Odiare non è uno sport

Un progetto per dire no all'hate speech nello sport

23 Giugno 2020



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"Odiare non è uno sport" - Un progetto per dire no all'hate speech nello sport

Terreno di inclusione e aggregazione sociale, veicolo di crescita e confronto, palestra di vita. È lo sport, quello che può portare fino al sogno Olimpico o semplicemente aiutare a stare meglio, quello che nel nostro Paese coinvolge milioni di giovani. Lo sport che però, purtroppo, ha anche un'altra faccia e può trasformarsi in fornace di discorsi e gesti d'odio, che nella dimensione digitale si potenziano e diffondono in maniera esponenziale.

È così che, anche grazie all'aiuto di diversi campioni azzurri, ha preso il via il 7 febbraio scorso – in concomitanza con la Giornata Mondiale contro il bullismo e il cyber-bullismo - la campagna #Odiarenoneunosport, sostenuta dall'Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e promossa dal Centro Volontariato Cooperazione allo Sviluppo, con un fitta rete di partners su tutto il territorio nazionale.

Lo studio del fenomeno è affidato all'Università di Torino che attraverso l'équipe multidisciplinare del Centro di ricerca avanzata Coder è al lavoro per elaborare un Barometro dell'Odio nello sport, monitorando i principali social media e le testate giornalistiche sportive. Dalle prime anticipazioni del report, che uscirà a fine marzo, emergono dati allarmanti.

Su 4.857 post analizzati, per un totale di oltre 443 mila commenti alle pagine Facebook delle cinque principali testate giornalistiche sportive nazionali (Gazzetta dello Sport, TuttoSport, Corriere dello Sport, SkySport, Sport Mediaset), emerge che tre post su quattro ricevono commenti che contengono una qualche forma di hate speech. Quest'ultimo può manifestarsi come generico linguaggio volgare (13,5%), aggressività verbale (73%), vere e proprie minacce (6,8%), o, infine, come varie forme di discriminazione (6,7%). I picchi più elevati di messaggi d'odio si verificano in corrispondenza di eventi calcistici e riguardano in particolar modo le decisioni arbitrali.

Il lavoro dell'équipe però non è solo di osservazione, ma punta anche a intercettare le varie forme di hate speech online e intervenire con risposte in tempo reale. Questo grazie a un algoritmo specifico e un chatbot sviluppati dal Laboratorio d’Innovazione della School of Management di Torino e da Informatici senza Frontiere. A questi strumenti si affianca il “Bullyctionary”, un vero e proprio dizionario del bullismo online, realizzato grazie ad Assicurazioni Generali.

Il progetto ha raccolto e sta ancora raccogliendo le testimonianze di campioni dello sport azzurro come Igor Cassina, Stefano Oppo, Alessia Maurelli, Paola Enogu, Valeria Straneo, al loro fianco le straordinarie storie di inclusione sociale avvenute attraverso lo sport sul territorio italiano e l’adesione spontanea di decine di sportivi, professionisti e dilettanti, associazioni, scuole o semplici cittadini che sostengono la campagna ritraendosi con la scritta Odiare non è uno sport.

Il team di Sherwood sta contribuendo al progetto attraverso la narrazione - a mezzo radiofonico - di alcune esperienze virtuose di sport popolare disseminate in tutta la Penisola, con il racconto di alcune storie di atlete e atleti che in passato hanno riscritto la storia dello sport in maniera scevra da discriminazioni e per finire con la produzione di diversi storytelling volti alla sensibilizzazione dell'utenza per uno sport aperto e inclusivo.

La campagna durerà tutto il 2020 e prevede diversi appuntamenti e strumenti per sensibilizzare la cittadinanza, con un obiettivo comune: dire no all'odio nello sport e nella vita.



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