Una panda rock: 600 Young

Intervista ai 600 young, giovane band emergente padovana il cui primo album è uscito l’aprile scorso.

27 Agosto 2020

"La mia banda suona il rock" suonava Ivano Fossati nel '79, e i 600 Young Band suonano il rock nel 2020. Sì, proprio il rock; indie-rock, alternative-rock, psychedelic, come preferite, ma è rock. Band fondata anni orsono (2014), questa formazione è in piedi dal 2017.

La band iniziò come band di quartiere, c'erano altri ragazzi che suonavano con noi. All'inizio facevamo cover, non avevamo un vero orientamento musicale; è dal 2018 che abbiamo cominciato a fare le cose seriamente ed a dedicarci a ciò che facciamo. Il mettersi insieme viene dopo la voglia di suonare.

Marco alla voce, Giorgio al basso, Luca alla batteria, Edoardo alla tastiera e Francesco alla chitarra compongono la 600 Young, forse la band più eterogenea di Padova: basti pensare che Marco e Francesco sono classe 2000, Edoardo '98, Giorgio 2006 e Luca 2002.

Il nome della band è nato perchè un ragazzo che suonava con noi all'inizio per venire alle prove usava la 600 young di sua nonna. Noi avevamo urgente bisogno di un nome palpabile e unimmo la necessità alla tradizione, per così dire.

Il 24/4 è uscito il loro album d'esordio con un nome molto indicativo: In Vetrina.

Non avevamo un'idea fissa di album, é nato sperimentando. Si può dire che l'album sia frutto solo della nostra sperimentazione, infatti si può notare come i 9 brani non seguano un filo logico, anzi. Ogni brano è diverso da quello prima e questo è perchè ognuno di noi propone sempre qualcosa di diverso che poi rielaboriamo ed adattiamo insieme. Siamo tutti delle anime diverse da cui scaturiscono idee diverse, ergo l'album.

E come vi definireste?

[grosse grasse risate] Ce l'hanno chiesto in tanti, e mai abbiamo saputo davvero rispondere. Ogni volta ci guardiamo e ce lo chiediamo anche noi. A Francesco viene da dire indie-rock, ma in realtà è ancora in definizione; non a caso il nostro album è più ricerca che altro. Ci piace guardare alla musica di adesso cercando di ripescare del rock in quella, in modo da non fossilizzarci su un genere o su uno stile. C'è però la consapevolezza che bisogna fare qualcosa di proprio, che non ci si può aggrappare a quello che fanno gli altri. Ci piace pensare che la nostra musica sia moderna ma con un che di storico.

Nel ritornello di Marscial questa vostra attitudine si rispecchia, o no?

Il ritornello è una perculata, in realtà. Prendiamo in giro un lato di noi che vuole essere il metallaro anni '70 senza poi riuscirci. Come se un vecchio venditore dicesse a chi suona il blues di non spendere soldi per il Marshall (amplificatore, ndr) e di rimanere con la sua acustica. Istigare il plettro al suicidio significa fare un grande assolo; in pratica prendiamo in giro chi come noi si vuole immedesimare nei suoi idoli rock senza esserne capace. Tra l'altro è la canzone per cui ci siamo impegnati meno ed è diventata la preferita di tutti. Evidentemente è quella più facile musicalmente parlando; in parole povere è la nostra hit radio. Dobbiamo fare il possibile perchè lo diventi [ridono].

E invece il titolo dell'album?

Hai presente la cartoleria in via Armistizio? (Mandria, patria della band, ndr) Uno di noi ci stava passando mentre un nonno sbagliando qualcosa ha sfondato la vetrina con la macchina; da qui, dalla foto in realtà, ci è venuta l'idea. Siamo noi con il nostro album d'esordio che ci esponiamo, che ci mettiamo in vetrina.

Nei testi avete uno stile molto particolare. è sperimentazione anche quella?

A noi piace sempre prenderci per il culo. Non so se hai presente i primi Pinguini Tattici Nucleari, quelli dell'inizio. Li scoprimmo quando ancora erano confinati nella provincia di Bergamo e nessuno li conosceva. Il loro stile ci piace, ci è sempre piaciuto; ci piace quel modo di non prendersi seriamente che hanno loro: per esempio, ne Il Pastore dell'Etere sotto quel reef solenne ci sono frasi del tipo "Io non mi fido dei vaccini!", "Ok boomer!". […] Ma alla fine sotto sotto quello che cerchiamo noi è il nostro Bicchiere di Punk: la canzone è nata quando Luca ha ironicamente chiesto a Francesco se per rinfrescarsi voleva un bicchiere di punch, e lui rispose che ne voleva uno di punk. Ci siamo guardati e ci siamo detti: ”ok, nuova canzone”. Noi il nostro bicchiere di punk lo stiamo proprio cercando: è difficile trovare un posto dove suonare live per noi. Di locali vogliosi di ospitarci ce ne sono pochi. La canzone è un po' triste, comincia dicendo che il rock sta morendo, e dateci torto! Molti locali ci hanno detto di no perchè suoniamo rock. Siamo consapevoli delle difficoltà che ci sono e infatti cerchiamo di farlo rinascere in qualche modo. Sebbene la canzone sia triste è quella più gaso dell'album. Noi stiamo cercando il nostro bicchiere di punk, quello da shottare.

L'avete mai trovato?

L'anno scorso abbiamo fatto il concerto più epico della storia. Eravamo a Belgrado a suonare invitati dai genitori di Marco Giorgio e Luca (3 fratelli, ndr). Abbiamo fatto 10 canzoni e il pubblico era gasatissimo sotto il palco. Con Bicchiere di Punk c'era chi simil-pogava. Una cosa mai vista. E lì possiamo dire di averlo trovato: nella ex-Jugoslavia c'è una cultura rock molto radicata, con live suonati in scantinati di bar, posti brutti e stretti, localetti angusti. Lì che la gente si gasava in questo modo abbiamo trovato il nostro bicchiere di punk. Era un mondo al contrario, abbiamo persino suonato Albachiara con il pubblico che cantava con noi.

E le 4 frecce all'inizio dell'album?

Idea di Luca [ridono e lo indicano]. Rappresentano i primi tempi in cui non suonavamo, non provavamo, non facevamo praticamente nulla . Le 4 frecce indicano lo stagno, poi ci sono musichette di videogiochi (ovviamente modificate causa copyright) che indicano il fancazzismo, e alla fine una specie di lampo. Siamo noi che ci accendiamo.

In N5 c'è lo spezzone di Ritorno al futuro in cui Martin McFly avvisa gli spettatori che potrebbero non essere pronti alla sua musica. Avete parlato della vostra sperimentazione, del vostro bicchiere di punk, della cultura rock che sognate: quello spezzone non è a caso vero?

No, non lo è. Tra l'altro anche lì abbiamo rischiato un po' col copyright [ridono]. La scena rispecchia l'impressione che abbiamo noi che la gente sia un po' restia ad accettare cose nuove. Poi N5 è stramba in sè, crediamo sia l'apice della nostra sperimentazione, del buttare cose e metterle insieme. N5 parla del cercare novità dove non le si aspetta, come Johnny B. Goode nel film. In N5 ci sono molti sottogeneri, e all'inizio della canzone c'è una diga, che è la barriera che devi superare per scoprire cose nuove. Il ritornello è ispirato alle melodie rap di Dutch Nazari.

L'album ha uno scopo?

Parlandoci terra-terra ci eravamo stancati di suonare cover. Sono Luca e Giorgio che hanno spinto maggiormente per suonare qualcosa di veramente nostro. Quello è il motivo principale per cui abbiamo deciso di fare l'album, poi ovviamente suonando ti viene voglia di trovare il tuo genere, avere un pubblico etc, ma all'inizio c'era semplicemente la voglia di mettersi in gioco. Lo scopo potrebbe essere questo: mettersi in gioco. Sperimentare. Provare. Cercare il nostro bicchiere di punk.

Bello. Prossimi concerti?

Eravamo partiti a bomba nell'epoca pre-Covid. Avevamo un tour delle sagre in preparazione ma è saltato. Il 30/8 al CRC di Abano avremo una serata tutta per noi in un posto tutto per noi, cosa mai successa prima, neanche a Belgrado. Per ora siamo proiettati a questo. Per il resto si fa fatica; le sagre sono già più abbordabili ma i locali sono difficili.

Vorrei finire con una domanda, banale ma non troppo, per cui chiedo una risposta individuale: perché fare musica?

Giorgio: "Quando seppi che si liberava il posto da bassista nella band mi ci fiondai. Cerco sempre di creare cose nuove."

Marco: "Per me la musica è come la poesia per Montale: non serve quasi a nulla, ma non è mai nociva. La faccio perchè mi ci esprimo, la faccio perchè la sento. Fare musica è un modo molto cospicuo per esprimersi. Suonare rende meno banali."

Luca: "Una volta vidi mio padre suonare e decisi che dovevo farlo anch'io. Ora suono perchè voglio vedere se ne sono veramente capace. Voglio vedere se sono in grado di tirare fuori qualcosa che nel mondo ancora non esiste. Fare bene ciò che crei dà molte soddisfazioni. Come fare un figlio, ma questo è più bello [ridono]."

Edoardo: "Iniziai a suonare da piccolo perchè i miei genitori lo volevano. Sono entrato nella band con la prospettiva di fare qualcosa di creativo, con la consapevolezza che la creatività non è una cosa che si sperimenta ogni giorno. Fare musica è vedere la parte creativa di te."

Francesco: "Io suono perchè mi gasa. La svolta per me è stata suonare insieme. Dallo suonare insieme allo suonare da solo c'è un gap tipo terra-Luna, capito? Non suono per fare gli esercizietti alla chitarra da solo e poi tirarmela, ma suono perchè voglio vedere cosa viene fuori dallo suonare insieme. Io ero tra i più scettici al momento di fare l'album nostro. Probabilmente sono un po' più insicuro, ho paura di non piacere, ma scrivere qualcosa di tuo e vedere che funziona e che quando lo suoni piace a te per me è la più grande motivazione. Suono perchè sto bene quando lo faccio."

 
 
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