"Nulla, solo la notte" o della cotta letteraria per John Williams

La recensione del romanzo d'esordio dell'autore statunitense

20 Marzo 2020

Il Vocabolario Etimologico Italiano definisce imprescindibile qualcosa «che non si può, o da cui non si può prescindire e quindi che non ha o non tollera eccezioni» e per me, letterariamente parlando, il sinonimo di imprescindile non può che essere John Williams.

Chiunque di noi ha la sua stella polare nel mondo delle lettere, i più fortunelli vantano pure un cielo maggiormente ricco, forse addirittura una piccola costellazione di nomi a cui rivolgersi. E allora, se si parla di letteratura americana degli anni 50'-60', come vi dicevo, l'astro più scintillante del mio personale firmamento narrativo è incarnato da Mr. Williams.

Un amore che dura da alcuni anni, scoperto grazie alle riedizioni italiane curate da Fazi editore, e che è iniziato con il suo testo maggiormente apprezzato.
Il caro John mi ha conquistato, infatti, prima con Stoner, opera del 1965, che narra la vita di un normale professore universitario di letteratura. Un lavoro che è un mix fatto da una purezza di stile ineguagliabile e una trama quasi impalpabile capace di stravolgervi l'anima. Poi, mi ha trascinato e definitivamente colpito nel polveroso fine Ottocento americano per assistere alle battute di caccia dei bisonti e al processo di formazione del giovane protagonista con Butcher's Crossing. A breve mi
porterà a ripercorre l'ascesa politica di Ottaviano con Agustus ma appena adesso mi ha spiazzato con Nulla, solo la notte.

Il titolo nella traduzione ricalca l'originale, Nothing but the night appunto, e già da qui, da questo nome, quello che uno si aspetta è di trovare un'evoluzione o forse, meglio, una continuazione del solco tracciato da quel mostro sacro che è stato F. Scott Fitzgerald. Una cosa del genere, ça va sans dire, te la puoi permettere solo se pensi di essere all'altezza di gareggiare con una pietra miliare.
Ve lo dico subito, senza lasciarvi sulle spine, che, anche se onestamente non è paragonabile agli altri lavori, il mio caro Williams è riuscito nell'impresa, ha raccolto l'eredità dei ruggenti anni '20 ed è andato oltre e lo ha fatto, appunto, proprio grazie a questa storia, la sua opera prima, edita nel 1948.

Nel corso delle pagine il lettore o lettrice prende parte per alcuni giorni alla vita, ma soprattutto all'angoscia e allo spleen, del giovane Max Evartz.
Una San Francisco appena accennata, una casa tanto di pregevole architettura quanto buia, grandi hotel, bistrot e locali di ogni tipo sono il palcoscenico degli spostamenti spesso casuali del protagonista. Pure coloro che dialogano con lui, un novero di comparse da contare sulle dita di una mano, sono di fatto quasi più uno sfondo parlante che dei personaggi. Le loro interazioni, passate e presenti, sono certo importanti ma lo stato d'animo di Max e il continuo moto senza meta
diventano i reali pilastri che tracciano l'ossatura del romanzo.

Una prosa pulita, scorrevole, quasi languida, racconta capitolo dopo capitolo le vicende di questo giovane, triste e a tratti saccente borghese annoiato di Max. Una figura che si comporterà anche in modo inqualificabile, che si trascinerà spaurita e allo stesso tempo arrogante tra le strade californiane, capace di fare provare a tratti empatia e tenerezza ed immediatamente dopo fastidio e rabbia in chi legge.
Al termine di queste centocinquata pagine avrete assistito alla narrazione di una pulviscorale, solitaria e sperduta esistenza. E tutto ciò non potra che non ronzarvi in testa per ore o forse giorni.
Proprio quello che dovrebbe ottenere un romanzo.


Autore: John Williams, texano classe 1922, è stato autore anche di The Broken Landscape-poems e The Necessary Lie, due raccolte di versi.

Traduzione: Stefano Tummolini.

Casa editrice: Fazi editore, fondata nel 1994, si occupa di narrativa italiana e straniera e saggistica.
Tra i vari autori edita anche Elizabeth Strout, Paul Beatty e Elizabeth Jane Howard.

 
 
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