Camminare Raccontando - Dal Medio Oriente al Nord Africa, quel respiro di Primavera.

A cura dell'associazione Ya Basta Edi Bese

15 Luglio 2020

Sono passati ormai oltre 9 anni da quel marzo 2011, dove gli slogan di libertà, giustizia e democrazia riempivano le piazze e le strade di una buona parte del Nord Africa e del Medio Oriente. Vennero chiamate profeticamente “Primavere Arabe”, vedendo in quegli avvenimenti il punto di svolta di una situazione ormai da troppo tempo sedimentata e inconvertibile.

 

La forze delle proteste popolari che in poco tempo misero in crisi dittature e governi ormai da troppo tempo seduti sul passato sembrava innaffiare di speranza il Medio Oriente per come lo avevamo conosciuto. In pochi mesi Tunisia, Egitto, Libia e Siria divennero luogo e spazio di nuove richieste di partecipazione, di un nuovo corso politico e di una nuova prospettiva che poteva lanciare l’area nel nuovo contesto politico e sociale degli anni '10 del 2000.

 

Le dinamiche che i paesi dell’area vivevano da anni ci parlano di un livello di corruzione ormai viscerale ed endemico, di sfruttamento del lavoro e delle risorse a beneficio di pochi oligarchi, ad uno stato di polizia e di terrore senza eguali. Le Primavere Arabe rappresentarono per la popolazione, soprattutto della parte che per la prima volta si affacciava alla vita politica e sociale, un momento storico da attraversare. Il gesto del venditore ambulante Mohamed Bouazizi che, dopo essere stato fermato dalla polizia tunisina, si da fuoco accese una miccia difficile da disinnescare.

 

Il gesto di un singolo divenne così il pretesto di tanti. L’estrema decisione di Mohamed divenne la scintilla fece esplodere il malcontento che da ormai troppi anni la popolazione serbava di nascosto. Fu un attimo e il Medio Oriente ed il Nord Africa si incendiarono. Cortei, proteste, occupazioni si sparsero a macchia d’olio in tutta la sponda sud del Mediterraneo. Il potere costituito, legato a dinamiche anacronistiche e fedele alla conservazione dello status quo, reagì con violenza inaudita.

 

Le piazze di Tunisi, Tripoli e Il Cairo divennero terreno di uno scontro il cui livello di violenza superò ben presto le aspettative. Infatti le masse storicamente escluse dalla redistribuzione della ricchezza, dai benefit governativi o semplicemente da sempre escluse dalla vita politica e sociale scesero in piazza senza niente da perdere. Il dado era tratto, non si tornava indietro.

La prima a cadere fu la Tunisia dove Ben Alì, figlio di una tradizione panarabismo e socialista e poi convertitosi al regime clientelare e famigliare, decise di cercare rifugio nel regno della conservazione, ovvero l’Arabia Saudita. In seguito, si incendiò la Libia, dove gli interessi legati agli idrocarburi e alla loro esportazione, convinsero le potenze europee e non solo ad un intervento armato in supporto dei ribelli “moderati” contro il colonnello Gheddafi, da 40 anni al potere, a capo di un regime totalmente personalistico e corrotto che fini per essere egli stesso preda dei suoi detrattori. L’unico a pagare con la vita le proteste delle Primavere Arabe.

 

Seguì l’Egitto e la fantastica storia di piazza Tahrir dove decine di migliaia di persone, laici e religiosi, formarono un movimento che seppe tener testa per mesi alla feroce repressione della polizia e dell’esercito, finanziato ed armato dagli Stati Uniti, custode di un regime ultra corrotto e ormai totalmente schiacciato sul volere dei militari.

 

Gli avvenimenti in Siria ed in Yemen vennero dopo, ma non essendo ancora conclusi, sono un altra storia.

 

Quello che le Primavere Arabe e la loro infausta conclusione ci consegnano è un quadro di totale instabilità e di, purtroppo, esiguo cambiamento. Se è vero che le forze della rivoluzione nei vari paesi hanno saputo dimostrare una trasversalità che mai si era vista nel contesto mediorientale è anche vero che le forze della “restaurazione” legate ai poteri formali ed informali che già governavano, hanno dato una risposta dura, inflessibile e di una violenza ingiustificata.

 

Nell’estate del 2020 guardiamo a questi eventi con occhio critico ma consci che il sapore del cambiamento è stato ampiamente assaporato ma che solo la forza brutale ha saputo mettere fine ad esperienze rivoluzionare vere e proprie. Negli ultimi anni, soprattutto nell’ultimo, le proteste sono scoppiate a macchia di leopardo in molti paesi dell’area: dall’Algeria al Libano, come in Iraq e in Libano, sempre essendo consci che il Medio Oriente ed il Nord Africa sono aree geografiche dove una qualsiasi scintilla può far esplodere la situazione. Si tratta di paesi ormai logorati da troppi anni di politiche economiche e sociale esclusive, che portano benefici sempre alle solite cerchie di persone spesso legate al potere e all’esercito. Queste popolazioni, per lo più giovani sotto i 20 anni, ci hanno dimostrato che non hanno niente da perdere e tutto per cui lottare.

 

La miopia dimostrata dai governi occidentali e la volontà di mantenere uno status quo, favorendo interessi spesso legati allo sfruttamento di risorse e alla conquista di mercati, hanno fatto si che le opzioni più rivoluzionarie venissero combattute e annichilite in favore di altre più conniventi a questi interessi, anche se profondamente ed ideologicamente impresentabili, come i movimenti islamisti e jihadisti.

 

Le forze reazionarie ed islamiche hanno dimostrato una forza inaspettata, ma il ricordo di quei movimenti rivoluzionari il cui vocabolario traboccava della parola diritti è ancora vivo. Il compito di tutti noi è quello di favorire, aiutare e collaborare con queste esperienze che dalle montagne del Kurdistan al deserto della Tunisia, dalla piazze de Il Cairo al lungomare di Beirut, rappresentano la vera ed unica alternativa alla situazione attuale e alla rinascita islamica.

 
 

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