La poetica musicale del silenzio :: Emanuele Errante

di Mirco Salvadori

13 Maggio 2020

Si cerca di sopravvivere, dentro i confini di questo mondo. Una sopravvivenza più che altro dettata dall'ansia di quel che sarà e di come siamo riusciti a ridurlo, questo creato. Un modo diffuso per calmare l'agitazione è racchiudere le nostre sensazioni spalmandole con l'inchiostro sopra un foglio di carta bianca o uno spartito. Sono anni che Errante ci ha abituato a leggere i suoi intimi racconti e questo suo ultimo e solitario capitolo non fa altro che ribadire l'estrema capacità di analisi e la profonda conoscenza della materia romantica. Impossibile non soffermarsi sul termine 'amore' ascoltandolo, l'amore per la poetica musicale del SILENZIO.

 ms - Rockerilla Ottobre 2019

 

EMANUELE ERRANTE
This World
Whitelabrecs

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Allora Emanuele, come stai affrontando questo periodo di obbligatorio 'fermo pesca artistico'. Partecipi anche tu alle decine di home concerti, organizzi dirette o continui a comporre in previsione della riapertura?

È paradossale (o forse no) ma mi sono arrivate più richieste in questo periodo che nei periodi di “normalità”. Ho fatto anch’io il mio bravo live online e mi è stato anche proposto di fare un album, comporre un brano per una compilation, partecipare a un progetto tra più musicisti, comporre musica per una serie di lavori video e avviare una collaborazione. Che per la musica il momento sia difficilissimo è un eufemismo… ma è bello vedere che c’è tanta voglia di reagire. Sono sicuro che prima o poi ci inventeremo qualcosa di nuovo ma fino ad allora è importantissimo che chi ha a cuore l’arte in genere continui a supportare gli artisti, anche più di prima, se possibile.

Emanuele Errante è un nome che non ha bisogno di presentazioni, la tua discografia si mantiene viva e non soffre gli acciacchi del tempo. Per questo amerei iniziare proprio da questo, dalle tue produzioni in solo o in compagnia di altri musicisti e sound artist. Quali i dischi che rivestono più valore e perché?

A Napoli diciamo “e figli so piezz e core” e per me ogni album personale o collaborativo che ho fatto è come un figlio. Vivo il periodo di “gestazione” con ansia ma poi quando scocca il cosiddetto “release day” è una gioia. Conservo vivi i ricordi di tutte le sensazioni vissute in fase compositiva, nell’attesa dell’uscita e al momento della release di ogni mio disco. Nonostante questo, ci sono due album a cui sono particolarmente legato: il primo è Humus, uscito con Somnia, un’etichetta che ha lasciato un vuoto enorme quando Evan Bartolomew ha deciso di chiudere i battenti per dare seguito al suo progetto musicale Bluetech. Il secondo è The North Green Down con Dakota Suite, un disco che ancora oggi considero di una bellezza commuovente.

Quattordici anni da Migrations, il tuo primo lavoro. Ce la facciamo a capire quali cambiamenti si sono succeduti e cosa hanno comportato.

Quattordici anni sono un’età di grandi domande e tormenti nella vita di una persona. Si passa dal “da grande voglio fare l’astronauta” al “perché sono qui? Dove sto andando?”. Ecco, per me è proprio così. Quattordici anni fa ho emesso i primi suoni. Poi è arrivata la fase della scoperta del mondo e della ricerca di esperienze. Ora ho consapevolezza di quello che c’è lì fuori ed è arrivato il momento in cui mi sto ponendo le stesse domande di un adolescente ma dal punto di vista artistico. Sento che questo è un momento di passaggio fondamentale per la mia identità artistica e ne avverto tutta l’inquietudine.

Rimaniamo nel passato ricordando il tuo NetstockFest e il mondo che girava attorno al suono in Creative Commons. Tutto è imploso, scomparso. Poche sono le net label superstiti e faticano non poco a mantenersi vive. Cosa è successo?

È successo che il mondo è cambiato, alla lunga certi modelli hanno dimostrato la loro fragilità e si son trasformati in altro. Il NetstockFest è stato il primo festival completamente online con tre giorni di musica live in diretta non-stop e 60 artisti provenienti dall’Europa, dall’Asia e dalle Americhe. Senza i mezzi audio/video che usiamo adesso, ho organizzato qualcosa che all’epoca, il 2005, sembrava enorme. Oggi mi fa sorridere. Se consideriamo il periodo di lockdown, possiamo tranquillamente affermare che di NetstockFest ce n’è stato uno nuovo al giorno per due mesi… Anche il concetto alla base del movimento Creative Commons (l’abolizione della proprietà intellettuale in favore della libera fruizione culturale) del visionario Lawrence Lessig non poteva durare a lungo. Erano discorsi che in Italia si facevano già in certi ambienti fortemente politicizzati negli anni 70 ma che già allora sollevavano molte perplessità, critiche e polemiche. Oggi, al contrario, penso che la musica abbia bisogno di più risorse economiche, mezzi di produzione e metodi di fruizione. Penso che un pianista che sistematicamente non viene pagato per la sua musica e non può più permettersi di riparare il suo pianoforte rotto sia l’ennesimo fiore che appassisce e un altro passo avanti dell’inesorabile desertificazione culturale. Ognuno è libero di regalare una sua opera all’umanità senza chiedere nulla in cambio ma questa non può essere la regola, soprattutto se vogliamo che la musica smetta di essere considerata un prodotto usa e getta o mero intrattenimento. Credo che il mondo del netaudio abbia cominciato pian piano a sgretolarsi proprio quando questa consapevolezza ha cominciato a farsi strada. Tuttavia, vanno riconosciuti tantissimi meriti alle netlabel e a tutto ciò che hanno rappresentato in quel periodo che considero magico proprio grazie al loro operato. Ti lancio un assist: forse quel mondo e quell’esperienza andrebbero raccontati in un libro… Soprattutto con il senno di poi.

Entriamo nel suono, anch'esso colpito da questa sorte di crisi che tutto abbatte. Le tue radici sono ben piantate nella disciplina ambient, un termine che ha perso la sua connotazione iniziale e viene usato praticamente in ogni release che non comprenda l'uso della batteria... per dire.

Effettivamente quella caratteristica originaria di una musica da percepire e non da ascoltare, tanto da accorgersi che la si sta ascoltando solo se qualcuno stacca improvvisamente il quadro elettrico di casa, è andata persa. Ho l’impressione che oggi la ricerca e la sperimentazione siano basate solo sul suono e poco sul creare percezioni e sui fattori sensoriali. Molti nuovi album sembrano essere stati concepiti per catturare l’attenzione dell’ascoltatore dal primo secondo, a dispetto della definizione coniata da Eno e del concetto di “furniture music” dei suoi predecessori. Ma va bene così, anche questo è un segno dei tempi ed è il risultato di un’evoluzione. Una cosa che noto con enorme piacere è l’eccellente livello qualitativo di quello che viene prodotto oggi, rispetto al passato. In generale, sono piuttosto evidenti un interesse e un’attenzione crescenti, sia da parte degli autori che delle label. Una cosa di cui invece mi rammarico molto è una sorta di corsa a produrre roba che suoni come una qualunque altra cosa già esistente, il che mi da l’impressione che ci stiamo incamminando sempre più verso un appiattimento compositivo. A me, invece, piacerebbe moltissimo scoprire un bel disco ambient ricco di ritmiche di batteria, davvero.

Come componi attualmente, cosa giunge a darti ispirazione e come lo trasformi in suono.

Il mio processo creativo è piuttosto banale, non ho formule magiche: magari parto dal risultato di una manipolazione sonora che mi piace tanto da costruirci intorno un brano intero o dal mio mood del momento o da un cazzeggiamento fatto bene o semplicemente da un “incidente sonoro” fortunato… Quello che invece sto cercando nelle cose che sto facendo ultimamente è il silenzio, o meglio l’idea di silenzio -- il vero silenzio non può esistere. Un silenzio simile a quello che a sorpresa si è rivelato dal primo giorno in cui ci hanno reclusi in casa.

Cosa nasconde la calma e la pace apparente che si respira tra i solchi delle tue produzioni.

Parecchia inquietudine. Ritornando a quello che dicevo prima, anche la pace del periodo di lockdown era inquietante ma per me bellissima, tanto che iniziata la cosiddetta fase 2 ne ho avvertito la mancanza con estrema nostalgia. Se ci pensi, c’era un mondo silenziosissimo ma dentro ognuno di noi c’erano urla di dolore soffocate per quello che ci stava accadendo. Un silenzio irreale che soffocava fragorose e rumorosissime tempeste interiori. La calma e la pace che traspare nella mia musica non sono mai propriamente tali ma appaiono sempre un po’ in bilico, come i silenzi di quei giorni. È un mood che cerco sempre nella mia musica. Vabbè, del resto sono di formazione dark… Nessuno me ne voglia.

Una domanda che mai manca nelle mie interviste, riguarda la parte tecnica che non sembra, ma è parecchio seguita dagli addetti ai lavori. Che strumentazione e che strumenti veri e propri usa Errante quando compone e nei suoi live act?

Sono passato dai virtual instrument che usavo all’inizio a strumenti veri e propri e ho cercato sempre più di svincolarmi dal computer e tornare a suonare i sintetizzatori come facevo da ragazzino. Per questo uso un mixer-multitraccia che mi permette di catturare al volo qualsiasi idea mi passi per la testa e per le dita. Il computer lo uso solo per editare le registrazioni fatte con il multitraccia ma per il resto ho cercato di unificare l’esperienza live con l’esperienza studio. Uso vari synt e tastiere, una drum machine, un sequencer e un sampler, qualche effetto, una chitarra elettrica, una acustica a 12 corde e una a 6 e un pianoforte. Poi ho diversi altri strumenti che però non uso altrettanto spesso, molti dei quali a fiato. E un theremin. E ovviamente microfoni e registratori per catturare suoni d’ambiente e altro.

A proposito di concerti e loro realizzazione, che mi racconti?

Purtroppo c’è poco da dire a riguardo in questo momento. Avevo in programma due live a cui tenevo molto: uno con Enrico Coniglio a L’Asilo Filangieri qui a Napoli ad aprile e uno che doveva essere il culmine di un progetto di ricerca sonora e di danza sui parossismi vulcanici di cui mi stavo occupando insieme all’ideatrice Giulia Ferrato e che si sarebbe svolto con la formula della residenza artistica di una settimana sull’isola di Stromboli a giugno nell’ambito del Marosi Festival. Tutto cancellato. Guardando al futuro, mi auguro che venga presa in considerazione la possibilità di organizzare live in spazi molto ampi in cui poter rispettare il distanziamento e in piccoli borghi aperti a un numero ristretto di persone, con l’obiettivo di contribuire alla loro riscoperta.

Non vorrei sbagliarmi ma tutte le label per le quali hai inciso sono di oltre confine, questo mi da il destro per chiederti come mai questa scelta e porti la classica domanda che immagino tu attenda: la situazione del suono elettroacustico in italia, la sua diffusione e soprattutto il suo riconoscimento in ambito indipendente, più che altro, ciò che un tempo era indipendente e si è trasformato in un piccolo avamposto mainstream travestito con desueti costumi ancora grunge.

No, non sbagli e credo di non essere l’unico in Italia che esce solo su etichette estere. Non ho mai capito se le label nostrane hanno un’oggettiva difficoltà a farsi spazio al di fuori dei nostri confini o se preferiscono rimanere referenziali solo per il nostro paese. Sta di fatto che se l’elettronica sperimentale è un genere di nicchia, l’ambient è una nicchia nella nicchia. Quindi per un artista che decide di mettersi in gioco, poter contare solo sui pochi appassionati presenti nel nostro paese è estremamente limitativo. Probabilmente da noi servirebbe da una parte uno sforzo per educare un maggior numero di persone all’ascolto di determinati generi e dall’altra più coraggio da parte delle etichette e degli organizzatori di eventi.

Tu ed io tempo fa abbiamo avuto uno scambio via chat - quando mai ormai avviene realmente! - sul famoso termine 'fare rete' per creare un network che si dedichi allo sviluppo del suono elettroacustico e di ricerca - altro termine inflalazionato -. Non siamo giunti a nessuna conclusione se non che sembra impossibile tornare a quei metodi e ai tempi nei quali si organizzava dal niente e con niente qualsiasi cosa. Che mi dici.

È un peccato che non ci sia unione tra gli artisti italiani e determinazione comune nel valorizzare certe sonorità. Viviamo ognuno nel proprio castello incantato e siamo molto distanti dall’idea di unire le forze per creare concretamente una nostra identità musicale territoriale, un nostro marchio DOP riconosciuto nel mondo. In altri generi musicali, come l’indie o il rap, vedo che gli artisti fanno sforzi continui per sostenersi a vicenda e promuovere l’intero genere, prima ancora che il proprio disco. Sanno che remare tutti nella stessa direzione può portare solo cose buone a ognuno di loro. Nella musica ambient tutto ciò è impensabile e questo penalizza tutti gli artisti indistintamente e scoraggia le label, perché viene impedita la nascita di una vera e propria scena ambient italiana e, di conseguenza, si riducono gli spazi, gli eventi, le occasioni, i live, gli articoli sui magazine, i canali mediatici dedicati. Se a questo scenario autolesionista aggiungiamo anche il dramma sanitario che stiamo vivendo, diventa sempre più difficile guardare all’orizzonte. Mi piacerebbe incontrare i miei colleghi delle altre regioni attorno a un tavolo per discutere, confrontarci e trovare soluzioni per far fiorire anche da noi un genere che sono sicuro che in tanti apprezzerebbero se lo conoscessero a fondo. Ma soprattutto per creare coesione tra di noi, per essere solidali gli uni con gli altri, perché dopo tutto, le difficoltà che viviamo in Italia sono le stesse per tutti. 

This World, l'ultimo tuo disco, è uscito nell'Agosto dello scorso anno, che mi dici del futuro.

Sto lavorando a materiale nuovo e sto sperimentando nuove tecniche compositive. L’obiettivo è un nuovo album. Poi, come ti dicevo prima, mi è stato proposto di comporre un brano per una compilation e la richiesta mi è arrivata da una fonte inaspettata e molto gradita. Mi piacerebbe molto continuare a lavorare anche a progetti audiovisivi sulla scia della mia partecipazione nel periodo di lockdown a I Racconti del Balcone di Kinetta Spazio Labus. E poi ho nel cassetto un side project personale e chissà che non approfitti dell’entrata nel nuovo decennio per dargli una bella spolverata e lanciarlo.

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