La Greenhouse di Mr. Beckmann

di Mirco Salvadori

3 Giugno 2020

Lo seguo da parecchio tempo, ogni sua release è una dolce sorpresa così come sapere che alcuni dei suoi lavori hanno trovato pubblicazione su label indipendenti, non ultima la Whitelabrecs che lo inserirà nella prestigiosa serie Home Diaries assieme ad un altro importante rappresentante del nuovo suono elettroacustico italiano, Francis M. Gri.

Siamo andati a trovare Filippo Bordigato, o se preferite Mr. Beckmann nella sua serra preferita e questo è il resoconto dell'incontro.

Inizio dal nome: The Volume Settings Folder, qualcosa come La cartella delle impostazioni del volume. Un nome che mi ha da subito colpito. Come ti è venuto.

Purtroppo dietro a questo nome non c’è una storia troppo affascinante, tutt’altro. Nel 2010 dopo aver acquistato il mio primo MacBook e dopo aver provato ad installare alcuni software base per la musica - all’epoca non avevo ancora iniziato a produrre autonomamente, suonavo semplicemente in alcuni gruppi - notai che qualcosa non funzionava. Ora non ricordo i dettagli, ma in sostanza c’era un bug che creava automaticamente una cartella chiamata “volume settings folder”. Onestamente mi è piaciuta la combinazione di parole e i vari richiami che potenzialmente suscitava nella mia mente. Poco più di un anno dopo l’ho usata per iniziare questo progetto.

Teniamo basso il volume e cerchiamo di ascoltare e capire chi c'è dietro questo moniker. Qual'è la storia di Filippo Bordigato aka M. Beckmann, nome tedesco per un sound artist residente a Padova.

Risparmiando i trascorsi adolescenziali sia emotivi che musicali - anche se certamente hanno delle influenze - io sono un diplomato geometra che decide di andare a studiare lingue all’università di Padova. Credo che il nocciolo della nascita del progetto risieda qui. Dopo la formazione tecnica, che per i primi anni ho abbracciato sfrenatamente, la passione è scemata e si è impennata di contro quella per le materie umanistiche. Alle volte mi chiedo che ne sarebbe stato di me se avessi studiato chimica e fisica durante gli ultimi anni delle superiori invece che all’inizio - avevo un solido nove ed ero genuinamente appassionato. Da qui si parte per lo studio di inglese e tedesco all’università. Inglese no problem, per il tedesco invece molti, non avendolo mai “toccato” prima. Per farla breve, dopo aver passato Lingua Tedesca I dopo molti tentativi sento che è doveroso andare a trascorrere un periodo in-loco per sedimentare meglio la lingua. Il risultato è un erasmus di 6 mesi ad Amburgo, dove ho migliorato esponenzialmente la lingua ma anche conosciuto persone magnifiche, fatto esperienze culturali dentro e fuori dal campus davvero essenziali - ricordo un bellissimo concerto di Nils Frahm all’Übel und Gefährlich, che mi ha davvero catturato, soprattutto perchè mi attendevo tutt’altro - e dove infine ho anche fatto teatro. Da qui il moniker di M. Beckmann, Möbelstück Beckmann, da un adattamento di un racconto radiofonico di Wolfgang Borchert.

La tua 'casa' mi sembra sia Bandcamp, è lì che ti ho trovato quando scrivevo di suono in free download. E' dal 2012 che diffondi il tuo lavoro attraverso questa piattaforma. Come mai questa scelta e qual'è il tuo punto di vista riguardo al suono divulgato con questi metodi.

Nel 2011 ho iniziato a pubblicare timidamente la mia musica caricando le tracce esclusivamente e direttamente su Tumblr. Da lì ho creato un account Soundcloud (poi altri 2 per aggirare le limitazioni del servizio) e infine a primavera 2012 ho iniziato a pubblicare su Bandcamp. Inizialmente sono stato un po’ baldanzoso, chiedendo un pagamento di circa 5 Euro per i primi due album digitali. Poi ho capito che non era proprio quella la strada da percorrere, per lo meno per me, ed ho messo tutte le release digitali a 0 Euro (escluse alcune cose un po’ mastodontiche), dando la possibilità di fare offerte volontarie. Credo che ogni artista faccia - o almeno dovrebbe farlo - una riflessione personale prima di stabilire il prezzo di ogni sua opera. Io dopo quasi 9 anni mi considero ancora un dilettante, e non trovo consono porre un costo alto per release digitali visto che “non sono nessuno”. Per me questa resta una passione, che coltivo assiduamente ma non cerco di far diventare la mia occupazione principale. Rimango però un assiduo fruitore di musica in formati “concreti”, vinile, CD o cassetta, e quindi mi piace creare e mettere a disposizione delle versioni fisiche della mia musica, anche queste a prezzi contenuti. Forse è un’attitudine un po’ punk, ma quando meno me lo aspetto so che può essere ripagata da chi apprezza il mio lavoro. C’è chi per la mia intera discografia digitale ha pagato 90 Euro quando ne bastavano 4, e anche questo è un un riconoscimento.

Come dicevo prima hai iniziato pubblicando i tuoi lavori in modalità free, una prassi durata un anno, se non sbaglio. Poi sei passato alla pubblicazione classica iniziando anche a proporre, oltre al digitale, anche le edizioni fisiche in tiratura limitata. Spiegaci qual'è stato il tuo percorso.

Le edizioni fisiche, quasi tutte in formato CDr, sono iniziate dopo poco meno di un anno dall’apertura del mio profilo Bandcamp. Ho iniziato perchè la piccola label californiana Static Reason Recordings mi contattò alcuni mesi dopo la pubblicazione su Bandcamp del mio primissimo album “A Path Left, A Step Right” per farne una release su cassetta, uscita poi solo a primavera 2013. L’entusiasmo e il ricevimento furono molto positivi, e questo mi diede la spinta per iniziare a creare qualcosa di mio. Ogni album ha un trattamento estetico differente, alle volte molto grezzo ed altre più sofisticato, che rispecchia la natura della musica. Per me è anche uno sfogo di un lato creativo dal punto di vista grafico, e sono davvero poche le mie release che non presentano un artwork creato da me.

Hai mai pensato di pubblicare per qualche label?

Ho pubblicato per meno di una manciata di label negli anni: come detto Static Reason Recordings (USA) per il primissimo album, poi “Ivan Hoe and Other Tales” su Organic Industries (DE), “Springtime Returns” coprodotto e co-pubblicato con Tanner Garza su Bookend Recordings (USA), “Laguna” e “Hothocleana” su Oscarson (DE), entrambi (orgogliosamente) in vinile. Poi in digitale “The Berlin Rehearsal” su Ekar Records (IT-DE), label di un mio carissimo amico d’infanzia ormai di casa a Berlino, e di prossima uscita un album per la serie “Home Diaries” su Whitelabrecs (UK). Al di là di questi titoli, ho pubblicato la mia rimanente discografia autonomamente via Bandcamp. Tranne per la release imminente su Whitelabrecs, non ho mai inviato demo o proposto un album ad altre label, questo sempre, in parte perchè le label stesse avavano voglia di pubblicare qualcosa con me, in parte, per cercare di mantenere un certo grado di “umiltà” nei confronti di label che pubblicano artisti ben più capaci, ma anche, devo ammetterlo, per procrastinazione. Ultimamente però sto un po’ rivedendo questa mia prassi, e l’uscita per Whitelabrecs ne è un prima dimostrazione.

Come dicevo prima, ti seguo ormai da parecchi anni e devo confessare che non sono mai rimasto indifferente rispetto le tue release che nella versione digitale hanno raggiunto il numero di 48 se non sbaglio, non poche. Amerei conoscere bene il tuo percorso iniziando dalla tua formazione musicale e il perché della scelta elettroacustica, termine riassuntivo che nel tuo caso raccoglie moltissimi elementi che vanno dall'ambient, al drone, al field recording e molto altro.

Ho preso lezioni di chitarra per un anno quando ero quindicenne - e quando ero un metalhead. Un inizio un po’ lontano dalle mie passioni attuali quindi. All’evoluzione delle mie passioni musicali da ascoltatore è sempre seguito a ruota il mio suono da chitarrista: prima quindi in cover band metal, poi nel collettivo marcatamente elettroacustico “dört” - progetto concluso troppo presto ma che ha dato grandi soddisfazioni, in primis suonare allo Sherwood festival del 2010 - e infine nel mio progetto attuale. La chitarra quindi è il mio principale strumento, a cui ho affiancato col tempo altri strumenti acustici, ma anche piano, sampler e synth, in modi sempre diversi. Posso dire che il mio sound è stato informato in misura molto più ampia dai miei ascolti che dal mio apprendimento dello strumento.

Non so come spiegarlo ma il suono che produci ha una matrice che non lo colloca all'interno della 'nuova scuola di ricerca italiana', è un suono piuttosto nordico, estremamente introspettivo con radici profonde nel pensiero romantico - passami questo termine -. Ti ascolto.

É vero, per molti versi sono sempre stato un esterofilo/europeista, ed ho una particolare attrazione verso la scandinavia, non esclusivamente in ambito musicale. Senza dubbio i Sigur Rós sono ad oggi la mia più grande influenza, specialmente i primi 4-5 album, e certamente molte mie melodie ed armonie richiamano le loro produzioni e quelle di artisti simili. Si tratta di un’affinità di cui non non riesco a spiegare l’origine. Amo anche molta della letteratura e del cinema nordico, e forse l’affinità più evidente sta nella sensazione di malinconia, un romanticismo per certi versi proprio nel senso letterario del termine, questo è quel che mi lega al nord del continente.

Come componi, quali sono le tue ispirazioni e come le traduci in suono.

Durante i primi anni non avevo una particolare forma di ispirazione per iniziare a mettermi a suonare, tutto era - lo è ancora per molti versi - frutto dell’improvvisazione. Chiaramente si tratta di improvvisazione sempre registrata, quindi c’è sempre un grado di premeditazione, e anche lasciata sempre “stagionare” per settimane o mesi. Negli ultimi anni invece mi sono sempre più ritrovato a determinare prima l’artwork di un prossimo lavoro e solo successivamente a registrarlo, quindi a trarre ispirazione dalle fotografie scattate, e in una certa misura sicuramente anche dalle esperienze, dai viaggi che hanno portato a scattarle. Alla base di entrambe le cose, l’immagine ed il suono, c’è comunque di fondo una tendenza ad esplorare il ricordo, o la nostalgia del ricordo, non necessariamente vissuto.

Hai dei nomi di riferimento che più di altri hanno influenzato il tuo modo di elaborare il suono?

Come detto primariamente i Sigur Rós. Con loro anche molti altri artisti scandinavi, sia dell’elettronica, del pop o del nu-jazz, che ascolto ancora moltissimo con artisti come Nils Petter Molvaer, Arve Enricksen, Eivind Aarset o Jan Bang. Poi potrei citare da William Basinski fino a Hainbach per l’uso intensivo dei nastri magnetici che mi appassiona profondamente; Fennesz, Taylor Deupree, Marcus Fischer, label come 12k, Fluid Audio, hibernate recs, Eilean recs, Kranky, 130701 (sempre tornando ai nastri magnetici e ai lavori di Ian William Craig), n5MD, i lavori di Field Rotation (Christoph Berg) e Tape Loop Orchestra. Altre influenze più sottili sono sicuramente per l’elettronica i Boards Of Canada, Aphex Twin, Autechre, Bonobo, Mount Kimbie e per il post-rock sicuramente Mogwai, Mono, Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra, The Album Leaf, Balmorhea e gli Explosions In The Sky.

Domanda tecnica che non manca mai. Che strumentazione usi . Appartieni alla categoria DIY o, in seconda battuta, ti affidi a qualche studio di registrazione.

Direi che posso essere ascrivibile alla categoria dei “bedroom musician”. Non ho una stanza dedicata a “studio di registrazione”, dove tutto è pronto all’uso per quando l’ispirazione si fa viva. Questo per alcuni versi è un aspetto negativo, ma per altri è stimolante, nel senso che mi forza a prendere in braccio uno strumento alla volta e ricavarne quanto più possibile. Certamente la tecnologia mi aiuta tanto e il genere ovviamente si presta bene. Come detto il mio strumento principale è la chitarra (quindi con effetti e looper) ma ho accumulato negli altri una serie di altri piccoli strumenti acustici (kalimba, glockenspiel, ukulele ecc) che possono essere malleati via sampler, tape loop o granulatori in mille maniere. Non ho mai costruito uno strumento, quindi l’aspetto DIY del mio processo si limita al solo registrare e fare un leggero premaster tutto in casa. Solo le mie release per altre etichette hanno ricevuto il trattamente di ingegneri del suono professionisti, ma trovo che le mie conoscenze siano sufficienti per il mio output musicale.

A vederti così sembra tu sia un sound artist solitario, senza legami costanti con il (piccolo) mondo della ricerca elettronica italiana. Mi smentisci o sono nel vero?

É vero, eccezion fatta per una piccola collaborazione con Xu(e), alias Andrea Poli e Nicola Fornasari, per il brano “Amelia Earhart” incluso nel loro album collaborativo “Music for Vanished People” uscito su Shimmering Moods Records alla fine dello scorso gennaio. C’è qualcosa che bolle in pentola per un’altra collaborazione con artisti italiani proprio in queste settimane, ma allo stato attuale non voglio sbilanciarmi troppo

Te la senti di dirmi a quali dei tuoi lavori sei più legato?

Purtroppo devo dirtene 3, o meglio un brano e 2 album. “Purity III”, brano attorno al quale ho costruito l’album “Ivan Hoe and Other Tales”, nato per una serie di fortuite coincidenze ma che coglie appieno il senso di nostalgia che cerco sempre di comunicare. All’opposto, l’album “Folder #05” invece è stato il primo che ho composto con un obiettivo ben determinato ed un sound univoco, ed ha portato grandi soddisfazioni. Così è anche per l’album “Laguna”, il mio primo su vinile, composto tra Italia e Germania in un momento un po’ travagliato.

Il primo maggio è uscito To The Greenhouse, un lavoro come sempre in linea con il tuo mood in bilico tra poesia e introspezione. Ce lo racconti?

Probabilmente uno dei miei album più “solari”, l’ho creato di getto, in maniera molto improvvisata, durante i due mesi di lockdown qui in Italia. È frutto anche di un “ritorno alle origini” per me, ovvero di una composizione lineare, con chitarra e qualche altro strumento acustico, tanti pedali, looper ed amplificatore (al posto di tante interfacce digitali) e solo qualche ritocco o aggiunta in post. Mi sono sentito un po’ fortunato e certamente privilegiato durante il lockdown, in quanto ho lavorato durante il giorno e potuto godere della campagna della bassa padovana il resto del tempo. Questo ha sicuramente avuto dei risvolti positivi e credo che l’album lo rifletta. 

M. Beckmann aka The Volume Settings Folder uscirà mai dalla sua serra, potremo vederlo magari live, una volta finita questa maledizione batterica?

Sembra paradossale ma l’unico mio live è stato nel 2015 a Berlino, presso una mostra-evento organizzata da un mio amico. Vorrei tanto riuscire a coniugare la produzione da studio con qualche esibizione dal vivo, ma è difficile da combinare con il lavoro a tempo pieno. Non è detto che non accada in futuro, incrociando le dita dato il brutto periodo che tutti stiamo passando e verosimilmente dovremo affrontare ancora per un po’, ma al momento “la serra” rimane il mio rifugio ed il mio megafono verso il mondo che vorrà ascoltare.

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