Calibro 35 live al CSO Pedro, storie di amore per la musica suonata

La band ha incendiato la data padovana con una performance perfetta

17 Febbraio 2020

Sovente accade che nel cinema determinate scene designino negli annali altrettante colonne sonore. Potremmo parlare di quella in cui il Dottore, impersonato da Gian Maria Volontè, esercita il suo strapotere nel film di Elio Petri “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, la cui colonna sonora morriconiana interpreta il senso iperbolico e grottesco con uno straniamento di matrice brechtiana. O ancora, quella in cui il Trio, ne “Il Buono, il Brutto e Il Cattivo” di Sergio Leone, inscena il triello finale, tra sguardi viscerali e arpeggi di pianoforte acuti e terribili.

Tutta questa prefazione per dire che i Calibro 35, live, riescono a creare nuove visioni, in cui, anche senza alcuna scena cinematografica a corredo, essere colonna sonora di se stessi.

Ormai è noto che gli stessi abbiano scelto questo nome in onore dei film polizieschi dai toni seventy (in cui “Calibro” era un titolo alquanto presente, è il caso di Milano Calibro 9 del 1972), il 35 però, non designa il diametro di una pistola, ma la pellicola più comune utilizzata nel campo cinematografico.

Sono ormai 13 gli anni di attività del gruppo, un concentrato di musicisti di svariata provenienza ed estrazione,  Enrico Gabrielli (AfterhoursMariposaVinicio Capossela) alle tastiere e ai fiati, Massimo Martellotta (Stewart CopelandEugenio Finardi) alla chitarra, Fabio Rondanini (Collettivo Angelo MaiCristina DonàNiccolò Fabi) alla batteria e Luca Cavina (Beatrice AntoliniZeus!) al basso; ai quattro si aggrega il non meno noto Tommaso Colliva alla produzione.

Il 24 gennaio scorso, dopo esattamente due anni da “Decade”, i Calibro 35 designano un “Momentum” (Kicks Records), specificando, senza mezzi termini, che la presa diretta del disco rappresenta l’hic et nunc della situazione, senza voli pindarici introiettati al futuro o sguardi nostalgici ancorati al passato.

L’uscita del disco ha ovviamente dato nascita al Tour 2020 della band, e non potevamo non esserci il 15 febbraio 2020 presso il CSO Pedro di Padova.

La scenografia ricorda una New York notturna: lampioni alti di ferro battuto donano una luce fioca e a tratti malinconica.

Quando i quattro prendono posizione ai loro strumenti, l’incipit del live non poteva che essere affidato a Glory-Fake-Nation pezzo d’apertura del nuovo disco, in cui la batteria protagonista traghetta su assoli più ambient mentre voci sfocate si ergono all’orizzonte. Si continua senza intercapedini silenziose con Stan Lee, ovviamente senza Illa J, rapper che nell’album collabora con un featuring degno di nota.

Anche la successiva Death of Storytelling, da quanto letto, pare sia stata pensata per un accompagnamento rappato (N.B. strano pensare, come in questo caso, che la voce sia un accompagnamento alla musica e non il contrario). Questo, uno dei pezzi che preferisco dell’ultimo album, viene snocciolato in maniera superba, tra i tremori di beat, il synth in perpetua elevazione ed una linea rossa di arpeggi elettrici in echoes.

Il riff robotico di Automota è uno spartiacque sintetico: il beat si accompagna a sfumature alla lontana, ed il riff di sfondo continua senza intermittenze, quasi alienante.

Dopo una lunga narrazione incentrata sui pezzi di Momentum, i Calibro eseguono un fermente Thrust Force pezzo dell’album S.P.A.C.E del 2015, in cui, come nel pezzo omonimo di successiva esecuzione, il sound si velocizza, i synth ed i fiati (il flauto traverso in primis), designano una narrazione poliziesca per eccellenza. Quasi si immaginano inseguimenti o scene propriamente intime, tra il policemen e la sua pupa.

Speravo in Bandits on Mars del medesimo album: accontentata. Gli assoli sono propriamente richiami alieni, tra le arzigolature rock’n roll della chitarra.

Dopo brevi battute di Enrico Gabrielli, la sorpresa: sale sul palco un in-formissima Roberto Dell’Era (aka Dellera), musicista e cantautore, oltre che bassista degli Afterhours. Inevitabile è Il beat… cos'è?, la versione italiana di The Beat Goes On di Sonny Bono, presente ne Il lato beat Vol. 1, singolo split pubblicato nel 2010.

Il pubblico si scalda, è entusiasta dell’artista, e smorza il disincanto rigido del solo strumentale, scelta che dona equilibrio all’intero concerto.

Dell’Era è certamente il valore aggiunto del live che con i Calibro 35 riscopre una sua dimensione sonora.

L’approdo ai pezzi da 90 del passato infervora e movimenta il pubblico già caldo: prima Arrivederci e Grazie, con disinibiti slap di basso, che riporta la mente all’album del 2012 con il titolo più lungo della storia: “Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale poi Giulia Mon Amour direttamente da “Traditori di Tutti”del 2013, in un circolo di organetto e schitarrate, in pieno style ’70.

Prima del saluto finale, la band dona un ricordo-bomboniera del live con la chicca da tutti bramata: L’appuntamento, cantata da Dell’Era, come in quel “Calibro 35” del 2009, in cui la cover di Ornella Vanoni, assume un altro valore, imperniata su un sound introspettivo e da piano-bar chic, in cui la traduzione di Bruno Lauzi viene consacrata a capolavoro sentimentale.

Quello che lascia colpiti del live della band milanese è la capacità di non essere un insieme di brani catchy con quel gusto retrò che fa tanto patina oggi. La storia, invece, racconta di un progetto coerente che sotto l’esperienza dei nomi già citati e la produzione del grammy winner Tommaso Colliva ha saputo evolversi nel tempo: dalle citazioni di film poliziotteschi, blaxploitation fino al surf rock morriconiano. Esplicativo è stato l’essere campionati da Dr. Dre, Jay Z, e al contempo iniziare ad avere delle parti rappate come nel nuovo lavoro Momentum.

La loro storia a suo modo è un crocevia importante di storie che, dunque, se volessimo cercare un parallelismo cinematografico che loro stessi portano nel DNA dagli inizi, dal vivo i Calibro sono amore per la musica suonata, per il tocco concreto sugli strumenti, quanto lo erano le mani sulla tavola da surf in Un Mercoledì da Leoni. La narrazione live del gruppo respira e si coordina perfettamente con quella del film: prima l’esplosione funk acida e lasciva degli anni della giovinezza a cavallo di palchi tavole da surf, ora invece synth jazz, sperimentazione cupa quanto queste annate vissute fra rivendicazioni liberticide e fascismi vari, guerra del Vietnam che nella pellicola ammazza la spumosa sprezzante gioventù ma non la dissoluta voglia di dare un senso alla vita.

Perché, cosa rimane dopo le guerre fisiche o personali, dopo che l’onda ha sussurrato violenta alla tavola la sua natura, dopo che il suono ha incendiato lenito la nostra percezione alcolica distorta? Rimane un unico flusso sonoro emozionale sovrastante: parole di circostanza, stanchezza e malessere psico attitudinale.

Rob Gordon direbbe facendo un bootleg tape: “Andiamo ai concerti perché stiamo male? O stiamo male perché andiamo ai concerti?” Se non c’andiamo per deviarci con il volume, il pogo fisico sudore clinico, bersi istanti d’esistenza come l’alcool ingurgitato nella speranza analgesica, quale motivo ci muove? Se non c’andiamo sperando quanto appena detto s’infranga in lenzuola alla deriva, nel migliore dei casi, perché vogliamo essere presenti?

Andiamo ai concerti perché stiamo male sperando di stare bene ma poi stiamo male la domenica pomeriggio; ci vengono a mancare le sensazioni, le emozioni, le pulsioni. Ci facciamo di musica, siamo dei drogati. L’hippismo musicale non finisce. Quale impegno? Sono solo parole piane senza le vertigini dell’umano strumento suonato e ascoltato.

C’andiamo perché ci distacchiamo, la prova provata che tutti questi pezzi messi assieme sono il mondo che vorremmo, che vogliamo, e che per qualche secondo otteniamo. Ci fa credere che forse la felicità esista e possiamo stare bene. Ma poi torniamo soli, e dobbiamo starci, perché nella reciprocità dell’esistenza, la dualità* è essenziale. One night stand in Bovisa.

* “Camminatore che vai
Cercando la pace al crepuscolo
La troverai
Alla fine della strada

Lungo il transito dell'apparente dualità
La pioggia di settembre
Risveglia i vuoti della mia stanza
Ed i lamenti della solitudine
Si prolungano”

(si cita Nomadi di Battiato)

 
 
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