Sympathy For The Record Industry: intervista a Pipapop Records

Inchiesta fra le etichette indipendenti italiane

5 Novembre 2020

Nell’era delle autoproduzioni, dello streaming gratis e dei fenomeni social, hanno senso le etichette indipendenti? Cosa possono offrire ad un’artista? Come si stanno reinventando? Queste domande me le pongo ogni giorno, gestendo l’etichetta Beautiful Losers. Ne ho parlato con Pipapop Records, un’etichetta-collettivo del trevigiano che, contro tutte le regole del mercato, crede ancora nei CD, preferisce conoscere un musicista sul palco piuttosto che dietro un pc, e spera in un Rinascimento 2.0.

1 - Ciao Jacopo e Manuel. Perché è nata Pipapop, qual è la sua missione?

Ciao Andrea! Tutto è nato dagli spiriti affini dei membri fondatori del collettivo. Pur venendo da contesti diversi avevamo una visione simile: la musica non è un prodotto, è libertà espressiva. Da qui l’idea di creare un percorso credibile per l’etichetta, una storia di cui andare fieri, magari in futuro riconosciuta.

2 - Siamo nell’era delle autoproduzioni. Un artista può registrarsi in home-studio, mettere in distribuzione la propria musica, usare i social per raggiungere una platea planetaria. Cosa può dare un’etichetta ad un artista indipendente?

In primo luogo l’esperienza maturata in anni sul campo. Poi uno sguardo esterno sul tuo lavoro, critico ma leale. Pipapop è una grande famiglia, ogni artista si confronta con gli altri. Questo è costruttivo, può aiutarti a capire come ottimizzare i tuoi punti di forza, dove migliorare. Pipapop è una squadra che ha voglia di spendere tempo sul tuo disco, magari anche più di quello che avresti speso tu stesso.

3 - Di che vive davvero un’etichetta, ora che la musica è gratis?

Di relazioni tra musicisti e specialisti del settore, del fare rete. Una scena musicale va coltivata, per portare al pubblico musica fresca e diversa da quella che gira nei soliti canali. Si parla tanto di di educazione culturale… diamo davvero ai fruitori di musica la possibilità di ampliare i loro orizzonti, al di là degli aperitivi e dei centri commerciali!

4 - Che tipo di contratto può ragionevolmente aspettarsi un artista da un’etichetta come la vostra?

Nessun contratto, tranne il fatto di credere fermamente nel lavoro che si andrà a pubblicare. Noi ci crediamo quanto l’autore stesso dell’album, talvolta di più. Conosciamo l’enorme sforzo che sta dietro il comporre canzoni, ne abbiamo rispetto. Solo da un atteggiamento come questo saprai che un’etichetta valorizzerà il tuo lavoro, lo farà conoscere a più persone possibile.

5 - Sareste più propensi a lavorare con un artista geniale ed allergico ai social, o con un artista sufficientemente bravo, che sappia presentarsi bene, che abbia costruito una solida fan-base?

Assolutamente la prima. Ci piacerebbe vedere sempre i musicisti sul palco, mai davanti a un pc. La cosa più importante è il contatto umano: tra noi e l’artista, tra l’artista e il pubblico. L’industria musicale crea mostri a tavolino. Noi crediamo in un approccio originale, intimo, contro le logiche del mercato. E’ il messaggio artistico l’unica cosa che conta.

6 - Parliamo di Spotify. Credete ancora nei dischi o il futuro è dei singoli?

Per noi il disco è importante, a partire dal formato fisico. Abbiamo sempre cercato di curare il packaging, con edizioni limitate, personalizzate e formati bizzarri, spesso artigianali. Purtroppo è raro ormai che l’ascoltatore abbia la pazienza di seguire un’intera tracklist. Un singolo può funzionare da richiamo, abbinato ad un video. Ma ci piace lavorare comunque sul filo logico di un album. Non ci piace pubblicare singoli en passant, solo per aumentare gli stream. Le views, i likes sono un fenomeno di massa superficiale, basato sui fenomeni da talent show, che spesso sono meteore.

7 - Meglio essere trasversali o puntare ad una nicchia precisa?

Avere un’identità precisa è uno degli aspetti fondamentali di ogni progetto musicale che si rispetti. Vuol dire avere un immaginario, una visione d’insieme, che catalizzino l’ascoltatore, trasportandolo nel tuo mondo. Pur seguendo una strada ben precisa, comunque, pubblichiamo artisti diversi fra loro. Sono proprio le idee diverse e le loro peculiarità ad appassionarci. Crediamo che questo nostro criterio di scelta sia il modo migliore per attirare progetti a noi affini.

8 - Che cambiamenti vedete in arrivo nel business musicale? Meglio andare controcorrente o cavalcare l’onda?

L’ultimo business che avevamo erano i concerti. Si dovrà riaffrontare la questione a breve, in maniera totale. Crediamo sarebbe utile ricalcolare i confini d’azione della musica, nobilitandola, dandole il rispetto che merita. Solo così si andranno a creare nuove forme di fruizione, opportunità di contaminazioni artistiche, spazi per metterle in scena. Cose che fanno bene alla società. Un Rinascimento 2.0? Siamo positivi.

9 - Credi nel fare rete con altre etichette o un po' di rivalità fa bene?

Fare rete è fondamentale. Creare sinergie che amplino il raggio d’azione ed il pubblico. Con la tua etichetta Beautiful Losers è già avvenuto in modo molto naturale: ci siamo piaciuti a prima vista e abbiamo iniziano a collaborare con le nostre compilation di Capodanno e, prossimamente, con alcune co-produzioni. Ci sono anche altre realtà con cui abbiamo collaborato o ci piacerebbe collaborare, come Shyrec, Voci Sparse, Dischi Soviet, SISMA MVMT. Un festival indipendente, magari. Bisogna farli suonare i musicisti!

https://www.beautifullosers.net | https://pipapop.com

 
 
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