Diario di una quarantena - V settimana

La vita in zona rossa vista da Sherwood

11 Aprile 2020

La settimana Santa in Quarantena volge al termine l’ennesimo DPCM: misure restrittive estese sino al 3 maggio.

Sebbene non fosse una grossa novità, dato che, le notizie veicolano prima ancora delle Conferenze Ufficiali del Consiglio dei Ministri, la ‘comunicazione ufficiale’ mi ha creato, chirurgicamente, un buco in petto.
Quattro anni fa, con l’esame di medicina legale, imparai che negli esami autoptici si analizzavano i fori d’entrata ed i fori d’uscita delle pallottole. Ho immaginato, macabramente, una mia autopsia in vita: il buco si è esteso come per l’esplosione di una super-nova, il mio organismo fagocita le farfalle nello stomaco, il brodo di giuggiole ed i grilli per la testa, sto divenendo dello stesso grigiore della parete antistante il mio sguardo.

Il mio malumore si riversa bulimicamente sul mio corpo, i quali istinti quasi mai prendono più il sopravvento. Lo stomaco non brontola, il ginocchio non scricchiola, le mani non schioccano, la testa non duole. Morte celebrale? Piuttosto: apatia, sfiducia, suicidio dei sogni.

Bando alle ciance psicologiche, frutto della lettura Sartriana delle ultime settimane, vorrei ora scrivere a proposito del dissing pubblico triangolare: Conte (al vertice) e Salvini – Meloni (alla base).
Ho percepito in Conte un’iperattività autoindotta dalla stanchezza. Lo stesso, estenuato da critiche sul suo operato, ha deciso di mettere a tacere le chiacchiere, imponendosi dall’alto di un processo inquisitorio. Come ovvio ai più, quanto accaduto, non ha fatto altro che dare un assist notevole ai due, che - vorrei dire forse esagerando - giustamente, dopo lo sputtanamento globale, non le mandano prettamente a dire.

Quel che è apparso ovvio è che, in questa situazione, si perdono (e in che maniera!) le staffe. Conte ne ha dato una dimostrazione per antonomasia, salvo poi farcire le sue parole di retorica politica, tra auguri (laici) per le feste pasquali, sbandieramenti di sentimenti nazionalpopolari ed inviti all’unità, (ma fai sul serio Giuseppe?).

Abitiamo in una nazione bipolare. Patria degli scontri politici. Patria degli scontri condominiali.
Ma alla fine cos’è un consiglio dei ministri o un dibattito parlamentare, se non una riunione nazionale di un condominio?
Un condominio composto da detenuti domiciliari, dalla quale cadono pietre dal lastrico (e crollano ponti) e si creano macchie di umidità nei garage grosse e stagnanti (con correlate malattie per ambienti insalubri).

Ed eccola lì, la signora del piano terra, con bandiera al balcone ed arcobaleni al vetro, che rimbrotta la signora di sopra che ha steso lunghe lenzuola gocciolanti. Ed eccolo lì, il vecchio petulante del secondo piano che fa presente al bambino di non poter scorrazzare nel cortile allegramente con la bici perché «se cadi, chi ti cura?».
Siamo figli di abitudini malsane, impigriti da pigiami color celeste e ciabatte usurate, imbronciati e opachi.

Ma da domani, si spera, nella Resurrezione.

 
 
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