Si presenta con una maschera da Divo Giulio e un disco di canzoni indie-pop. Andreotti, classe 1993, deve aver studiato a memoria il Bignami dei Cani: “Come diventare il prossimo fenomeno hype”. Perché gli ingredienti ci sono tutti: la maschera che attira l’attenzione, il disincanto post-adolescenziale, l’elettronica da cameretta. Un copione risaputo. I testi sono la solita frullata di citazioni nazional-popolari e scazzo suburbano. Raccontano un mondo dominato dal trash, in cui i soli momenti di vita sono il fumo, il sesso, Netflix.
La musica, tutta assemblata dal nostro, mette insieme batterie analogiche e giri di basso su cui un tastierone Casio stende gli accordi, lo sweep synth fa sweeeep e qualche loop sporca quanto basta per essere indie. La voce sussurra, canticchia, urla un po’ sfatta. Dietro quest’atteggiamento noncurante, comunque, si cercano soprattutto ritornelli orecchiabili, che puntano alle radio e alle bacheche. Ogni tanto spunta anche una chitarra, giusto per dichiarare che, niente paura, questa non è altro che una mutazione genetica dell’it-pop.
Se c’è una cosa personale è il nonsense che sfiorano i testi. Spesso la libera associazione di nomi e situazioni tocca l’assurdo, rompendo i cliché e manifestando disagio, ironia. Peccato che poi si ricada subito nello scazzo post-adolescenziale tanto à-la-page, dietro cui il nostro pare nascondersi. Questa sì una maschera, che speriamo vorrà togliersi.
Andreotti - 1972:
1) Eschimesi
2) Winnie the Pooh
3) Droga
4) Luis Miguel
5) Sassuolo
6) Colori
7) Aristogatti
8) Lombroso