Con Nati Diversi di Gianni Bismark torna uno storytelling potente e genuino

“Abbiamo fatto danni per sfogarci” e raccontarli

28 Marzo 2020

Sarà il nome cosi tedesco che porta con sé già, sarà la voce e la vocazione street, popolare di Gianni, ma l’imponenza delle sue canzoni arriva diretta, ricca eppure chiara e limpida come una giornata sole.

Nati Diversi è altro discorso dal precedente Re Senza Corona per timbri, temi, sonorità e mood generale. Quello che lascia colpiti è la vena maggiormente autoriale del tutto, dove si intende qualcosa di più intimo, leggermente meno di strada e in questo la musica del Gianni, che ora gioca in nazionale come novello Capitan Tsubasa, ne ha giovato.

Il motivo di per sé è molto semplice: quello che racconta sembra meno il tipico racconto del rapper che fa la vita difficile, suona assai più genuino, autentico, tagliato su misura sulla sua persona perché la sua persona ne esce senza fronzoli.

Gianni sa essere, poi, l’esatta spiegazione del perché il rap non è il nuovo cantautorato come spesso troviamo in bocca a vari critici musicali. Il rap non è il cantautore delle nuove generazioni perché le racconta, le rappresenta, certo, ma non deve essere sempre impegnato, può essere anche cafone o mischiare queste due forme. Può mostrare i lati frivoli e unici quanto quelli scuri e densi.

Ad esempio mi ritrovo nella semplicità dei momenti di vita citati da Bismark in Nse Vedemo Mai, nella quale basta una linea melodica di chitarra e i rumori del traffico romano a creare un’immagine forte, dove semplicità e sostanza la fanno da padrone all’unisono. Personalmente questo è il capitolo due simbolico di So Finiti I Giochi (contenuta nel precedente album).

Lo stereotipo del cantautore italiano invece lo vede impegnato «anche quando se ne va al cesso»… Gianni invece può mettersi a rappare su un beat come quello di Gianni Nazionale risultando credibile, assieme al resto della musica dell’album, conscious, consapevole senza doverlo ribadire nell’atteggiamento delle parole.

Bismark così facendo racconta la sua esistenza dove il passato è un personaggio importante, semmai il conflitto dello storytelling che riesce a superare attraverso la musica, catalizzatrice catartica del male passato, ma in questa prospettiva retrò ci stanno pure i momenti belli e solari di quando s’era ragazzini (si veda il pezzo con Franco 126). Qui, forse, sta la svolta rispetto al Re Senza Corona: la narrazione di un passato e di un presente che iniziano ad essere consapevoli di quanto vi siano raggi di luce pure nel mare in tempesta, nella caotica città dell’interiorità, individuabili solamente tramite semplicità e genuinità. Fattori i quali pare quasi banale dirlo ma vengono dati per scontati specialmente nella scena urban italiana, dove pare che se non sei ampolloso nel vestiario e negli atteggiamenti non sei nessuno.

L’intero cammino del disco sembra impostato come un percorso di nascita, morte e resurrezione, tendendo verso un qualcosa di maggiore, tanto spirituale quanto umano. Si parte, infatti, da Nati Diversi arrivando alle rime di San Francesco, dove Gianni gioca col suo fischio rappresentando il senso di libertà, finendo in Fateme Santo.

Ma questa è puramente la lettura di chi vi scrive. L’ulteriore valore di questo album, e motivo per cui va spinto, è che è talmente empatico che ognuno può trovarvi un senso per la propria terapia.

È davvero una seconda prova bella, dove morte e vita, intimità e potenza, semplicità e ricchezza riescono ad incontrarsi.

 
 
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