Diario di una quarantena - IV settimana

La vita in zona rossa, vista da Sherwood

4 Aprile 2020

A che settimana di quarantena siamo arrivati? Che giorno è? Siamo davvero di nuovo a sabato?

Ebbene sì, eccomi qua con l’appuntamento settimanale di una rubrica che mai avrei voluto creare. O che comunque due mesi fa sarebbe stata un’ipotesi alquanto recondita.
Frase canonica da incipit: «un’altra settimana è trascorsa…» in una commedia d’Eduardo avrebbero risposto «E anche questo l’avete già detto!»

In questi sette giorni si sono accavallate nutrite polemiche politiche: tra ordinanze di equiparazione di genitori con figli ai padroni con cani, il DPCM che ha prolungato la quarantena sino a Pasquetta ed ipotesi di vacanze al sud sfumate come cubetti di ghiaccio al sole (ah no, questa non c’entra).
Il sole, tra l’altro, fortunatamente per il bucato primaverile, ha splend… (?), ehm…, dicevo, sole che, per tutta la settimana, era lì, fisso nel cielo, a splendere. (Pericolo scampato).

Il sito dell’INPS è andato in crash, ma su questo ho già visto sei mila meme di paragoni con PornHub, e non vorrei disquisirne ulteriormente. [Strano come anche i post che dovrebbero risultare divertenti diventino noia intrisa di banalità in un periodo come questo].

Intanto i primi due giorni della settimana sembrano essere riempiti dal palinsesto televisivo: Harry Potter tiene incollati allo schermo milioni di italiani, e forse anche per via di questa passione rinata, sto rileggendo i libri della saga, giusto per poter aggiungere un’altra spunta nella lista di cose fatte durante la clausura coatta (cose completamente inutili, manco a dirlo).

Per il resto anche la convivenza è mutata: il mio gatto ha poche occasioni per distruggere oggetti (specie se modellini in Lego) prima che qualcuno lo redarguisca. Per questo motivo ha iniziato ad organizzare festini illegali di notte, dove, in preda a deliri di solitudine, esegue capriole, salti, e rumori molesti («Ma che ca…sta a fa sto gatto?»).

Gli umani in casa (due), invece, commettono i primi errori dettati dagli sbalzi di umore. I primi litigi causati da frustrazione repressa. Le prime crisi di panico per quel che sarà dopo questo periodo.
«Nulla che non possa essere ‘migliorato’ da un ciambellone bicolore», pensavo erroneamente con ottimismo.
Ed invece no, non c’è nulla di più sbagliato di cucinare un dolce in una casa in cui i nervi son a fior di pelle. Piuttosto che calumet della pace, questo diverrà un composto di rabbia misto a risentimento, che per quanto siano comunque due elementi, non assumono né forma né colore.

Le notti sono sempre più lunghe dei giorni che, inesorabilmente, trascorrono: guardo il tramonto del sole dietro i Colli Berici dalla mia finestra e sento allungarsi su di me un’ombra scura. La sera mi coglie insieme alla consapevolezza di riepilogare.

Datemi dei feedback a riguardo, c’è anche in voi quella necessità impellente di organizzare la giornata nonostante non abbia alcun bisogno di un organizer?

Più o meno è così: ore 9 caffè. Ore 10 giornale al chiosco in Piazza. Ore 11 lettura e studio. Ore 13 pranzo, possibilmente salutare. Ore 15 spuntino, che manda a fanculo il pranzo salutare. Sino a quando, tra smartworking ed una sigaretta, la sfera arancione si nasconde tra le piegature dei colli.

Che poi che sono quei colli? Dove sono le montagne di casa mia? Dov’è il Vesuvio aldilà del mare? E cosa significa che quest’anno a Pasqua, non scendo?
Ed è tutta qui la concentrazione insofferente: la consapevolezza di dover restare, mista allo sconforto di quel che sarà.

 
 
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