Jesse The Faccio - Verde, come crescere nel modo giusto

La recensione del nuovo album del lo-fi songwriter padovano

16 Marzo 2020

Quando Jesse uscì due anni fa con I Soldi per New York fu una piacevole sorpresa perché era chiaro che staccasse rispetto all’indie andante per la maggiore. Era ancora un periodo florido, dove certe sonorità alternative sembravano veramente diverse e capaci di creare una nuova area tanto sotterranea quanto pop. Poi sappiamo come è andata: tanti hanno fatto giustamente il salto nel campionato di Serie A ma si sono standardizzati nella formula che li ha resi famosi. Giustamente nel Belpaese se non si finisce a dare al pubblico esattamente quel che vuole, non si è contenti.

Quando Jesse uscì qualche mese fa con Caviglie era chiaro il proseguo stilistico col primo lavoro, e allora mi chiesi: «non è che anche lui finirà per rifare le stesse cose che lo han fatto conoscere?». Una domanda semplice, da semplice ascoltatore.

E invece le storie non finiscono sempre alla ________ (si metta qui qualsiasi it popper tranne Giorgio Poi): Jesse ha pubblicato venerdì 13 marzo Verde, un album rimescolante le carte del cantautore padovano. Per dare le coordinate, se prima era vicino ai sound lo-fi dinoccolati di Mac DeMarco e Beach Fossils, ora punta dritto verso quelli di Crocodiles ed Eagulls.

Se c’era una cosa l’artista poteva fare era dare maggiore risalto alle chitarre, alla sua stessa voce, elementi prima sciolti dentro il ghiaccio di un drink lasciato sul tavolo a perdersi. Ora invece la musica ricorda la presa dura di americani bevuti consecutivamente, di quelli che non pensi steccheranno, perché hai mangiato, ma sempre americani sono. Verde è un album da trangugiare, musica con cui adempiere al proprio ingrato compito di bevitore, per tempi dove non sai dove andare a parare.

E senza sapere dove andare a parare, su cosa ti vuoi focalizzare? Sui dettagli, magari apparentemente banali ma che il tuo cervello usa per costruire i ricordi. Allora ecco uscire fuori le dita gialle, le auto da guidare oppure i calzini sulle caviglie, a cui ognuno può trovare il senso che vuole. Jesse nel precedente lavoro aveva già le giuste attenzioni, ma in Verde diventano più a fuoco, nitide e comprensibili. Evoluzione pure questa, ma forse la parte che più amo è la velocità. Tre quarti del disco corrono, battono, come se avessero l’urgenza di arriva prima e forte, come se la prima verve Macdemarchiana si fosse trasformata in quella Eagullsiana.

L’insieme di tali caratteristiche fanno di Verde un album compiuto, una sorta di racconto di esperienze quotidiane in cui tutti possiamo ritrovarci, per fortuna una voce fuori dal coro ma allo stesso tempo con potenzialità pop non da poco. Le melodie e le parole giuste ci sono. Un lavoro che probabilmente dirà altro col passare del tempo in un processo di stratificazione necessario a farlo proprio appieno. Intanto aspettiamo di sentirlo dal vivo.

 
 
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