Il megafono della Generazione Z: il nuovo album dei The 1975

La recensione di "Notes on a conditional form", uscito il 22 maggio

26 Maggio 2020

I britannici The 1975 ci avevano lasciati nel 2018 con il loro Brief inquiry into online relationships. Come solito, anche questa volta, il simpatico quartetto ha prodotto un album che fa sospettare una logorrea di fondo (vi ricordate monumentale I like it when you sleep for you are so beautiful yet so unaware of it del 2016? O preferite il suo acronimo ILIWYSFYASBYSUOI?).
Dopo un bel po’ di spostamenti, infatti, è stato pubblicato l’atteso Notes on a conditional form (Dirty Hit).

Ma se si suol dire che l’abito non fa il monaco, nel caso della band brit siamo dinanzi ad un’eccezione! Prolissi nel titolo e nella tracks list: 22 tracce per un’ora e venti di disco che suona un po’ come «Avete tanto atteso ma per un buon motivo!».

La traccia opener, come tradizione della band vuole, è omonima alla stessa, The 1975: il pezzo è un featuring impensabile, niente poco di meno che l’attivista Greta Thunberg, fondatrice del movimento Fridays For Future che, nel 2019, ha attraversato l’Italia, l’Europa ed il mondo intero. Il pezzo è una profezia che tanto fa riflettere sui tempi che stiamo vivendo. Allo scandire delle parole «It’s time to rebel!», l’incipit dell’album basato su voce di Greta e piano delicato in echoes, termina. È tempo, sul serio, di ribellarsi.

Si imbracano chitarre, bassi e si impugnano bacchette. Sferrazzanti come un mulinetto, veloci come schegge ci trascinano in un live afoso in mezzo a un sacco di People. È tempo di dare voce alla Generazione Z che reclama a gran voce un cambiamento!
Tanti critici, ascoltando i 1975 negli anni, li hanno definiti dei patinati poppers, a mio avviso questa opinione è frutto di un ascolto superficiale che non indaga oltre l’estetica iniziale.

I The 1975 fanno musica, ma in un modo completamente diverso. Sono eterogenei e multiformi, indossano di disco in disco, di traccia in traccia, nuovi dress-code che gli calzano a pennello.

Tra un synth pop più radiofonico e dolciastro (The Birthday Party) si approda ad un beat elettronico da trance a colpi di house music (Yeah I know), senza tralasciare rivoli di emo-core, ballad malinconiche ed arrangiamenti strumentali latenti verso il folk.

Potrei definire il nuovo – ampio e variegato – album dei The 1975 come un’esperienza sensoriale a tutto tondo.
Senza offesa, ma anzi come punto da sottolineare in positivo, mi sono sentita come dinanzi ad una playlist creata da un algoritmo schizzato.
Tuttavia, è bene precisare che, in maniera circolare, l’album si miscela in un unico calderone che fila.

Beh, non resta che attingere dallo stesso con alacre spensieratezza!

 
 
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