“Robokiller” - Thing Mote

Il debut album dei Thing Mote è l’alter-ego musicale di Black Mirror

5 Giugno 2020

I Thing Mote sono una band proveniente dalla vicina Verona in attività da svariati anni.

Dopo un bel po’ di Ep dal 2010 al 2016 (Mote Ep, Scratches from the ground above, Stabstrings - A Genuine Acoustic, Alive in the sky with no reason) il 2020 è l’anno dell’album d’esordio Robokiller per l’etichetta Cabezon Italy, prodotto con la collaborazione di Jacopo Gobber in uscita il 5 giugno 2020.
La linea rossa dell’intera tracklist consiste nella riflessione sulla progressiva perdita d’umanità dovuta all’inserimento imponente della tecnologia nelle nostre vite.

«Viviamo in una società ormai incentrata sulla comunicazione digitale, ognuno di noi ormai ha una vita reale e una vita virtuale, con il rischio di non riconoscere più quale sia quella vera. La tecnologia quindi, invade il nostro quotidiano, mutandoci nel profondo, anche inconsciamente. Attenzione, l'album non vuole essere una sorta di manifesto luddista, ma anzi, vuole essere uno spunto di riflessione, estremizzando talvolta alcune situazioni: Robokiller rappresenta quindi una sorta di "Black Mirror" musicale, ovviamente in chiave rock.»
(cit. Thing Mote)

Il quartetto composto da Fabio Dai Prè (Batteria), Pietro Donnarumma (Basso), Giuliano Fasoli e Tommaso Zanardi (voce e chitarra) si incontra in un ideale luogo di ritrovo (trad. di Thing Mote ndr.): uno spazio fisico in cui condividere pensieri, ideali e composizioni letterarie, filosofiche, artistiche.
Il gruppo va ben oltre i connotati stereotipati della rock band giovane e velleitaria: con diligenza tesse liriche degne di menzione, in cui trasportarci in un mondo non molto lontano, né tantomeno distopico. La realità di una dimensione disumanizzante è alle porte, non resta che destrutturarla, non è il caso di restare impreparati.

I testi sono volutamente cinici, caratterizzati da un disincanto monolite: non si scappa dalla strada nella quale siamo immessi, anche se, i margini, sono lastricati di buone intenzioni.

I Thing Mote traspongono in musica una critica attuale e precisa, senza rischiare di poter essere inseriti inconsciamente in un filone moralizzatore. La band non è spettatrice fuori campo, è pienamente addentro, radicata nelle contraddizioni narranti.


I 4 sono desiderosi di entrare in un tassello dell’alternative con un prodotto frutto di un concept dai temi considerevoli.

Il livello musicale è notevole, e facendo mia la protesta dei TM, non deve per forza essere incasellato in una categoria musicale, ma, con l’orecchio della redattrice critica, non posso non ricavarci tantissime influenze.

Sento una base di grunge con rivoli di Nirvana ma anche rigagnoli più decisi dal punk’n roll più vorace (la traccia omonima del disco Robokiller in primis), riferimenti più noir (Memories, ad esempio ha un lineamento ghotic), per non parlare dei riff scientifici di Awake che mi sanno di stoner miscelato al math, e le voci? Un connubio di acuti e gravi con tanto di chorus disarmonici.

Non si poteva non ritagliare uno spazio più intimista, a metà tra i soliloqui psicologici e il teatro del sé, ed ecco la chicca melanconica Auckland and you.

La disumanizzazione sta anche nello sgretolamento dei rapporti sentimentali, e dunque, perché non creare un surrogato? Her (riferimento tratto dal film del 2013 di Spike Jonze). Dopo svariate delusioni amorose, un uomo si innamora in modo ossessivo compulsivo di un programma che simula un essere umano. Ma questo non può che essere appunto un amore virtuale, tossico I don't care if it is her or him But she’s my heroin»). Eroina sia come eroe, punto di riferimento, che come dipendenza.

Nel traghettamento verso la fine la situazione sembra per inarcarsi: le macchine si ergono all’orizzonte per imporsi, la traccia Machines are coming disegna un pezzo viscerale. Le chitarre piombate si sommano a fuzz robotico di veloce impatto.

Hoax ci propone uno scambio tra menti illustri, il filosofo Foucault, lo scrittore E.A. Poe, il filosofo del linguaggio Wittgenstein e il regista Orson Welles, travolti da una seconda parte più facilona, con uno spartiacque brutale di assoli distorti.

Il finale è un rombo oscuro, siamo nelle terre desolate di Wasteland (dal poemetto modernista The Waste Land di T.S. Eliot), l’immondizia travolge le terre, gli oceani distruggono le città, infine, siamo pronti ad una nuova ondata di distanziamento, quello sentimentale, dalla quale non c’è fase 3 che regga.

Vale la pena ascoltare il disco e, man mano, recuperare tutti i riferimenti letterari di cui la composizione è costellata. Un desiderabile viaggio a 360° attraverso due semplici cuffie.

 
 

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