Testimonianze femministe e voci d'oltreoceano

Intervista a Capovolte Edizioni

14 Luglio 2020

Come dice il nome stesso, il fil rouge che lega i libri pubblicati da Capovolte Edizioni è la voglia di proporre punti di vista sempre nuovi. Con uno sguardo femminista, le tre collane della casa editrice -Ribelle, Dinamica e Intersezioni- mettono in campo temi e narrazioni di cui troppo poco si parla, e che invece si rivelano più che necessari nell’Italia, e nel mondo intero, del 2020.

Abbiamo fatto qualche domanda ad Ilaria, l’editrice di Capovolte, per conoscere meglio questa piccola realtà tutta da scoprire.

Innanzitutto, partirei con le presentazioni: come definiresti Capovolte Edizioni?
Una casa editrice indipendente, femminista, con un'anima dinamica e ribelle. 

Da dove nasce l’idea di fondare una casa editrice e qual è il progetto editoriale che ci sta dietro?
Capovolte è una iniziativa che nasce dopo una lunga riflessione e un percorso professionale e di attivismo che sono andati a incrociarsi. Io sono giornalista, negli anni mi sono occupata di esteri, lavoro, ambiente, sport, e mi porto dietro un'esperienza come autrice di libri sportivi con taglio sociale per un editore indipendente. Dopo aver lasciato l'agenzia stampa in cui lavoravo come redattrice della redazione esteri, ho deciso di dar vita a un progetto che facesse convergere interessi e competenze, ma al tempo stesso offrisse nuovi sguardi sulla realtà in cui viviamo. A questo si integra la mia partecipazione come attivista al collettivo di Non Una di Meno della mia città - Alessandria. L'obiettivo del progetto è creare uno spazio editoriale capace di occuparsi di donne, con uno sguardo femminista, a partire da diverse prospettive. E qui si innestano le due collane con cui Capovolte è nata: "Ribelle - fiori che rompono l'asfalto", con un taglio socio-politico che ha debuttato con il libro Marielle, presente! di Agnese Gazzera, sulla storia di Marielle Franco; e "Dinamica", collana di sport femminile, nella quale vorremmo dare spazio una narrazione dello sport diversa da quelle a cui siamo abituati generalmente.  

Cosa vuol dire essere una casa editrice femminista in Italia ai nostri giorni? Spesso il femminismo viene demonizzato e si dice che non ne abbiamo più bisogno. Quanto è importante invece secondo te che vi sia una diffusione, anche attraverso i vostri libri, di teorie, pensieri e testimonianze femministe?
Lo sguardo femminista e transfemminista che determina il lavoro di Capovolte parte innanzitutto dalla consapevolezza che di esso ci sia una forte necessità. La nostra società vive poggiando su una serie di oppressioni strutturali contro cui fatichiamo come collettività a ribellarci. La violenza di genere si interseca e si rafforza alimentandosi con dinamiche discriminatorie e razziste. Il linguaggio che utilizziamo denota ancora fortemente questa situazione. Sono convinta che non possa esistere lavoro culturale e intellettuale senza l'assunzione di responsabilità. E quindi, se nel nostro piccolo una responsabilità ce la vogliamo assumere, essa deve essere la capacità di offrire narrazioni diverse, di scegliere storie e sguardi che sappiano rompere il sistema costituito, offrendo prospettive nuove e colme di significati. L'idea di combinare temi più classicamente politici con l'apertura a un ambito come lo sport penso sia importante soprattutto in termini sociali. E lo vogliamo fare con produzioni accessibili. 

Nel vostro catalogo ci sono libri che cercano di guardare oltre lo sguardo europeo per esplorare realtà che sembrano molto lontane da noi, come il femminismo nero. Che valore e che importanza ha l’approccio a dimensioni diverse per il dibattito sulle questioni di genere in Italia?
A giugno, con l'uscita del libro Il luogo della parola della filosofa femminista brasiliana Djamila Ribeiro, abbiamo dato vita alla collana "Intersezioni". L'obiettivo è offrire al pubblico italiano la possibilità di conoscere voci e prospettive del panorama femminista internazionale, di cui in Italia ancora troppo poco è stato tradotto. E farlo - come dice il nome della collana - con una prospettiva intersezionale. In questo libro, tra le altre cose, Djamila Ribeiro si concentra sul rifiuto da parte di chi è sempre stato autorizzato a parlare a mettersi in ascolto di chi storicamente è stato delegittimato a farlo. E - come scrive Valeria Ribeiro Corossacz nella postfazione - "l’atto di non ascoltare di questi soggetti dominanti è una posizione confortevole, perché nega o rinvia il momento in cui la presa di parola dei soggetti inferiorizzati aprirà conflitti portando cambiamenti, anche sul piano epistemologico". La nostra responsabilità risiede anche nella capacità di mettersi in ascolto. 

Cosa ha comportato per il settore dell’editoria, nello specifico per una casa editrice piccola e giovanissima come la vostra, il lockdown?
Sicuramente una grande incertezza su ogni forma di programmazione. Con Djamila Ribeiro avevamo in programma a maggio un tour di lancio di 20 giorni in diverse città italiane e siamo state costrette a rinviarlo. Abbiamo deciso di far uscire ugualmente il libro, consapevoli delle difficoltà di promuoverlo senza la presenza dell'autrice. Abbiamo preferito rinviare altre pubblicazioni in uscita alla stagione autunnale, ma questo titolo ci sembrava troppo importante per aspettare. La sopravvivenza delle piccole realtà come la nostra dipende molto dalle presentazioni e dal contatto fisico con il pubblico, quindi non nascondiamo che l'emergenza sanitaria ci abbia creato difficoltà. Ma guardiamo avanti.

Avete qualche speranza particolare, in termini di riforme e provvedimenti, per la ripresa?
In generale l'Italia è un Paese dove ancora si legge troppo poco e servirebbero - a prescindere dall'emergenza sanitaria - misure a sostegno della cultura, soprattutto quella indipendente, per uno sguardo di lungo termine sulla nostra crescita collettiva. Tuttavia vorrei che questa riflessione si allargasse. La situazione che abbiamo vissuto negli ultimi mesi - e qui parlo anche da attivista - non ha fatto che creare ulteriori divari sociali dove già ne esistevano e al tempo stesso ha determinato nuove forme di violenza (non solo fisica) dove già la violenza veniva agita. D'altro canto, questa condizione in cui si è ritrovata la collettività - e di cui purtroppo le donne hanno pagato e stanno pagando il prezzo più alto - ha saputo anche innescare nuove di dinamiche di rivendicazione. Penso ad esempio alla grande mobilitazione messa in campo dai lavoratori del mondo dello spettacolo. 

Che titolo consiglieresti per approcciare Capovolte?
Sono di parte e confesso che li consiglierei tutti. Essendo per ora solo cinque, vi do una motivazione per ciascuno:
- Marielle, presente! di Agnese Gazzera: per conoscere la storia di Marielle Franco, nera, lesbica, favelada. Una donna che ha fatto di sé stessa un corpo politico con cui lottare per i diritti degli oppressi. 
- Una vita due vite. Corso e percorso di voci, di Cristina Contini: per chi vuole provare a guardarsi dentro e ascoltarsi, affrontando le paure del trauma.
- Io sono mia. Donne e Centri Antiviolenza, storie di rinascita, di Luca Martini. Per approfondire il potere dell'autodeterminazione e della sorellanza che si costruisce all'interno di luoghi centrali per la nostra società: i Centri Antiviolenza.
- Salto avanti. La ginnastica, l'Africa, la mia vita, di Arianna Rocca: per chi ama lo sport e vuole scoprire la vita e gli ostacoli dietro all'agonismo, ma anche il bagaglio di competenze che si può rimettere in gioco a sostegno dei più deboli.
- Il luogo della parola, di Djamila Ribeiro. Per conoscere e approfondire la voce più potente del femminismo nero contemporaneo in Brasile, Paese che più di ogni altro ha vissuto la colonizzazione e la schiavitù.  

 
 
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