a cura di di Mirco Salvadori

Il suono dell’architettura, l’architettura del suono

Stefano Meneghetti e la Cité Radieuse

14 Marzo 2020

L’architettura è musica nello spazio, una sorta di musica congelata.
(Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling )

Iniziamo con calma, molte sono le cose da scoprire e conoscere. Iniziamo quindi da chi ha ideato e reso possibile questo sogno, permettimi di chiamarlo con questo nome. Chi è, di cosa si occupa e soprattutto, cosa sogna Stefano Meneghetti?

Difficile descriversi, alla fine mi sento come un esploratore mancato che utilizza ogni mezzo (grafica, video, immagini… musica) per ricercare personaggi e luoghi anomali.
Sono nato a Milano il 25 luglio 1964.
Ora vivo a Venezia, città magnifica di cui ho intuito l’essenza solo vivendoci.
Dalle 8 alle 18 lavoro a Treviso come grafico compulsivo.
Ho avuto la fortuna di poter collaborare come grafico e video maker per Gary Numan, Franco Battiato, Byetone, Lorenzo Palmeri e molti altri, ma il sogno nel cassetto, fin da bambino, è sempre stato quello di produrre un progetto musicale coinvolgendo gli amici più cari.
Alle volte, rincorrere i propri sogni può essere molto faticoso, meglio cercare di raggiungerli insieme a qualche amico.
C’è un proverbio africano che dice "se vuoi andare veloce, corri da solo; se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno".

"... Per parlare dei suoni bisogna cominciare facendo silenzio. Fare silenzio. Strana espressione. Come fare architettura, quando questa descrive il vuoto attraverso le forme. Vediamo le forme e intuiamo il volume. Fuori e dentro. Silenzio e vuoto. Stessa cosa." (Dario Paini)
Inizierei da queste intense righe scritte da Dario Paini sul book compreso nel progetto Cité Radieuse, per iniziare a esplorare il territorio nel quale ti sei immerso, per iniziare a comprendere il tuo percorso che si snoda tra suono e architettura.

Dario è uno degli amici che ha partecipato al progetto; un ingegnere atipico che progetta ambienti dedicati alla musica. Ha partecipato al progetto con uno splendido testo che potete leggere all’interno del libro.
Joni Mitchell una volta disse: "Io vedo la musica come fluida architettura"
Nel progetto Disco+Libro abbiamo utilizzato un’ipotetica rosa dei venti con 4 punti cardinali: luce / suono / ambiente / uomo.
Ogni città, con i suoi edifici, case, appartamenti, stanze, ha un suo particolare suono, odore, storia. Ogni luogo riflette attività umane, relazioni col mondo e, di conseguenza, con noi stessi.
L’idea che accomuna musica e architettura ha radici profondissime. I Greci trasferirono in architettura le proporzioni che già avevano ravvisato proprio nella musica.
Ci sono sicuramente tanti punti di contatto tra musica e architettura. In musica si parla di armonia, di equilibrio, di proporzione, di ritmo; tutti termini che riconosciamo anche in campo architettonico. Lo stesso Le Corbusier ha paragonato l’invenzione del sistema di misura “armonico”, il Modulor, basato sulle dimensioni dell’uomo, ai concetti musicali.

Un album, un cd e un book. Suono, scrittura, pensiero architettonico, design, immagini. Parliamone.

L’album “Cité Radieuse” è un progetto trasversale, difficile da inquadrare in un genere. Se potessi, la classificherei come musica visuale.
Ci sono influenze di vario genere: da Battiato, con il suo album “Campi magnetici”, alla ricerca che diventa stile di Teho Teardo. Da Peter Nooten & Michael Brook fino ad arrivare alla sensibilità sperimentale e intuitiva di Holger Czukay. E poi Alberto Giacometti, Lorenzo Mattotti, Alessandro Gottardo, Jiro Taniguchi, Chris Ware e molti, molti altri… Tante influenze, perché esperienze e percorsi diversi ci portano inevitabilmente ad essere personaggi in perenne mutamento.
L’architettura come la musica è un’esperienza pervasa da una forte energia collettiva. Secondo Brian Eno “la qualità dei lavori prodotti nello stesso tempo e luogo è dovuta più alla frizione tra le persone presenti sulla scena che al lavoro di un singolo artista”.
Cité Radieuse è un lavoro corale in cui ho coinvolto alcuni amici, “les amis”..
Aver lavorato al fianco di personaggi del calibro di Giuseppe Azzarelli e Massimiliano Donninelli, entrambi compositori e direttori d'orchestra, di musicisti talentuosi come Yannick da Re (percussioni e canto Kargiraa), Cristian Inzerillo (basso elettrico) e di un produttore artistico eclettico e competente come Alessandro Rorato (Creative and Sound assembler) ha fatto sì che le suggestioni e le immagini si espandessero oltre il mio personale “immaginario”, creando scenari caleidoscopici.
In particolare, il pianoforte del maestro Azzarelli è un esempio di note strutturate per ricreare il rapporto armonico tra lo spazio e l’essere umano.

Giungo al punto centrale che è anche il titolo dell'intero progetto: Cité Radieuse, la famosa unità abitativa disegnata da Le Corbusier e costruita a Marsiglia tra la fine degli anni '40 e i primi anni '50. Quali sono le motivazioni che ti hanno condotto lungo i quasi 60.000 mq e i 18 piani di questa famosissima costruzione.

Per qualcuno è “un cubo di cemento” colorato. Per altri, “la casa del pazzo”. La Cité radieuse di Le Corbusier, a Marsiglia, è un'intera città in un solo edificio.
L’occasione è arrivata quando Véronique, mia moglie e compagna di “viaggio”, mi ha fatto scoprire la Maison “du fada” (letteralmente, “la casa del pazzo”), ovvero il progetto architettonico di Charles-Edouard Jeanneret-Gris in arte Le Corbusier.
Un po’ come nel famoso film di Charles e Ray Eames, "Potenze di dieci", che dai confini dell’universo arrivava fino all’atomo, entrando nel corpo delle persone. Nel nostro viaggio siamo partiti dal grande progetto architettonico per arrivare fino al singolo individuo. Ci siamo mossi in modo discreto all’interno dell'Unité d'Habitation, osservando le vite individuali, familiari e collettive che, tuttora, si svolgono nella città radiosa.
Gli abitanti di uno stesso edificio vivono a pochi centimetri di distanza, separati da un semplice tramezzo, e condividono gli stessi spazi ripetuti di piano in piano, fanno gli stessi gesti nello stesso tempo, aprire il rubinetto, accendere la luce, preparare la tavola, qualche decina di esistenze simultanee che si ripetono da un piano all'altro, da un edificio all'altro, da una via all'altra.

Il titolo del capitolo scritto da Massimiliano Donninelli mi ha particolarmente colpito e mi permette di usarlo - sperando l'autore non se ne abbia a male - per la prossima domanda riguardante la componente musicale del progetto: Musica in Libertà. Qual’è il suono espresso nel disco, qual’è il messaggio e i contenuti che intende esprimere.

Preferisco pensarlo come un viaggio visuale.
Le Corbusier una volta disse: "I am a young man of 71 years old. I am a visual man, a man working with eyes and hands and limited by plastic manifestations. My research is like my feeling, directed to what is the principal value in the life, the poetry. Poetry is in the heart of man and is the capacity to go into the richness of nature.»
Ho l'estremo piacere di consegnarti anche la risposta del Maestro Donninelli, questo il suo pensiero.
“Il suono espresso nelle composizioni rappresenta, usando un'espressione inusuale, un percorso di "catarsi" stilistica, perchè molti fattori musicali e non solo sono entrati a far parte del processo di composizione / trasformazione di un materiale sonoro che rispecchia culture musicali e percorsi artistici molto diversi tra loro. Il passo da "inusuale" a "originale" è breve e penso che il risultato sia proprio caratterizzato da questo stile nuovo che è andato sviluppandosi durante il lavoro stesso. Il messaggio e i contenuti li sento piuttosto come una naturale conseguenza dello spirito che ha mosso il progetto. L'architettura, come spazio di risonanza della vita moderna, come Le Corbusier ha espresso in maniera geniale è diventato spazio di risonanza sonora, la relazione stessa tra i diversi approcci alla composizione ha fatto il resto, ha messo in vibrazione lo spazio, quello creativo delle menti e delle sensibilità coinvolte.” 

Sì, credo che il titolo dell'articolo di Massimiliano Donninelli possa essere giustamente di ispirazione per la tua domanda come per andare a rendere evidente la caratteristica portante del progetto, "la libertà" intesa piuttosto nel senso di liberare gli spazi interiori da tutto quanto ci appartiene per guardare oltre le nostre esperienze, liberamente!

Vista la portata del progetto mi ero preparato ad un ascolto legato alla contemporaneità del suono (un esempio: il concerto Andolangen di Gene Coleman, un connubio tra video e musica dedicato alla Langen Foundation tedesca creata da  Tadao Ando, per intenderci) invece  mi ritrovo immerso in gradevolissimi suoni di provenienza, direi 'moderna' piuttosto che contemporanea. Come mai questa scelta assolutamente controcorrente rispetto un codice non scritto che vuole la scuola contemporanea o classica come espressioni sonore dell'espressione architettonica.

La corrispondenza tra architettura e musica si è andata sempre più integrando, in quanto l’architettura deve trovare forme per comunicare cercando di coinvolgere tutti gli ambiti sensoriali dell’individuo. La musica, pertanto, stimolando le facoltà uditive, può coinvolgere l’individuo e introdurlo in dimensioni sempre nuove, in quanto la musica è ritmo, è tempo.
Sono persuaso che chiunque voglia esprimersi in un'attività creativa deve cominciare a cogliere l'essenza delle altre forme d'arte senza fermarsi unicamente alla propria. Provino gli architetti a riflettere da musicisti ed ugualmente facciano i musicisti con l'architettura: la conseguenza potrebbe essere da un lato la progettazione del tempo, dall'altro il suono dello spazio, nel senso della musicalità e non dell'acustica.

Il Maestro Giuseppe Azzarelli aggiunge:
“Cité Radieuse non è un’opera autoreferenziale. L’idea è stata quella di valorizzare questa architettura come generatrice di relazioni, in cui materia e forma si sviluppano a partire dall'esigenza di essere “per l’uomo”. Questa idea, profondamente legata al pensiero di Le Corbusier, è all’origine della poetica del nostro progetto, in cui l’architettura non è intesa solo come “struttura”, ma soprattutto come spazio abitativo in cui le persone vivono, si muovono, svolgono azioni, provano sentimenti. Questa musica, anche grazie alle dinamiche compositive che l’hanno definita, tenta di dare vita a sonorità che siano espressione di questo abitare, più profondamente inteso come l’essere in relazione con uno spazio e con un tempo che si collocano oltre i parametri dell’architettura. In questa dimensione che definirei “simbolica”, possiamo accorgerci che l’arte e la musica possono avere poco a che fare con i concetti di gradevole o sgradevole, ma hanno più la funzione di richiamarci ad essere in un certo posto, in un determinato momento, spogliando di senso le parole moderno e contemporaneo”.

Oltre il disco, una raccolta di scritti. Parliamone.

Il progetto è fondamentalmente composto da due entità: il disco ed il libro.
Cité Radieuse è un incontro di differenti mondi e differenti saperi. Oltre ai vari musicisti coinvolti, in questo progetto hanno contribuito anche grafici, fotografi, scrittori, architetti, designer, sociologi che hanno esplorato liberamente le possibili interconnessioni tra i temi del progetto, come la luce, i colori, il suono, gli ambienti e le relazioni umane.

Finirei con l'icona che rappresenta il tuo progetto, la splendida foto di Magnus Klackenstam di forte impatto onirico. E' un invito a non perdere la volontà di sognare e sempre e comunque lanciarsi nell'avvolgente vuoto del rischioso volo artistico?

Magnus è un fotografo svedese di eccezionale talento, sono onorato che abbia accettato di regalarci un delle sue bellissime fotografie.
Che cos’è tutto questo se non un sogno?
Lo spazio-tempo ci ricorda continuamente la labilità incerta di quello che vediamo.
Credo sia fondamentale non perdere la capacità di stupirsi, meravigliarsi di fronte alla vita, alle cose che non si lasciano afferrare e sfuggono via.


 
 

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