Racconto dal futuro sulla pandemia

Di Christian Peverieri

22 Aprile 2020

Come vedremo, in futuro, questo periodo?
Condividiamo questo interessante spunto di riflessione, pubblicato nel blog Camminar domandando.

 

 

«Forse tu non ti ricorderai, ma quando eri piccolo ci fu un periodo in cui fummo costretti a rimanere chiusi in casa per oltre due mesi. Ricordi? Avevi appena imparato a dire bene la lettera R e, a differenza mia, quel nome così lungo lo pronunciavi scandendo bene proprio quella lettera difficile: coronavirus detto da te aveva un suono quasi simpatico rispetto ai tragici giorni che passammo. All’inizio, chiusero le scuole, ma tu eri anche abbastanza contento perché potevamo giocare insieme, fare passeggiate, andare al parco, scendere a giocare da tuo cugino, fare mega costruzioni coi lego, insomma sembrava una vacanza, anche perché fuori faceva ancora freddo e non avevi troppa voglia di stare fuori. Poi, col passare dei giorni, le cose si fecero più gravi e ci vietarono di uscire. All’inizio io e tua mamma, con tutte le accortezze del caso, disobbedivamo e ti portavamo al parco a fare delle passeggiate in solitaria, anche perché, pensa, era vietato pure stare nelle zone gioco per i bambini.

Poi la situazione peggiorò ancora e cominciammo a preoccuparci un po’ anche noi: la mamma aspettava tuo fratello e doveva stare maggiormente attenta, inoltre ogni giorno dicevano alla tv o nei quotidiani che se il virus non se ne andava la colpa era di chi usciva a fare una passeggiata in solitaria come facevamo noi, o di chi si allenava, sempre in solitaria: “runner” li chiamavano. Stavano costruendo meticolosamente la diffidenza verso il vicino, stavano costruendo odio verso capri espiatori completamente innocenti per nascondere le responsabilità politiche. Così, per proteggerci da eventuali brutte situazioni, cominciammo a evitare i parchi. Quando uscivamo cercavamo di imboscarci in piazzali deserti e nascosti dove speravamo non passassero le pattuglie: anche solo allontanarsi senza motivo oltre i 200 metri da casa o portare il pallone per farti giocare era considerato un reato e si rischiavano multe pesanti. Che poi faceva strano questa cosa delle multe, dal momento che molta gente era costretta a casa senza lavoro e cominciava a fare fatica ad arrivare a fine mese visto che affitti, bollette e spese varie continuavano senza nessuno stop, senza nessuno sconto. Lo stato aveva dato 600 euro una tantum come sussidio per chi aveva perso il lavoro o stava a casa, ma naturalmente, oltre a non essere sufficienti, era molto complicato ricevere questo sussidio e non tutti rientravano nei termini per fare richiesta. Ci furono anche un po’ di polemiche perché, a quanto pare, anche alcune categorie molto benestanti richiesero ed ottennero questo sussidio, mentre altri in condizioni economiche molto più precarie non ci riuscirono.

E pensa, tutto questo succedeva mentre da una parte ci bombardavano con il mantra del “dovete restare a casa, imbecilli” e dall’altra c’era moltissima gente che era costretta ad andare a lavorare, non in posti di lavoro fondamentali come i supermercati, le farmacie, nell’assistenza alle persone ma, per esempio, nelle industrie belliche o nelle fabbriche dei padroni di Confindustria che neanche in una situazione drammatica come quella volevano diminuire i loro profitti. Alla quarta settimana di questo finto lockdown, a oltre 150 mila contagiati e 20 mila morti ufficiali, la curva dei morti e dei contagiati cominciò un pochino a frenare, tanto da far dire a politici e imprenditori che si doveva riaprire a tutti i costi perché altrimenti l’economia non si sarebbe più ripresa. Ma era solo una sceneggiata perché tanto le aziende non avevano praticamente mai chiuso del tutto. In quel periodo solo in Lombardia, erano attive moltissime aziende (già allora dissero che oltre il 40% delle aziende non aveva mai chiuso) ma comunque bastava un’autocertificazione da inviare al prefetto per aprire o riaprire, fu così che il virus aveva continuato a diffondersi, soprattutto in Lombardia. E invece di chiudere tutto, i giornali tipo Repubblica, buttavano benzina sul fuoco pubblicando notizie secondo cui c’era un sacco di gente in giro senza motivo. Dopo “irresponsabili", cominciarono a chiamarli “furbetti” ma, come ti ho già detto, era tutta una montatura per distogliere l’attenzione dalla gravità della situazione. C’erano perfino le dirette tv degli inseguimenti effettuati con gli elicotteri contro solitari “runner” che una volta presi venivano denunciati e pesantemente multati, anche se con il loro agire non mettevano a rischio contagio nessuno. Ogni giorno i giornalacci mainstream emanavano il bollettino dei controlli e dei denunciati, e sempre erano percentuali bassissime quelli che uscivano senza motivo o senza autocertificazione, mentre mai una volta, e sottolineo una, si parlò di dare multe alle aziende che avevano tenuto aperto nonostante i divieti o che avevano disatteso alle norme di sicurezza. E furono tantissime. Per non parlare dei trasporti: ogni giorno migliaia di persone si affollavano nei mezzi pubblici per andare a lavorare, ma quello non era un problema. Il nostro sindaco di allora, un ignobile imprenditore prestato alla politica dei bulli, che tanto andava di moda allora, ricordo che disse che non poteva potenziare i servizi pubblici perché non avevano soldi e che i lavoratori avrebbero dovuto usare le auto per ritornare a lavorare, infischiandosene dei problemi ambientali generati dall’eccessivo inquinamento (come se quello poi non fosse un problema enorme e tra l’altro collegato all’emergenza) e del fatto che magari non tutti avevano un’auto. Era tutto così surreale. E la gente sui social si incazzava. Sembravano tutti degli automi che reagivano a comando, incapaci di riflettere, seguivano l’onda che portava ad odiare il proprio vicino invece di un governo di incapaci che non riusciva a frenare questa pandemia per compiacere i ricconi, che nel frattempo continuavano a fare soldi a palate mentre chi era costretto in casa cominciava a sentire le difficoltà economiche e chi andava a lavorare lo faceva con il concreto rischio di contagiarsi.

Ci fu anche uno di questi ricconi di cui non ricordo il nome ma che era considerato un “imprenditore illuminato”, uno di quelli della sinistra moderata e progressista che piacevano tanto a quel tempo, che a un certo punto disse che bisognava fare dei prelievi forzosi su tutti i conto corrente degli italiani. Secondo lui tutti dovevano pagare alla stessa maniera, anche chi aveva poco o niente. Naturalmente in molti a sinistra lo applaudirono. Lo stesso sindaco di Milano, una delle città maggiormente colpite non per colpa dei “furbetti” ma per una gestione iniziale criminale che come slogan recitava “Milano non si ferma”, disse che non si poteva fare una patrimoniale, tassare solo i ricchi, perché questo avrebbe creato delle disuguaglianze tra gli italiani, e quindi tutti avrebbero dovuto contribuire. Capito? Una patrimoniale avrebbe prodotto delle discriminazioni e delle disuguaglianze verso i “poveri” ricchi che quando tutto andava bene si tenevano tutti i profitti sfruttando il lavoro delle persone a 4 o 5 euro all’ora lorde e quando tutto andava male “condividevano” magnanimamente le perdite, perché sarebbe stato davvero ingiusto nei loro confronti chiedergli di toccare i loro profitti! Quando invece proprio far pagare a loro, i veri responsabili non solo del virus ma anche delle condizioni economiche, ambientali e sociali nelle quali stavamo precipitando, sarebbe stato etico e giusto e avrebbe significato dare un taglio netto o almeno simbolico proprio alle ingiustizie e alle disuguaglianze. Io quando sentivo queste cose mi imbestialivo molto, mi domandavo come fosse possibile che la gente si lasciasse ammaestrare così da questi personaggi, che si lasciasse trasportare ad odiare o accettasse di buon grado tutto quello che gli veniva propinato alla televisione. Mi domandavo perché venissero accettate così supinamente queste disuguaglianze e queste ingiustizie.

E pensa, quando raggiungemmo i 20 mila morti e i 150 mila contagi (ma erano almeno dieci volte tanto i dati reali), nessun politico si era ancora dimesso, sembrava tutto normale, non c’era nessun responsabile politico, la colpa era sempre e solo dei comportamenti personali dei pochi irresponsabili. E in effetti, a voler ben vedere era proprio così, solo che i veri irresponsabili non erano i corridori solitari ma quelli che stavano lì, a sputare ogni giorno dati drammatici quasi come fosse elencare la classifica del campionato di calcio, a prendersela con chi andava a fare la spesa senza mascherina, a dire “dovete stare a casa, imbecilli”, a prendere decisioni politiche scellerate e criminali, a proteggere direttori di case di riposo che avevano fatto una strage di anziani nelle strutture da loro dirette per esempio, o a far diminuire i tamponi sanitari per far vedere che la situazione era sotto controllo in modo da poter far ripartire l’economia il prima possibile. Erano sempre loro gli irresponsabili che avevano smantellato la sanità pubblica in favore della sanità-azienda privata, una classe dirigenziale, di destra e di supposta sinistra, criminale che come i presidenti del Veneto e della Lombardia, un giorno diceva una cosa e il giorno dopo il contrario: andarono avanti così per giorni prima di rendersi conto di aver fatto una montagna di cazzate, anche se mai lo ammisero!

I movimenti, che già non godevano di buona salute, al principio rimasero spiazzati. Ma non ci volle molto perché ci accorgessimo che quello non era il momento di rimanere bloccati e zitti in casa, che quella pandemia sarebbe stata il pretesto per nuove restrizioni della libertà, per nuove ingiustizie e nuove disuguaglianze. In poche parole che il sistema, non sarebbe rimasto immobile aspettando la fine dell’emergenza ma ne avrebbe approfittato per trarre ulteriori profitti, e vittime, anche da una situazione drammatica come quella. E soprattutto di rendere “normali” strumenti di restrizione delle libertà che venivano pensati come emergenziali, come il tracciamento degli spostamenti, per esempio. Noi cercavamo come potevamo di far passare il messaggio sulle responsabilità politiche e del sistema capitalista giunto al suo collasso, cercavamo anche di costruire campagne di solidarietà per i più deboli, come la campagna “sanatoria subito” per tutti i migranti definiti irregolari che erano stati abbandonati al loro destino dalle istituzioni, e campagne politiche che garantissero un qualche ritorno economico alle famiglie, come quella per il “reddito universale di quarantena”, che divenne un movimento globale, anche se molto disarticolato, perché furono moltissimi i movimenti, soprattutto quelli indigeni in America Latina, che si organizzarono per pretendere questo reddito universale in favore dei più poveri. Qui era tutto molto complicato anche perché i politici parlavano sempre e solo di sostegno alle imprese e delle loro drammatiche perdite, anche del 20% per quell’anno. Nessuno però diceva che quel profitto aveva il sudore di chi rischiava la vita per andare a lavorare, nessuno diceva che il 20% di profitto in meno per i ricconi significava comprarsi una casa o uno yacht in meno, mentre per moltissime famiglie il non poter lavorare significava non aver i soldi per comprare da mangiare o per poter pagare le bollette, cose ben più basilari.

E poi c’era la retorica odiosa del restate a casa: divennero tutti buoni, tutti attenti ai valori importanti della vita, si moltiplicavano i messaggi di personaggi famosi che dalle loro case lussuosissime magari pure con il giardino, invitavano le persone a stare comodamente sedute sul divano a leggere libri, a cucinare come cuochi provetti, a prendersi tempo per sé e per la propria famiglia. Come se le case di tutti gli italiani fossero quegli angoli lussuosi e di pace che avevano loro, ignorando completamente i problemi di convivenze difficili e violente subite da molte donne, le difficoltà di vivere in abitazioni fatiscenti, senza servizi o in coabitazione con molte altre persone, o ancora la paura di venire sfrattati perché non si avevano i soldi per pagare l'affitto. E poi si arrabbiavano e passavano il loro tempo sui social a insultare gli irresponsabili o a rilanciare bufale di code chilometriche nelle autostrade o di piazze stracolme di gente. Erano completamente fuori dalla realtà, perché al di fuori dei social e delle televisioni, come ti ho già detto, la maggioranza delle persone avevano ben altri problemi, dovendo lottare per cercare di sopravvivere in una situazione ogni giorno più complicata: chi andava a lavorare pregava di non ammalarsi, chi era rimasto senza lavoro doveva inventarsi come sopravvivere, come riuscire a risparmiare e a trovare da mangiare. E poi c’erano tutte le aziende che offrivano servizi, acqua, gas, telefono, banche che ogni giorno mandavano mail scrivendo “vi siamo vicini” ma non c’era una che, non dico sganciasse grana a fondo perduto, ma nemmeno che pensasse a sospendere per quei mesi le bollette, gli affitti, i mutui, i pagamenti. Su quel versante tutto continuava senza alcuna pietà, ma li avevamo vicini.

Tu eri piccolo e quindi per fortuna non ti riguardava ma i bambini più grandi cominciarono a fare lezioni online, didattica a distanza la chiamarono. Tutti osannavano questa nuova forma “evoluta” di insegnare ma ben presto ci si accorse che erano davvero pochi quelli che a casa avevano a disposizione un computer o anche solo una stampante per poter fare i compiti, senza considerare i problemi linguistici o di bassa scolarità di molti genitori o ancora l’impossibilità dei genitori stessi a sostituirsi agli insegnanti per seguire i figli in questa fase. Chi aveva figli in età scolare era disperato, fu un disastro e ci vollero anni per recuperare. Come se il problema poi fossero solo le nozioni, ricordo che gli studenti lamentavano che la didattica a distanza aumentava le dinamiche classiste e assicurava il diritto allo studio solo a chi aveva i mezzi per permetterselo. Fu un fallimento totale anche perché non c’era uniformità nell’insegnamento, con alcuni insegnanti che bombardavano di compiti i propri alunni mentre altri sparirono per mesi, con chi faceva lezioni in diretta ed altri registrate, tutto era mediato dagli strumenti tecnologici o dalla loro mancanza e questo fu un grande problema che oltretutto mise in seria difficoltà gli studenti.

Arrivarono anche le feste. Passammo una bella Pasqua. La mattina eri molto emozionato perché c’era l’uovo con la sorpresa da aprire e ne trovasti addirittura 4, regali di zii e nonni. C’era il sole ed eri felice e sereno. Ricordo però che quando il pomeriggio uscimmo con tuo cugino per nasconderci in uno di quei parcheggi di cui ti raccontavo prima, tu ti innervosisti molto perché non era possibile nemmeno giocare tranquilli: ti chiedevamo di non fare chiasso per paura che qualche infame chiamasse gli sbirri, di non toccare niente per strada per paura del contagio, insomma è stato veramente difficile anche perché non volevamo farti pesare questa situazione ma non potevamo nemmeno farti vivere brutte esperienze e siccome nel nostro quartiere giravano un sacco di pattuglie uscivamo tutti molto agitati e pieni di ansia. Anche gli altri ponti, quello del 25 aprile e del primo maggio li passammo in casa. Le misure restrittive si erano leggermente attenuate, in quel momento quasi tutti avevano ripreso a lavorare, ma erano sempre chiusi i bar, i parchi e tutti i luoghi di ritrovo, era vietata la socialità ma non stare ammassati nei posti di lavoro. Era davvero incredibile quella situazione, ma fu possibile grazie a una propaganda potentissima che ogni giorno ci bersagliava di messaggi di questo tipo. Era sempre più difficile, sia per i tanti giorni costretti in casa, sia per il crescente calore di quelle settimane. Il 25 aprile, come tradizione, la mattina uscimmo per una passeggiata e comprammo il boccolo per la mamma. Virus o no, il boccolo era una tradizione da rispettare anche a costo di rischiare una multa. Con il passare dei giorni fu sempre più difficile tenere gli italiani, e tenere anche te, in casa. Fatalità durante tutta la quarantena non piovve praticamente mai e faceva davvero tanto caldo con giornate che invitavano a stare all’aria aperta e a prendere il sole.

Eppure, nonostante la vitalità dei tuoi quattro anni, per tutto quel maledetto periodo di quarantena fosti un bravo bambino. Dicevi sempre “quando finisce il coronavirus faremo” questo e quello: feste con gli amici tuoi, aperitivi con gli amici, mangiare la pizza di Mars al Rivolta, con molta determinazione e anche con spensieratezza e fiducia, perché abbiamo fatto di tutto per farti comprendere che la situazione che stavamo vivendo era transitoria, che poi tutto sarebbe tornato alla “normalità”. È stato un rischio, perché sapevamo invece benissimo che poi non sarebbe tornata quella “normalità”, ma sapevamo che ci sarebbe stato da lottare, come al solito. Quando finalmente e lentamente ci lasciarono uscire era già primavera inoltrata, quasi estate, solo qualche ora di libertà che divenne fondamentale per ricominciare a intrecciare le nostre vite per ricostruire un mondo nuovo lontano dalle ombre del passato».

Credit Photo Laboratorio Morion

 
 
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