGEa97xeisJ-xFFf )

Qui invece si può trovare un pdf con delle domande guida (in inglese) che l’autore ha fatto uscire (dopo questa recensione del libro) per guidare allo studio collettivo dell’opera.

(https://fullspectrumresistance.org/download/1143/ )

p.s. Manca una traduzione in italiano. Perché qualche gruppo di traduttori non ci prova?

 
 

Articolo tradotto, dall’articolo di Roar Mag

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